Archivio Notizie dal Territorio
Notizie dal Territorio
A tre anni dal sisma gli scatti del fotografo Elio Aureli raccontano com'è cambiata la vita a Visso. - di Valerio Franconi
Cosa credi, lettore, Visso c’è ancora. Elio Aureli, l’osservatore, il fantasista, il fotografo che vive il territorio d’immagini e di colori, annulla gli effetti del tempo per raccontare, tre anni dopo il terremoto, gli abitanti di Visso e la valle del Nera. Perché dove c’erano i prati rigogliosi di erba, ora ci sono tante casette Sae ed è difficile immaginare i prati senza l’erba e le margherite. Eppure, caro lettore, amante della storia, delle tradizioni e della gente di qui, Elio c’è ancora e tiene gli abitanti del suo paese a tiro di obiettivo, crea immagini ogni giorno, ti afferra la bocca dello stomaco e te la spreme con certi particolari! Sono passati tre anni e tante cose sono mutate. Ci sono ora dimore prefabbricate ovunque, agglomerati di casette dove la gente continua a vivere e a sperare. Le immagini a colori di Elio Aureli raccontano le ristrettezze e la nobiltà di un popolo che vive nelle gole di Vallopa e Villa S. Antonio in villaggi di casette di legno che si chiamano San Pietro, Campo sportivo, Patiana, Cappuccini, Le Rote, Pretara. Sono gli stessi villaggi che hanno riunito tutti gli abitanti di Visso mescolatisi fra loro: il barbiere, il prete, l’operaio, il vigile urbano, l’impiegato. Tre anni dopo, le foto e i racconti di Elio sono tornati sui luoghi del terremoto, al seguito di una macchina fotografica. Tante le sorprese, alcune positive, altre meno, di un territorio sempre avvincente, abitato da persone di straordinaria tenacia. Stessi luoghi, altre storie. Nelle immagini di Elio gli angoli di nostalgia e i piccoli brandelli del passato non mancano: attrezzi da giardinaggio portati da casa, un braciere di ferro per cuocere la carne all’aperto, una sedia da esterni, una fioriera, C’è nei suoi scatti un’aura meridiana che li avvicina o ne suggerisce la vicinanza alla pittura. Una luce dorata percorre il carattere malinconico e quello allegro: guardando quelle foto si vive una sospensione che ha il sentore di “Miracolo a Milano” - il film di Vittorio De Sica di tanti anni fa - senza però poveri che volano, senza giudizi universali pronti a svelare le umane debolezze. Nessuna ascesa con la scopa per i terremotati, soltanto sogni, sogni di tornare nella propria casa non ancora realizzati. L’obiettivo fa volare libera soltanto la fantasia di Elio, come nell’aleggiare di un vento leggero che diventa protagonista assoluto della scena. Gli oggetti, le casette, gli interni gli vanno di conserva, quasi zavorrando, e assecondano con levità quel continuo volare via. Ci sono scatti virtuosi, sempre temperati da un gusto sicuro dell’insieme e da una precisa sensibilità per l’espressione dei sentimenti. Questi impulsi fanno sempre più presa nel profondo dell’animo, anche se nei villaggi Sae tutto sembra andare con maggiore lentezza rispetto ad altri luoghi. Finanche le persone anziane, sedute davanti alla loro casetta, sembrano l’immagine tranquilla di un orologio assai poco puntuale. Elio ha capito il potere del consueto, fatto immagine: il riscatto del solito, ma anche il fascino del conosciuto. Preleva oggetti dal mondo quotidiano, dove li usiamo senza guardarli e li promuove a oggetti da guardare senza usarli. Il suo obiettivo è lo sguardo di Re Mida, ciò che punta diventa oro. Non credete però troppo alla fotografia della normalità: quella di Elio è sempre speciale, studiata, tutt’altro che spontanea. La vita quotidiana, anche in un villaggio Sae, è rappresentazione, teatro, recita. Le foto delle casette di Elio, divertentissime, diventano una sola, atto unico di un enorme teatro di sfollati. Per chi le guarda, quello che doveva essere un semplice calcio alla monotonia prende i contorni della realtà. Un mondo pieno d’insidie dove le lampade non si accendono o lampeggiano e scoppiano, la caldaia non si attiva, l’acqua arriva fredda o non arriva per nulla. L’osservatore sente che quelle immagini sono quasi irreali, ma non riesce a stabilirlo con certezza. Ciò che sa con sicurezza è che vuole tornare a essere se stesso, a casa, nel suo mondo, per quanto imperfetto potesse essere. “Avevo un bell’orto vicino a casa”, dice un’anziana donna guardando la foto della sua casetta. Aggiunge: “Ho dovuto lasciarlo e mi contento di coltivare due minuscole aiuole vicino all’abitazione d’emergenza”. Nessun volo con la scopa per la sua anima – come in “Miracolo a Milano” – soltanto sogni, sogni di tornare a casa che per lei forse non si realizzeranno mai. Questo gioco di nostalgie ci porta alla capacità di Elio di farsi intridere dalla vita, di viverla, ma anche di distanziarsi da essa, per ottenere il tempo e lo spazio di rappresentarla. Elio ha il gusto per la figurazione, sa costruire le scene che per lui significano forza espressiva e gusto del particolare. Il suo atteggiamento è di chi partecipa al teatro del vivere quotidiano e al suo fluire continuo, senza troppe differenziazioni che non siano i particolari della scena stessa. E allora vale la pena farsi un giro nella sua pagina Facebook e lì dentro perdersi in un carosello di enigmatica, curiosa, spesso impetuosa e a tratti anche un po’ ispessiva commistione di segni, sogni, argomenti, generi e modi con cui i terremotati si sono assuefatti alla loro condizione. Un corredo di foto, insomma, che rimandano alla capacità degli sfollati di farsi intridere dalla vita stessa, di viverla e anche di distanziarsi da essa. Dice Elio metaforicamente con le sue riprese: un’epoca è finita, il giro di valzer della Visso che abbiamo conosciuto è terminato.
Dalle casette senza voce dei terremotati, esplode l’imprevedibilità del vivere, dove c’è ancora posto per quei sogni che ognuno cerca di inseguire in vari modi. L’assoluto e l’infinito però sono ancora molto lontani da noi. Se vogliamo coglierli, dobbiamo rifletterli nel viso dell’infanzia presente tra le casette, nel sorriso di una persona anziana, in un quadro di mezzo metro portato da casa. O dietro una lacrima.
Valerio Franconi
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