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Centro San Rocco - Interventi
Come la teologia può aiutarci in un attento discernimento di quanto sta accadendo. Riflessione di don Giordano Trapasso sull'incontro conclusivo del ciclo "In rete con la teologia"
Molto denso e ricco di stimoli l’incontro – dialogo avuto con il teologo Carmelo Dotolo, nel tentativo di vedere come la teologia è chiamata a porsi in questa drammatica esperienza della pandemia. Lego questo incontro ad una provocazione di un altro teologo, Giuliano Zanchi, che ha vissuto il primo lockdown nel bergamasco, dalla prospettiva di uno dei territori più colpiti: “Privata del rito e della prossimità, alla Chiesa sarebbe rimasta la parola. Forse in molti la aspettavano al varco di questa prova. Senza le messe e la carità, la Chiesa sarebbe stata capace di una parola all’altezza della situazione? Non sarebbe stato suo compito in queste settimane dire qualcosa che potesse realmente illuminare la materia di un’esperienza così frastornante? … Può darsi che in questo mio ritiro paramedico mi sia perso qualcosa, ma non mi è sembrato di aver udito nella Chiesa italiana il pronunciamento di una parola autorevole, partecipe, consolatrice, ma anche illuminante, profonda, orientatrice. Quasi tutti gli ecclesiastici passati in televisione, anche di alto rango, si sono rivelati presenze fragili, aeree, sempre laterali nel dibattito, incapaci di liberarsi dal loro gergo di convenzione e stare nel rispetto delle parole comuni, imbrigliate in una retorica religiosa impalpabile e volatile, una mancanza di sapienza svelatasi a dispetto della presunta competenza umana dei religiosi, che solo la buona educazione degli interlocutori laici ha permesso di lasciar correre”[1]. Al di là del fatto se tale giudizio sia condivisibile fino in fondo, nei giorni del primo lockdown fino anche ad oggi, nella fase di convivenza con il virus, la tendenza è stata quella di cercare nelle statistiche da una parte e nella medicina dall’altra le motivazioni per accettare le restrizioni alle nostre libertà e il senso ai nuovi comportamenti da tenere. Probabilmente questo è accaduto perché lo stato di salute della teologia, prima della pandemia, come ci ha ricordato il prof. Dotolo, non era ottimale. Il sapere teologico non era in grado di far fronte al fenomeno da cui nascono anche le attuali posizioni “integraliste”: la de – culturazione dell’esperienza religiosa. Eppure proprio questa esperienza della pandemia, che ha provocato tutti saperi, offre grandi chances al sapere teologico e alla sua conversione. La teologia, come ermeneutica del fatto cristiano, non può non suggerire proposte di elaborazione del senso della vita e dell’umano. L’esperienza credente induce il gusto della ricerca e la spinta alla lettura dei segni dei tempi.
Riguardo all’attuale contesto post – moderno, o da alcuni definito anche post – umano, in cui assistiamo ad una de – costruzione dell’umano ed in cui prende forma un profilo di soggettività che si chiude all’alterità per non essere messa in discussione nel suo modo di essere, il prof. Dotolo ritiene urgente ritrovare l’alternativa dell’antropologia cristiana. La prospettiva umanizzante del cristianesimo sta proprio in questo: diventiamo umani se accogliamo l’altro, siamo “io” grazie al “tu”. Questo è vero anche per il rapporto tra ragione e fede: la fede è l’altro della ragione e la ragione è l’altro della fede. Ognuna si realizza grazie all’altra, ospitando l’altra. Siamo spinti ad uscire da noi stessi alla ricerca dell’altro, non per colmare il vuoto della nostra solitudine, ma per riscoprire il dono che ci costituisce nell’essere. In questo senso il limite e l’imperfezione non sono più ostacoli, ma ci appartengono e sono fecondi per l’educazione ad una identità ospitale e ad una qualità umana dell’esistere.
La teologia potrebbe poi aiutarci nel discernimento sapiente dei nostri stati emotivi. I giorni del Coronavirus, ma per certi aspetti anche questo inizio di terzo millennio, sono stati connotati dalla paura. L’uomo non può non aver paura, ma i Vangeli ci ricordano anche (basti pensare agli episodi relativi alla tempesta sedata) che la paura è nemica della fede. Come porci di fronte a questa esperienza? Dotolo ci ha aiutato a distinguere la paura come espressione emotivo – cognitiva tramite la quale percepiamo che non siamo possessori della realtà, che non possiamo gestire il quotidiano in modo immune da qualsiasi rischio, dalla paura come diffidenza verso tutti e verso tutto, come assoluta chiusura in noi stessi, come totale rifiuto del rischio. La prima può avere un valore provocatorio ed euristico e può qualificare l’esperienza credente come l’assunzione dell’avventura rischiosa di un’esistenza vissuta diversamente, come la possibilità di un viaggio nuovo attraverso il limite, come l’esperienza di una vita che continua a generare vita dal limite, dalla mortalità, dal dolore che appartengono all’essere creaturale. Il secondo tipo di paura va chiaramente affrontato e vinto, pena il ricadere della vita nella morte.
Infine, il prof. Dotolo ci ha invitato, al fine di una lettura sapienziale di questo tempo, a recuperare la lettura del libro dell’Apocalisse. L’apocalittica è un genere letterario che nella Scrittura esprime una lettura di fine partendo dal fine della storia, una individuazione delle responsabilità dell’uomo in merito al male e al negativo che si manifesta nella storia, una critica verso i sistemi di potere sociali, culturali, politici ed economici (nel libro dell’Apocalisse simboleggiati da Roma e Babilonia). L’apocalittica può allora aiutarci ad attraversare questo tempo nella speranza, mostrandoci come può scaturire nuova vita dalla morte, come dopo la caduta dell’uomo tronfio e autoreferenziale nel gestirsi che si sente padrone della vita può rinascere un uomo nuovo, fragile e custode della vita. In più essa ci chiede di essere credenti legati a processi storico – culturali di cui siamo chiamati ad essere protagonisti, esercitando una ragione critica e lucida e guidati da una spiritualità liturgica, politica, economica e culturale.
[1] ZANCHI G., I giorni del nemico. Il grande contagio e altre rivelazioni, Vita e Pensiero, Milano 2020, 19-20