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La scommessa giusta

La scommessa giusta - Una riflessione di Mons. Bruno Forte sul VII Incontro Mondiale delle FamiglieUna riflessione di Mons. Bruno Forte sul VII Incontro Mondiale delle Famiglie

ROMA, lunedì, 4 giugno 2012 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il fondo sul messaggio del VII Incontro Mondiale delle Famiglie che monsignor Bruno Forte, arcivescovo della diocesi di Chieti-Vasto (in Abruzzo), ha pubblicato ieri sul quotidiano Il Sole 24 Ore. Il presule ha partecipato al raduno milanese con una folta delegazione.

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Benedetto XVI concluderà oggi a Milano il VII Incontro Mondiale delle Famiglie sul tema “La famiglia, il lavoro, la festa” (30 Maggio - 3 Giugno 2012). È un evento dal messaggio forte e quanto mai attuale. Per coglierlo, parto da alcune frasi della lettera con cui il Santo Padre lo aveva convocato: “Ai nostri giorni l’organizzazione del lavoro, pensata e attuata in funzione della concorrenza di mercato e del massimo profitto, e la concezione della festa come occasione di evasione e di consumo, contribuiscono a disgregare la famiglia e la comunità e a diffondere uno stile di vita individualistico.

Occorre perciò promuovere una riflessione e un impegno rivolti a conciliare le esigenze e i tempi del lavoro con quelli della famiglia e a ricuperare il senso vero della festa, specialmente della domenica, giorno del Signore e giorno dell’uomo, giorno della famiglia, della comunità e della solidarietà”. Queste parole sottendono una visione alta del valore e del ruolo della famiglia: gli sposi uniti nel sacramento del matrimonio sono immagine della Trinità divina, del Dio, cioè, che è amore e perciò relazione e unità del Padre, che eternamente ama, del Figlio, eternamente amato, e dello Spirito, vincolo dell’amore eterno. In questa profondissima unità ciascuno è se stesso, mentre accoglie totalmente l’altro. Alla luce di questo modello, la vocazione matrimoniale è vista come unità piena e fedele dei due, comunione responsabile e feconda di persone libere, aperte alla grazia e al dono della vita agli altri.

Grembo del futuro, la famiglia è scuola di vita e di fede, nella quale i bambini, i ragazzi e i giovani possono imparare ad amare Dio e il prossimo, e gli anziani, preziosa radice, possono a loro volta sentirsi amati. La famiglia è, così, soggetto attivo nel cammino della comunità cristiana e della società civile, non solo destinataria di iniziative, ma protagonista del bene comune in ciascuno dei suoi componenti.

Perché questo avvenga, il patto coniugale, che è alla base della famiglia, va vissuto secondo alcune regole fondamentali: il rispetto della persona dell’altro; lo sforzo di capirne sempre le ragioni; il saper prendere l’iniziativa di chiedere e offrire perdono; la trasparenza reciproca; il rispetto dei figli come persone libere e la capacità di offrire loro ragioni di vita e di speranza; il lasciarsi mettere in discussione dalle loro attese, sapendole ascoltare e discutendone con loro; la preghiera, con cui chiedere ogni giorno a Dio un amore più grande, cercando di essere l’uno per l’altro e insieme per i figli dono e testimonianza di Lui.

Un simile stile di vita non è né facile, né scontato, e spesso le condizioni concrete dell’esistenza tendono a minarlo: si pensi alla fragilità psicologica e affettiva possibile nelle relazioni fra i due e in famiglia; all’impoverimento della qualità dei rapporti che può convivere con “ménages” all’apparenza stabili e normali; allo stress originato dalle abitudini e dai ritmi imposti dall’organizzazione sociale, dai tempi di lavoro, dalle esigenze della mobilità; alla cultura di massa veicolata dai media che influenza e corrode le relazioni familiari, invadendo la vita della famiglia con messaggi che banalizzano il rapporto coniugale.

