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Centro San Rocco - Interventi
Papa Francesco, fin dall'inizio del suo ministero, ha sempre dedicato un'attenzione costante al Sacramento della Riconciliazione. - di Luigi Alici
In un incontro pubblico del 19 gennaio 2016, papa Francesco pronunciò una di quelle frasi che meritano di essere ricordate: “Non c’è alcun santo senza passato, neppure alcun peccatore senza futuro”. Nessuno, in altre parole, può essere schiavo del proprio passato, al punto da sbarrare al peccatore la via della santità. L’evento di grazia che rompe la spirale negativa e ci riapre le porte del futuro è il Sacramento della Riconciliazione, al quale papa Francesco ha dedicato un’attenzione costante, soprattutto durante il Giubileo straordinario della misericordia.
Il valore di tale Sacramento, ricordato nella Bolla di indizione Misericordiae vultus, riemerge anche in Misericordia et misera, la Lettera apostolica scritta a conclusione del Giubileo. Vi si ricorda fra l’altro che il Sacramento del Perdono celebra in modo del tutto particolare la misericordia in cui si manifesta il volto della grazia divina e mostra la via della conversione; un perdono che può essere ottenuto anzitutto vivendo la carità e disponendoci al perdono verso gli altri (n. 8). Un’esperienza straordinaria di grazia, in particolare, è stato il servizio dei “Missionari della Misericordia”, istituito per l’anno giubilare e che non si dovrà concludere con la chiusura della Porta santa (n. 9). Il papa rinnova quindi ai sacerdoti l’invito a “prepararsi con grande cura al ministero della Confessione, che è una vera missione sacerdotale”, e chiede loro “di essere accoglienti con tutti; testimoni della tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il loro passo con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono di Dio” (n. 10).
Invitando quindi a meditare le parole dell’apostolo Paolo, quando a Timoteo confessa di essere stato il primo dei peccatori, “ma appunto per questo ho ottenuto misericordia” (1 Tm 1,16), Francesco ricorda che i confessori debbono sentire “la responsabilità di gesti e parole che possano giungere nel profondo del cuore del penitente, perché scopra la vicinanza e la tenerezza del Padre che perdona”. È essenziale, a tale scopo, che la confessione ritrovi “il suo posto centrale nella vita cristiana”, in modo che a nessuno sia impedito di accedere al perdono, anche attraverso iniziative straordinarie, come quella denominata “24 ore per il Signore in prossimità della IV domenica di Quaresima” (n. 11). Dentro questo contesto, “perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio”, papa Francesco ha quindi esteso “nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario”, la facoltà, già concessa durante il periodo giubilare, a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, “di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto”, precisando che “l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente”, ma ribadendo “con altrettanta forza”, che “non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre (n. 12).
Credo che l’intera comunità cristiana debba assumere questo invito, autorevole e impegnativo, attivando un serio esame di coscienza sui modi, i tempi, le condizioni secondo le quali si celebra – nelle forme ordinarie, non soltanto straordinarie – il Sacramento della Riconciliazione. Forse amaramente – ma onestamente – dobbiamo ammettere che siamo in presenza di un vero e proprio sacramento-cenerentola: confinato nei ritagli di tempo, senza spazi e tempi propri, avvilito a una contabilità mortificante – sia nell’accusa dei peccato che nella penitenza! –, privo di respiro nella meditazione della Parola di Dio e nella celebrazione della sua misericordia. Possiamo pure continuare a lamentarci che nella nostra società stia scomparendo il senso del peccato, ma se consideriamo quali itinerari penitenziali di riconoscimento, discernimento e celebrazione del perdono siamo in grado di offrire concretamente, nella vita pastorale ordinaria, verrebbe da concludere che di questo fenomeno siamo non solo vittime, ma forse anche un po’ complici.
Luigi Alici