Centro San Rocco - Notizie

Luce ad Auschwitz
Data pubblicazione : 14/01/2017
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Mercoledì 25 Gennaio, alle ore 21.15, al Centro San Rocco, ascolteremo la testimonianza di Angela Esposito, missionaria dell'Immacolata che ha svolto alcuni anni del suo ministero presso il Centro Padre Kolbe in Polonia. Vedremo come l'arte, nel caso dello scenografo Marian Kolodziej, è riuscita ad esprimere gli orrori dei lager

Nel Centro Padre Kolbe in Harmęże (Polonia), vicino ad Auschwitz e Birkenau, animato dai Frati Minori Conventuali e dalle Missionarie dell’Immacolata Padre Kolbe, si può visitare

la preziosa mostra-testimonianza di uno scenografo di grande talento: Marian Kołodziej. Nei suoi quadri racconta o, come lui dice: “scrive con i disegni” le terribili esperienze da lui vissute per cinque anni nei campi di prigionia.

 

La mostra si intitola: Klisze Pamięci, ossia i Labirinti di Marian Kołodziej. Offre un messaggio di grande intensità e levatura morale.

Portiamo ai nostri giorni, con una sequenza di immagini, la sua genialità di saper cogliere la vita nei campi di sterminio, conducendo sempre verso un oltre. Verso un oltre di speranza. “Non invito - dice l’autore - ad una esposizione, ciò non si addirebbe. Propongo, invece, un percorso, in questo labirinto contrassegnato dalle esperienze della fabbrica della morte. Vi prego: leggete le mie parole racchiuse nei disegni”.

 

Marian Kołodziej, famoso pittore e scenografo polacco, dopo la liberazione del '45 si era rifiutato di raccontare quello che aveva vissuto durante la sua prigionia. Dopo un ictus, all'incirca a 55 anni di distanza, Marian decide finalmente di esprimere tutto il dolore della sua storia. Egli stesso dice che è suo dovere parlare, lo aveva promesso ai suoi compagni.

I disegni, graffiati sul foglio, tratto per tratto, sono l'estirpazione di questa colpa, la colpa del silenzio, ma sono anche la testimonianza di un dolore celato così a lungo, forse anche a se stesso.

Da vero scenografo qual era, propone la sua mostra non solo come una esposizione di quadri, ma come una vera e propria installazione che ci circonda e sembra urlare, trasportarci in quegli incubi che purtroppo sappiamo essere così reali. 

Gli occhi vuoti dei detenuti, i volti mostruosi degli aguzzini si mescolano e si scontrano in un bianco e nero, il bene e il male. Ma ci sono anche vetri infranti e calpestati come la vita dell'uomo nei campi di concentramento, legni e mobili duri e freddi uguali a quelli delle luride baracche di Auschwitz. 

Nella mostra di Marian però non c'è solo dolore, c'è anche la testimonianza di quel buono che poteva esserci in un luogo come il campo: la storia di padre Kolbe che si sacrifica per la salvezza di un altro uomo, i compagni che lo hanno aiutato a sopravvivere, la fede che sorregge il dolore.

Le rovine dei campi, il museo mostrano quello che era il campo vero e proprio, ma questo artista ci mostra quello che rimane del campo dentro ad ogni uomo. Sono i ricordi che non se ne vogliono andare, che, come quel tatuaggio, non si possono cancellare.

Lo scenografo ci lascia con un monito in fondo alla sua mostra: non dimenticare, non perché le cose non si ripetano, ma perché Auschwitz continua ancora oggi nel mondo che conosciamo. Solo noi, le nostre scelte e la nostra umanità possiamo impedire al male di vincere.

 

 

 

Per ulteriori informazioni si può visitare la mostra Labirinti di Marian Kołodziej

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