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Centro San Rocco - Interventi
Un invito a superare una misericordia "a parole" per diventare capaci di gesti concreti di accoglienza. - di Luca Romanelli
Leggendo la lettera apostolica “Misericordia e Misera” di Papa Francesco ho provato un forte desiderio che si concludesse poco dopo il punto 1.
Invece continua, in modo forse estenuante per un non addetto ai lavori. Forse, come diceva Goethe, questo Papa santo che non si risparmia non ha avuto tempo di farla più corta. O forse, com’è più probabile, aveva in mente e di fronte tutto l’apparato teologico e organizzativo della sua Chiesa e la necessità di ricomprenderlo in una (condivisibile) riflessione sistematica ha avuto il sopravvento.
A me piace molto quell’immagine iniziale di Gesù accovacciato in silenzio accanto all’adultera. Un silenzio carico di compassione, privo di giudizi astratti, pieno di futuro.
Anche se forse Gesù ha studiato le Scritture nella fase “oscura” della sua vita, nei Vangeli la sua misericordia appare piuttosto come la risposta ad un incontro sconvolgente col divino che era in lui, a partire dal deserto e il battesimo sul Giordano.
Per la sua Chiesa non può essere diversamente. E’ difficile essere misericordiosi se non si è fatta l’esperienza. Tutto il resto cade: la mano tesa buca la coltre stesa da tante parole.
Provo spesso questa dura sensazione: che i riti, la liturgia, i documenti ecclesiali e le omelie si volgano paradossalmente ad inspessire un velo di indifferenza. La Chiesa, i preti e i laici che ne imitano lo stile, sembrano avere questo bisogno irrefrenabile di insegnare, sistematizzare e argomentare il senso delle loro tradizioni, coprendo spesso la voce flebile e magari confusa che chiede aiuto o comprensione, che dubita o dispera, anche dentro noi stessi.
Mi piacerebbe che più spesso ci incontrassimo in silenzio, centellinando le parole, e concedessimo un rispettoso spazio di espressione al fratello, senza turbarci della sua confusione, che è poi la nostra. Che accompagnassimo la nostra compassione con gesti immediati, modesti, accoglienti.
La sua lettera apostolica più feconda Francesco la scrive attraverso gli incontri con la gente umile, i sorrisi, gli abbracci non formali e il suo giudizio è duro solo con i potenti, quelli che hanno in mano le pietre.
Luca Romanelli