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L'uomo della Sindone è veramente Gesù?

L'uomo della Sindone è veramente Gesù? - Risponde la professoressa Emanuela MarinelliRisponde la professoressa Emanuela Marinelli

di Maria Chiara Petrosillo

 

ROMA, mercoledì, 9 maggio 2012 (ZENIT.org).- Se si parla di Sindone non si può non coinvolgere la Prof.ssa Emanuela Marinelli, studiosa autorevole e appassionata che si dedica da 35 anni a diffondere gli studi sindonici.

Laureata in Scienze naturali e geologiche, ha insegnato Iconografia e Simbologia Cristiana alla Lumsa, pubblicato 15 libri, la maggior parte dei quali tradotti in varie lingue, tenuto una media di 100 conferenze l’anno in 20 paesi del mondo, ed il suo sito internet Collegamento Pro Sindone conta, dal 1997 ad oggi, 168.889 utenti.

Il suo primo libro, “La Sindone: un enigma alla prova della scienza”, pubblicato nel 1990 da Rizzoli, è stata la prima indagine che, a 2 anni dall’esame del Carbonio 14, ne ha svelato luci ed ombre.

Gli studi e le ricerche della prof.ssa Marinelli sono in continuo aggiornamento, tant’è che abbiamo avuto modo di intervistarla non appena rientrata dal I Congresso internazionale sulla Sindone organizzato, a fine aprile a Valencia, dal Centro Spagnolo di Sindonologia.

Oggi, per il secondo anno consecutivo, è stata ospite dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, dove ha tenuto la conferenza “ La Sindone e l’iconografia di Cristo”.

Prof.ssa Marinelli, Lei ha incentrato il suo ultimo studio sulla Sindone e l’iconografia di Cristo. Il telo sindonico è dunque soltanto un’icona?

La Sindone è un lenzuolo straordinario perché la sua stoffa, oltre a essere macchiata di sangue umano, reca impressa l’immagine del cadavere che vi fu avvolto per poche ore. Le sofferenze subite dall’Uomo della Sindone coincidono esattamente con quanto descritto dai Vangeli. Una lunga tradizione identifica la Sindone con il lenzuolo funebre di Gesù, la sindón (lenzuolo) acquistata da Giuseppe d’Arimatea per la sua sepoltura, gli othónia (teli) che Pietro e Giovanni troveranno vuoti. La manifattura rudimentale della stoffa, la torcitura Z (in senso orario) dei fili, la rara e pregiata tessitura in diagonale 3 a 1, la presenza di tracce di cotone egizio, l'assenza di tracce di fibre animali, la grande abbondanza di pollini di provenienza mediorientale, la presenza di aloe e mirra, la presenza di un tipo di carbonato di calcio (aragonite) simile a quello ritrovato nelle grotte di Gerusalemme, una cucitura laterale identica a quelle esistenti su stoffe ebraiche del primo secolo rinvenute a Masada (un’altura vicina al  Mar Morto) rendono verosimile l'origine del tessuto nell'area siro-palestinese del primo secolo. 

L’unico test che ha fornito risultati contrari all’autenticità della Sindone è la prova del radiocarbonio (C14) che ne collocò l’origine nel Medioevo. La datazione radiocarbonica della Sindone, però, non è ritenuta valida per fondati motivi, in quanto il campione esaminato non era rappresentativo dell’intero tessuto.

Dunque la Sindone si può definire reliquia, come ha fatto Benedetto XVI nel suo recente libro Gesù di Nazareth (Vol.2, LEV 2011, pag. 254) e si può definire icona, ma chiarendo bene in che senso si usa il temine! Quando chiamiamo la Sindone “icona” ovviamente non intendiamo dire che si tratta di un dipinto ma di un’immagine che il corpo avvolto vi impresse misteriosamente. Benedetto XVI nella sua omelia del 2 maggio 2010 a Torino, davanti alla Sindone, l’ha definita un’Icona scritta col sangue, l’Icona del Sabato Santo. È questa immagine che ha ispirato la rappresentazione del Volto di Cristo più diffusa nell’arte paleocristiana.

Se il viso di Cristo rappresentato nell’arte paleocristiana deriva dalla Sindone, potrebbe esser questo un elemento per anticipare la datazione?

