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L'enciclica Caritas in Veritate ribadisce l'equilibrio della posizione della Chiesa in materia sociale
Molti intellettuali americani, e qualche inglese, hanno per lungo tempo creduto che la Chiesa si collochi a destra su quasi tutte le questioni di politica ed economia. Negli Stati Uniti questo punto di vista è ampiamente sostenuto dalle pagine della National Review e di First Things. Nel Regno Unito, l’Institute for Economic Affairs è un think-tank con idee analoghe.
Questa visione pone due grandi problemi. Innanzitutto è errato. Il Magistero, a partire dall’Enciclica Rerum Novarum del 1891, ha appoggiato molte idee “di sinistra”: i diritti dei lavoratori, il valore delle autorità internazionali, la virtù di condividere i beni entro ed oltre i confini politici, l’inutilità della guerra, la necessità di vincolare le forze di “mercato”. Anche nel suo discorso del 1979 in cui ha ripudiato la matrice politico-teologica marxista della Teologia della liberazione, Papa Giovanni Paolo II ha ricordato ai Vescovi dell’America Latina che «la pace nazionale ed internazionale sarà possibile solo quando il sistema sociale ed economico sarà fondato su principi di giustizia».
Secondo, travisa la realtà. In un mondo di governi molto burocratici e di economie fortemente regolatere, proporre “mercati liberi” è poco più che una fantastica utopia. Critiche nei confronti di un invadente e demoralizzante Stato assistenziale avrebbero una maggiore validità, ma questi programmi sociali sono utili e non possono essere eliminati senza minacciare l’intero ordine sociale.
La debolezza del pensiero della destra è risultato ancor più evidente nella Caritas in Veritate di Benedetto XVI.
George Weigel, scrivendo sul National Review Online, ha sostenuto che tale Documento è stato scritto a due mani, ossia dal Pontefice e dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Egli non aveva tempo per ulteriori presupposti contributi.
La sua denuncia riguarda una concetto cardine della destra: il libero mercato. L’enciclica non lo appoggia. Infatti suggerisce che la giustizia commutativa del libero scambio non è sufficiente per avere una economia efficiente. La giustizia che passa attraverso una condivisione forzata (basata sulle tasse e sui servizi dello Stato assistenziale) è maggiore – in quanto riflette un principio di solidarietà sociale – ma non è ancora sufficiente. Uomini fatti ad immagine dell’amore gratuito di Dio necessitano di qualcosa in più:
«Quando la logica di mercato e quella dello Stato si accordano tra di loro per continuare nel monopolio dei rispettivi ambiti di influenza, alla lunga vengono meno la solidarietà nelle relazioni tra i cittadini, la partecipazione e l’adesione, l’agire gratuito, che sono un'altra cosa rispetto al “dare per avere”, proprio della logica dello scambio, e al “dare per dovere” proprio della logica dei comportamenti pubblici, imposti per legge dallo Stato. La vittoria sullo sottosviluppo richiede di agire non solo sul miglioramento delle transazioni fondate sullo scambio, non solo sui trasferimenti delle strutture assistenziali di natura pubblica, ma soprattutto sulla progressiva apertura, in contesto mondiale, a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e di comunione. Il binomio esclusivo mercato-Stato corrode la socialità … Il mercato della gratuità non esiste e non si possono disporre per legge atteggiamenti gratuiti. Eppure sia il mercato sia la politica hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco» (Caritas in veritate n. 39).Secondo Weigel l’invito alla gratuità è confuso ed esprime un “vago sentimentalismo”. Ma questa è una sciocchezza. Il linguaggio potrebbe essere più efficace, ma il pensiero è un chiaro sviluppo delle osservazioni di Giovanni Paolo II nella sua grande enciclica socialea Centesimus Annus: «Prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le son proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo,in forza della sua eminente dignità” (n. 34).
Weigel ha ragione a chiedere nuovi supplementi di pensiero su cosa significhi “dono” nel grande e spietato mondo dell’economia moderna. Ma sbaglia a ritenere che non significhi nulla. Senza doni gratuiti non esisterebbero i matrimoni, le famiglie, le scuole, gli ospedali, le chiese, le forze di polizia. A meno che l’attività economica non sia diversa da tutti gli altri comportamenti umani, anch’essa deve essere contrassegnata dalla gratuità.
Per la maggior parte la critica destra semplicemente ignora il capitolo 6 della Caritas in Veritate “Lo sviluppo dei popoli e la tecnica”. Forse questo importante discorso su un elemento chiave della società moderna è troppo europeo e difficile. Per alcuni appartenenti a una certa tendenza filosofica questo capitolo è la risposta del Magistero al saggio di Martin Heidegger del 1953 “La questione della tecnica”, nel quale si suggerisce che la moderna ossessione per la tecnologia abbia indotto l’uomo a credere di poter controllare i misteri dell’essere.
A differenza di Heidegger, il Papa vede molti aspetti positivi nella tecnologia: «Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia» (Caritas in veritate n. 69). Come Heiddeger, Benedetto vede anche qualcosa di sbagliato in questo intenso interesse moderno per la tecnica. Può essere la ricerca di una impossibile «libertà assoluta», che «vuole prescindere dai limiti che le cose portano in sé» (n- 70). Benedetto spiega perché il rifiuto di mostrare meraviglia e gratitudine verso il Creatore porti a un degrado dell’ambiente, agli orrori della bio-tecnologia e a un approccio riduttivo e strumentale a sfide apparentemente non tecniche, come la pace e la psicologia.
La Caritas in Veritate è un documento degno di nota. Offre una analisi unitaria delle sfide della società contemporanea. Così come ci si aspetta da un documento elaborato dal Magistero Ordinario della Chiesa essa poggia sul tradizionale pensiero sociale cattolico e sull’antropologia. La destra che critica l’enciclica sembra perdere punti.
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