Storia

Il monastero Santa Chiara di Fermo ha proprie radici in un gruppo di Terziarie di S. Francesco, sorto per lo zelo dei Frati Minori Osservanti del Convento dell'Annunziata attorno al 1470. Cresciute in fervore, esse si erano riunite in vita comune, sullo stile delle clarisse; erano chiamate "le sorelle povere" oppure "le continenti di S. Francesco.

Nel 1501, la signora Giacoma Leopardi, decise di devolvere i suoi beni per l'edificazione di un monastero clariano sotto la cura dei frati dell'Osservanza e ne fece pubblico testamento nel 1503 incaricando la signora Mite degli Azzolini di realizzare la sua volontà (l'atto è tuttora conservato nell'archivio del monastero). Papa Giulio II, con Breve del 28 Gennaio 1505, ordinava alla Beata Camilla Battista da Varano di trasferirsi da Camerino a Fermo per instaurarvi la Regola di S. Chiara e lei vi soggiornò dal febbraio dello stesso anno fino al marzo 1506 e, prima di rientrare a Camerino, nominò Mite degli Azzolini prima Abbadessa. Così ebbe inizio la vita claustrale delle Sorelle Povere di S. Chiara in Fermo. Un educandato femminile era sorto nel 1740 nel monastero di Fermo, che accolse le ragazze delle nobili famiglie fermane. Si chiuse nel 1886.

Nel XIX secolo, in seguito alla demaniazione dei beni degli ordini religiosi ordinata da Napoleone nel 1810, il monastero di S. Chiara venne venduto dal Demanio al Comune di Fermo e le monache furono costrette a disperdersi. Una volta ripristinato lo Stato Pontificio, però, il conte Filippo Giacomo Raccamadoro, fratello di due religiose del monastero, anch'esse espulse, decise di acquistare dal Municipio lo stabile per darlo in uso d'abitazione alle monache che poterono così ritornarvi nel 1818. In tal modo, diversi anni dopo, quando si scatenò una seconda soppressione delle corporazioni religiose, voluta questa volta dal Governo Italiano con legge emanata nel 1866, il monastero, seppur con grande difficoltà, riuscì ad evitare la chiusura. Nel febbraio del 1880, infatti, il Demanio intimò alle sorelle di lasciare l'edificio entro due mesi, perché potesse essere adibito a carcere o ad altro uso, ma le monache, dopo lunghe preghiere, riuscirono a ritrovare l'atto d'acquisto, dapprima perduto, che attestava la proprietà dell'edificio da parte del Raccamadoro.

Il monastero rimase di pertinenza di questa famiglia fino al 1914, quando passò al Canonico Giuseppe Sartori. Infine nel 1929, in seguito al concordato tra la S. Sede e lo Stato Italiano, esso venne finalmente restituito alle legittime proprietarie e riconosciuto come ente giuridico autonomo.

Per gran parte del XX secolo, in particolare nel periodo delle due guerre mondiali, le monache dovettero confrontarsi con le esigenze del contesto sociale del tempo, coniugando il silenzio e la preghiera della clausura con le opere della vita attiva.

Già nel 1909, rispettando la volontà dell'arcivescovo Castelli e del parroco di S. Pietro, mons. Filippo Cipriani, alcuni locali del monastero vennero messi a disposizione come sede di un istituto magistrale e professionale femminile che lì rimasero per ben 25 anni. Successivamente negli anni '30 venne istituita una scuola lavoro per giovani artigiane, che poi nel 1952 lasciò il posto ad un centro di assistenza denominato Casa Famiglia S. Chiara, che accoglieva e istruiva bambine e giovani in difficoltà.

Nel 1910, fu solo grazie all'opera di Madre Geltrude Formiconi, inviata dal monastero di Potenza Picena a Fermo, dall'Arcivescovo Carlo Castelli, che si evitò la chiusura del monastero stesso, dando un nuovo impulso alla vita di preghiera, di sacrificio e di lavoro delle sorelle, che diresse per ben 37 anni, promovendo una vera fioritura di vocazioni.

Nel 1956, con l'istituzione della Federazione Marche-Abruzzo dei Monasteri delle clarisse, la Madre Chiara Monti di Fermo fu eletta prima presidente e il monastero fu sede del noviziato federale, e vi hanno trovato ospitalità religiose di diversi monasteri.

Infine nel 1974, in conformità con i dettami del Concilio Vaticano II e in particolare con il decreto "Venite seorsum", che chiedeva una scelta definitiva tra vita attiva e clausura, le religiose decisero di confermare la loro vocazione di claustrali per servire il mondo con la propria preghiera.

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