Senza un continuo, reciproco accogliersi dei due, aprendosi al dono dall’alto, non ci potrà essere fedeltà duratura né gioia piena: “Il fiore del primo amore appassisce, se non supera la prova della fedeltà” (Søren Kierkegaard). Diventa allora più che mai vitale coniugare l’impegno quotidiano in famiglia a condizioni che lo sostengano nell’ambito del lavoro e nell’esperienza della festa.

Ogni lavoro - manuale, professionale e domestico - ha piena dignità: perciò è giusto e doveroso rispettare ognuna di queste forme, anche nelle scelte di vita che gli sposi sono chiamati a fare per il bene della famiglia e in particolare dei figli. Contribuisce al bene della famiglia tanto chi lavora in casa, quanto chi lavora fuori! Certo, il lavoro presenta spesso aspetti di fatica, che - secondo la fede cristiana - il Figlio di Dio ha voluto far propri per redimerli e sostenerli dal di dentro, come ricorda in una pagina bellissima il Concilio Vaticano II: egli “ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (Gaudium et Spes, 22).

Ispirandosi al Vangelo, è possibile, allora, formarsi come uomini e donne capaci di fare del proprio lavoro una via di crescita per sé e per gli altri, nonostante ogni sfida contraria. Ciò richiede di vivere il lavoro da una parte con piena responsabilità verso la costruzione della casa comune (lavorare bene, con coscienza e dedizione, quale che sia il compito che si ha); dall’altra, in spirito di solidarietà verso i più deboli, per tutelare e promuovere la dignità di ciascuno. In questa luce, si comprende pienamente come la mancanza di lavoro sia una ferita grave alla persona, alla famiglia e al bene comune, e perché la sicurezza e la qualità delle relazioni umane sul lavoro siano esigenza morale da rispettare e promuovere da parte di ognuno, a cominciare dalle istituzioni e dalle imprese.

A proposito della festa, infine, va evidenziato quanto essa aiuti la crescita della comunione familiare: nascendo dal riconoscimento dei doni ricevuti, che abbracciano i beni della vita terrena, le meraviglie della grazia accolta dall’alto e il continuo rinnovarsi dell’amore reciproco, la festa educa il cuore alla gratitudine e alla gratuità. Dove non c’è festa, non c’è gratitudine, e dove non c’è gratitudine, il dono è perduto! Occorre imparare, allora, a rispettare e celebrare la festa anzitutto come tempo del perdono ricevuto e donato, della vita resa nuova dalla meraviglia grata, fino a divenire capaci di vivere i giorni feriali col cuore della festa.

Questo è possibile, se si comincia dall’attenzione alle feste che scandiscono il “lessico familiare” (compleanni, onomastici, anniversari…), fino a celebrare fedelmente come famiglia l’incontro con Dio la domenica, giorno del Signore, incontro di grazia capace di produrre frutti profondi e sorprendenti. Chi vive la festa, è stimolato a esercitare la gratuità, sperimentando come sia vero che c’è più gioia nel dare che nel ricevere! La festa ci insegna come amare sia vivere il dono di sé tanto nelle scelte di fondo dell’esistenza, quanto negli umili gesti della vita quotidiana, imparando a dire parole d’amore e a compiere gesti corrispondenti, che sgorghino da un cuore grato e gioioso.

La negazione della festa, in particolare della domenica, è perciò un attentato al bene prezioso dell’armonia e della fedeltà coniugale e familiare: ed è significativo che questo messaggio risuoni da Milano, capitale vitale e laboriosa dell’economia e della produzione del Paese. Scommettere sulla famiglia fondata sul matrimonio e aperta al dono dei figli e impegnarsi a promuovere le condizioni di lavoro e di rispetto per la festa, che ne aiutano la serenità e la crescita, è contribuire al bene di tutti, liberandosi da logiche spesso riduttive e confuse riguardo al suo valore di cellula decisiva della società e del suo domani. È il messaggio che da Milano parte oggi per l’Italia e il mondo intero!

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