Centro San Rocco - Interventi

Giovani, interiorità e internet
Data pubblicazione : 03/05/2018
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La Rete vista non come problema, ma come opportunità e veicolo di prossimità ed autenticità, in un'analisi di Paolo Dari

Una riflessione sul rapporto fra giovani, interiorità e web è certamente oggi, in questo tempo fatto di cronache quasi quotidiane di episodi di bullismo (non solo “cyber”) che coinvolgono gli adolescenti, una via da percorrere quanto mai necessaria, anche se non priva di pericoli. Infatti, il tentativo di individuare una via “spirituale” nel mondo di Internet per i giovani prevede, come primo passaggio fondamentale, lo sgomberare il campo dal fardello dello sguardo negativo su una galassia fatta di siti web, social network e messaggistica istantanea, da cui non possiamo prescindere ma che spesso è guardata con sospetto e timore dai genitori e più in generale dagli adulti.
Il dato di fatto da cui partire, analizzando diverse statistiche pubblicate recentemente, è che i giovani passano online una buona parte del loro tempo: le statistiche di Audiweb, l’organismo “super partes” che rileva e distribuisce i dati di audience di internet in Italia, dicono che la media è di 2 ore e quaranta minuti al giorno nella fascia 18-34 anni, di cui il 61,4% vengono effettuati da  cellulari, tablet e smartphone (dati Audiweb, Febbraio 2018).
Il 73% dei giovani utenti della rete è entrato almeno una volta in una community, un programma di instant messaging o in un social network; di essi, il 66,7% vi ha aperto almeno un profilo e dunque li utilizza regolarmente per comunicare con gli amici e per conoscerne di nuovi, nella gran parte dei casi (ricerca “Profili da sballo. Gli adolescenti italiani e i social network”, realizzata dalla Doxa per conto di Save the Children, Febbraio 2018).

Questi dati non fanno che confermare un quadro chiaro dei giovani, che emerge già nel sentire comune: sempre connessi grazie agli smartphone, sono “social” virtualmente ed in ogni istante grazie a Whatsapp, Facebook, Instagram…

Eppure, tralasciando le complesse questioni legate al cambiamento del linguaggio, al rischio di isolamento, alla privacy violata e alla superficialità di approccio alle questioni che spesso il mondo social porta con sé, come Chiesa non possiamo non interrogarci sulla grande opportunità che questo tempo “speso” nel quotidiano (quasi 3 ore al giorno di media) rappresenta per l’evangelizzazione dei giovani.

I giovani, infatti, sono comunque in costante ricerca di senso per la propria vita, e l’opportunità di avere una “piazza virtuale” in cui far risuonare il Vangelo, una piazza in cui molti passeranno, apre certamente scenari inediti ma anche sfide importanti per la Chiesa e soprattutto per gli educatori di questo tempo. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che la piazza virtuale assomiglia più ad un mercato che ad un sagrato di una Chiesa, con la corsa sfrenata a chi urla di più e dove i prodotti sembrano tutti simili: in questo contesto, il dubbio naturale su quanto riusciamo come cristiani a rendere “appetibile” per un giovane la nostra fede potrebbe assalirci…
Ma più che una questione di “marketing della fede”, dovremmo ragionare sul nostro grande punto di forza. Che è, certamente, la Verità di un messaggio che salva e rende la vita piena e santa, la Verità di una Persona, Gesù Cristo, morto e risorto per salvarci, ma che soprattutto, ed è qui il cardine su cui puntare, l’essere prossimi.
Sostiene Papa Francesco, nel messaggio per la Cinquantesima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: “La comunicazione, i suoi luoghi e i suoi strumenti hanno comportato un ampliamento di orizzonti per tante persone. Questo è un dono di Dio, ed è anche una grande responsabilità. Mi piace definire questo potere della comunicazione come 'prossimità'. L’incontro tra la comunicazione e la misericordia è fecondo nella misura in cui genera una prossimità che si prende cura, conforta, guarisce, accompagna e fa festa. In un mondo diviso, frammentato, polarizzato, comunicare con misericordia significa contribuire alla buona, libera e solidale prossimità tra i figli di Dio e fratelli in umanità.”

