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Centro San Rocco - Interventi
Come cambieranno i nostri costumi e sentimenti dopo i recenti attentati? - Riflessione di Massimiliano Colombi e Marco Marcatili
Locali ma Connessi. Quasi a dire che Parigi e Fermo non siano così lontane da essere reciprocamente un’altra cosa. Quasi a dire che non c’è nessun luogo sicuro in quanto lontano. Quasi a dire che davvero la barca è la stessa per ogni donna, per ogni uomo e per ogni creatura vivente in questo tempo.
Accanto al dolore, fatica ad emergere la compassione per chi ha subito la violenza estrema. Rabbia, rancore, desiderio di ripagare con la stessa cattiva moneta della violenza sono i “mostri” che si fanno spazio e desertificano il nostro cuore, la nostra intelligente e la nostra umanità.
La logica pervasiva del “colpevole indistinto” ci fa scoprire che lo sviluppo economico non sempre si accompagna ad un corrispondente sviluppo culturale. Sarà vitale in queste ore e nei prossimi giorni non cadere nella trappola del “disumano sillogismo”: tutti i terroristi sono islamici; tutti gli islamici sono terroristi; tutti contro gli islamici. Abbiamo già conosciuto il baratro in cui finiremmo di nuovo.
Lunedì come si guarderanno i nostri figli a scuola? Nemici solo perché danno un nome diverso ad un unico Dio? E come guarderemo il nostro collega di lavoro proveniente da un Paese a maggioranza islamica? E che effetto ci faranno i profughi accolti nelle tante realtà del nostro territorio? E che pensieri mobiliterà la moschea vicino a casa? Pensiamo se un giorno uno dei nostri figli si arruolerà nell’Isis. Che saremo in grado di dire?
Non si può certo negare che sia in corso uno scontro violento che vede non solo la “vecchia Europa” sotto scacco. Altrettanta lucidità occorre averla nel rintracciare le cause – storiche e recentissime – e le responsabilità - politiche, sociali e culturali – che soggiacciono agli eventi che tanto ci colpiscono.
Senza nessun cedimento al cinismo occorrerà anche interrogarsi intorno al diverso impatto emotivo, politico e culturale che i morti di Beirut hanno provocato rispetto a quelli di Parigi. La stessa mano ha agito, molte persone sono morte, meno audience televisiva, molto meno dolore e pressoché nessuna mobilitazione.
Che futuro ci aspetta? E’ ancora possibile pensare ad un “futuro civile”? Ci sono delle sorgenti da cui attingere una “buona acqua” per vivere questo tempo carico di violenza?
Una prima consapevolezza che potremmo ri-condividere è quella per cui anche nel periodo radicalmente più violento come quello della Seconda Guerra mondiale e proprio nei luoghi deputati al genocidio come i campi di concentramento, donne e uomini sono stati capaci di ri-dire il senso più profondo del nostro essere “persone”. Etty HIllesum, Primo Levi e Anna Frank sono i testimoni della possibilità di rigiocare l’umano dentro un contesto radicalmente dis-umano.
Una seconda possibilità abita nel ripensamento del valore dei luoghi della convivenza umana. I nostri luoghi non possono essere ridotti a “mercati”, condizionati dal dominio di una logica del profitto e prigionieri di una cultura tecno-nichilista. La prospettiva dell’internazionalizzazione non è solo la possibilità di aumentare la circolazione dei beni e dei capitali; soprattutto ha a che fare con la costruzione di nuove forme di convivenza su scala planetaria, in cui la giustizia possa trovare tutte le declinazioni in società accoglienti e inclusive.
Infine sappiamo che lo sviluppo è una questione di comunità. Per questo siamo interpellati a ri-pensare la tessitura di nuove relazioni. Per questo chiudere significa recidere, mentre connettere significa tessere. Siamo chiamati a farlo in un contesto emotivamente sovraccarico, ma sappiamo anche che il “desiderio di umanità” potrà trovare i pertugi per farsi strada. In questo senso, “coraggio che ce la possiamo fare”. Tutti “insieme”.
Massimiliano COLOMBI e Marco MARCATILI
(tratto dalla Rubrica “Futuro Civili. Locali ma Connessi”, Il Resto del Carlino, per gentile concessione)