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La famiglia che prega unita rimane unita

Il Rosario che educa all'amore e all'unità: una riflessione di padre Piero Gheddo del PIMEIl Rosario che educa all'amore e all'unità: una riflessione di padre Piero Gheddo del PIME

di Piero Gheddo

 

ROMA, venerdì, 18 maggio 2012 (ZENIT.org).- L’11 maggio scorso, Benedetto XVI, parlando alle Pontificie opere missionarie ha detto: “La missione ha oggi bisogno di rinnovare la fiducia nell’azione di Dio, ha bisogno di una preghiera più intensa”. E ha incoraggiato il progetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e delle Pontificie Opere Missionarie, per sostenere l’Anno della Fede: “Tale progetto prevede una campagna mondiale che, attraverso la preghiera del Santo Rosario, accompagni l’opera di evangelizzazione nel mondo e per tanti battezzati la riscoperta e l’approfondimento della fede”.

Perché recitare il Rosario? Perché la Mamma di Gesù porta le anime a Cristo. L’ho visto tante volte nelle missioni, fra i popoli non cristiani Maria è venerata e onorata da tutti e attraverso lei lo Spirito porta l’amore e la pace di Cristo.

Nel febbraio 1964 ero a Vijayawada, una delle diocesi fondate dal Pime in India, che oggi ha circa 5 milioni di abitanti e 270.000 cattolici. Il missionario padre Paolo Arlati, nel 1924 portò dall’Italia una grande statua della Madonna di Lourdes e i Fratelli del Pime la posero sul punto più alto della collina di Gunadala, che domina la città di Vijayawada, costruendo le strade e le scalinata che portano fin sotto ai piedi di Maria, posta in una grotta aperta per cui si vede anche da lontano. A poco a poco, prima i cristiani e poi indù e musulmani sono andati sulla collina di Gunadala a pregare Maria, che è venerata come la protettrice della città perché, nell’anno 1947, poco prima dell’indipendenza dell’India (15 agosto), le lotte sanguinose fra indù e musulmani insanguinavano l’India (circa cinque milioni di morti) e portarono alla divisione fra India e Pakistan. Vijayawada, città con molti musulmani, venne salvata da quelle stragi fratricide dalla Madonna di Gunadala, alla quale tutti accorrevano in preghiera. I pellegrinaggi avevano creato un clima di fraternità.

L’11 febbraio 1964 si celebrava, come ogni anno, la festa della Madonna di Lourdes. Per tutta la giornata precedente e nel giorno della festa, nelle strade che portavano sulla collina un continuo sali e scendi di devoti che vogliono toccare i piedi della Madonna, pregano, offrono incenso, qualcuno si fa tagliare i capelli in quel giorno, adempiendo il voto che aveva fatto. Un mare di gente che invade Gunadala, con lebbrosi, handicappati, ammalati portati su barelle fino ai piedi di Maria. In due giorni, circa 150.000 devoti di Maria, non pochi dei quali col Rosario al collo, anche i non cristiani, perché il Rosario è il segno sacro della “Bella Signora di Gunadala” che protegge la città e le famiglie. Ancor oggi, più di mezzo secolo dopo, la statua di Maria è sulla collina e si ripetono anche durante l’anno i pellegrinaggi anche da lontano verso la Madonna di Lourdes. Le voci popolari parlano di guarigioni miracolose e il primario dell’ospedale di Viajayawada mi diceva, nel 1964, di poter testimoniare la guarigione di almeno due lebbrosi e di altri malati. Ma il miracolo più grande è di aver portato indù e musulmani a vivere insieme in pace.

Il Rosario è la preghiera più semplice, più facile e più, diciamo, contemplativa, perché propone, uno ad uno, i misteri della vita di Cristo. E’ la preghiera che unisce grandi e piccoli, colti e incolti, ricchi e poveri, sani e ammalati. E’ la preghiera che unisce e tiene unite le famiglie. Una volta si diceva: “La famiglia che prega unita, rimane unita”. Il più bel ricordo che ho dei miei genitori e della mia famiglia sono i Rosari che recitavamo alla sera, dopo cena, seduti attorno al tavolo di cucina; oppure, nelle sere d’inverno (con le case non riscaldate), si andava nella stalla più vicina a dire il Rosario con altre famiglie, cantare il Salve Regina e le litanie, riscaldati dalla presenza di mucche e buoi, cavalli e capre, vitelli, conigli, anitre, galline, seduti sulla paglia. Allora non c’era né radio, né televisione né tanto meno discoteche e vita notturna. Si pregava assieme e si creava, nelle famiglie, nei vicini, nel paese, una comunità di vita e di fede.

Oggi prevale l’individualismo, tutti ci lamentiamo che ci sono troppe famiglie divise, troppe liti e violenze familiari. Quando si sfascia la famiglia, la società va in crisi e si sfascia anche lei. Contro questa deriva che porta all’auto-distruzione della nostra Italia, si invocano aiuti economici dallo stato, leggi, provvedimenti di assistenza sociale, si consultano psicologi e avvocati matrimonialisti. Tutto giusto. Ma bisogna anzitutto fare qualcosa per unire gli spiriti, i cuori, le volontà, altrimenti tutto diventa inutile. L’egoismo individuale non si vince con le leggi e gli aiuti economici, ma con l’amore, con la preghiera, perché solo l’aiuto di Dio in molti casi è efficace: Lui sa cosa c’è nel cuore dell’uomo e della donna. Ecco il Rosario che educa all’amore e all’unità, da recitare assieme, specialmente in questo mese di maggio e per il prossimo “Incontro Mondiale delle Famiglie” (Milano, 30 maggio – 1° giugno prossimi).

Ai tre pastorelli di Fatima, Lucia, Giacinta e Francesco, la Madre di Gesù, presentandosi come ‘la Madonna del Rosario’, raccomandò con insistenza di recitare il Rosario tutti i giorni, per ottenere la pace e la fine della guerra”. Accogliamo anche noi questa materna richiesta della Vergine, impegnandoci a recitare con fede la corona del Rosario per la pace nelle famiglie, nelle nazioni e nel mondo intero.

 

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