Prendersi cura, confortare, guarire, accompagnare e fare festa: questi dovrebbero essere i verbi che ci guidano, come educatori e genitori cristiani, nell’approcciare il mondo della comunicazione dei nostri giovani e la loro ricerca di spiritualità; e questa prossimità quotidiana è (può sembrare un paradosso) persino facilitata dai nuovi media.
Perché, se da un lato oggi molti giovani sperimentano la solitudine sociale e le relazioni virtuali, va però ricordato che i social hanno probabilmente scardinato le distinzioni fra “palcoscenico” e “retroscena” nell’accezione del sociologo canadese Erving  Goffman: egli sosteneva infatti che la vita sociale è un “teatro del quotidiano” dove avviene una messa in scena, con un “palcoscenico” dove utilizziamo le regole sociali di  comportamento e di interazione, ed un “retroscena”, dove siamo più liberi, meno legati da vincoli. Per Goffman il confondere il palcoscenico con il retroscena crea situazioni di imbarazzo sociale: pensiamo semplicemente alle nostra situazioni più intime, agli atteggiamenti privati, e immaginiamoli esposti al pubblico, su di un palcoscenico…la situazione sarebbe probabilmente imbarazzante. Le innovazioni dei mezzi di comunicazione spesso stravolgono queste distinzioni, creando nuove situazioni e soprattutto cambiando i costumi e le percezioni di ciò che crea imbarazzo: si pensi all’avvento dei cellulari, quando una situazione “privata” e da retroscena (la telefonata, che fino ad allora era fatta in una cabina telefonica o in una stanza) è diventata di palcoscenico…Ormai non ci facciamo più caso, ma nei primi tempi, se ricordate, generava certamente imbarazzo.
Oggi, con i social network, questa distinzione tra palcoscenico e retroscena ha subito un’ulteriore “colpo mortale”: quello che un tempo veniva tenuto nel retroscena, oggi sembra quasi necessario esporlo, in una corsa al palcoscenico che porta il “senso di imbarazzo” a toccare soglie probabilmente mai avvicinate.

Eppure, dopo questa lunga premessa, malgrado queste riflessioni possano sembrare un aspetto negativo da cui non poter prescindere, come Chiesa dovremmo cogliere le enormi opportunità che questi cambiamenti offrono: oggi possiamo farci prossimi nell’autenticità del retroscena, senza fronzoli né sovrastrutture, lì dove il cuore dei giovani è libero e in ascolto, nella ricerca di autenticità. Ed ecco allora la seconda parola che ci dovrebbe guidare in questo approccio ai giovani e alla loro spiritualità su internet: l’autenticità. Essere prossimi ed autentici per avvicinarci al cuore dei giovani: in fondo, chi studia marketing sui social network, parla di coinvolgimento del cliente, ma soprattutto di autenticità “del marchio” (non posso “vendere quello che non ho”) e di contatto personale costante. Noi, che abbiamo dalla nostra la Verità di una Persona, dovremmo testimoniare la nostra fede facendoci vicini e mantenendoci autentici, veri, raccontando le bellezze, ma anche le fatiche, di un cammino quotidiano verso la santità.

Come diceva il Servo di Dio Carlo Acutis, colui che meglio di tutti incarna questa figura di raccordo tra il mondo di internet e la santità (http://www.carloacutis.com/): “Tutti nasciamo come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie”.
Essere prossimi nell’autenticità, mantenendo quella originalità che ci è data dall’essere Figli di Dio: è questo, dunque, il percorso che come Chiesa dovremmo affrontare per annunciare il Vangelo ai giovani sul web.

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