Certamente. Dopo un primo periodo di nascondimento, causato dalle persecuzioni, dal IV secolo il volto di Cristo viene raffigurato con numerosi elementi non regolari, difficilmente attribuibili alla fantasia degli artisti, chiaramente di ispirazione sindonica: i capelli sono lunghi e bipartiti; molti volti mostrano due o tre ciocche di capelli nel mezzo della fronte: può essere una maniera artistica di raffigurare il rivolo di sangue a forma di epsilon presente sulla fronte del volto sindonico; le arcate sopracciliari sono pronunciate; molti volti hanno un sopracciglio più alto dell’altro, come il volto sindonico; alla radice del naso alcuni volti hanno un segno come di un quadrato mancante del lato superiore e sotto di esso c’è un segno a V. Inoltre il naso è lungo e diritto; gli occhi sono grandi e profondi, spalancati, con iridi enormi e grandi occhiaie; gli zigomi sono molto pronunciati, talvolta con macchie; una zona abbastanza larga tra le gote del volto sindonco e i suoi capelli è rimasta senza impronta, cosicché le bande dei capelli appaiono come troppo distaccate dal viso; una guancia è molto gonfia a causa di un forte trauma, perciò il volto risulta asimmetrico; i baffi, che sono spesso spioventi, sono disposti asimmetricamente e scendono oltre le labbra da ciascun lato con un’angolatura diversa; la bocca è piccola, non nascosta dai baffi; c’è una zona senza barba sotto il labbro inferiore; la barba, non troppo lunga, bipartita e talora tripartita, è leggermente spostata da un lato.

Esistono delle tecniche per analizzare se le caratteristiche del volto sindonico che combaciano con quelle delle icone cristiane dei primi secoli?

Alan e Mary Whanger hanno usato la tecnica della sovrapposizione in luce polarizzata per fare questo confronto. È un metodo scientifico che è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Applied Optics (24, 6, 1985, pp. 766-772). Con questo metodo si confronta, ad esempio, un identikit con la foto segnaletica di una persona sospetta. Per il criterio forense statunitense sono sufficienti da 45 a 60 punti di congruenza per stabilire l’identità o la similarità di due immagini. La stessa tecnica è stata applicata a uno degli esempi più belli di Pantocrator: quello dell’icona del monastero di S. Caterina al monte Sinai (VI secolo), che presenta 250 punti di congruenza con il volto sindonico. E così molte altre icone o volti di Cristo su monete, reliquiari, ecc.

Che rapporto esiste tra la Sindone, la Veronica e il Mandylion?

Molte descrizioni e raffigurazioni del Mandylion sono strettamente legate alla Sindone. La presenza sulla Sindone delle tracce di otto pieghe ha richiamato l’antica descrizione del Mandylion, nascosto a Edessa in Turchia e riscoperto nel VI secolo, come tetrádiplon (quattro volte doppio); piegando la Sindone in otto si ha appunto il largo rettangolo con la testa al centro che si vede sulle copie del Mandylion. Esistono poi alcune descrizioni del Mandylion come un panno che recava l’immagine dell’intero corpo di Gesù; è quindi logico dedurre che il Mandylion fosse la Sindone ripiegata in modo da mostrare solo il viso. Invece Veronica, secondo una tradizione del XII secolo, è il nome della donna che avrebbe asciugato il viso insanguinato di Gesù sulla Via Dolorosa. Questo nome, secondo Gervasio di Tilbury (XIII secolo), deriva da «vera icona». La raffigurazione della Veronica mostra il Volto di Gesù su un panno ed è certamente ispirata dal Mandylion.

Quali sono le tesi più diffuse nell’ambito dell’iconografia sindonica?

Non tutti gli studiosi sono concordi nell’identificare la Sindone con il Mandylion, anche se gli indizi favorevoli sono numerosi; però tutti riconoscono che la Sindone è stato il modello ispiratore delle icone che raffigurano Gesù e anche di tutta l’iconografia legata alle scene della Passione, in particolar modo quella riguardante la deposizione di Gesù dalla croce e la sua sepoltura.

Sono emerse novità interessanti dal recente congresso Valencia?

Alcuni studiosi della storia della Sindone, Ian Wilson, Mark Guscin, Jorge M. Rodriguez, César Barta, hanno portato nuove prove favorevoli all’identificazione della Sindone con il Mandylion di Edessa. Ma anche in altri settori sono emerse nuove prove dell’autenticità della Sindone: ad esempio la palinologa Marzia Boi ha identificato, fra i pollini presenti sulla Sindone, quelli di piante dalle quali si estraevano balsami e unguenti usati dagli Ebrei per le sepolture, come l’elicriso, il galbano, il laudano, il lentisco. Tutto converge verso quel sepolcro dove un cadavere, preparato secondo gli usi giudaici, restò solo per poche ore…

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