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Omelia del Card. Bagnasco durante la messa RAI con i giornalisti
ROMA, domenica, 20 maggio 2012 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito l'omelia tenuta questa mattina nella basilica romana di Santa Maria sopra Minerva dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della CEI, in occasione della XLVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.
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Cari Giornalisti e Operatori della Comunicazione sociale,
la solennità dell’Ascensione che oggi abbiamo la gioia di celebrare insieme porta, a compimento la parabola della vita di Gesù, Verbo di Dio incarnato, morto, risorto. Gesù è sottratto allo sguardo dei suoi discepoli, i quali d’ora in poi sono chiamati a vivere nell’attesa del suo ritorno glorioso annunciando il Vangelo ad ogni creatura. Da un lato Cristo viene sottratto ai nostri occhi, dall’altro comincia ad essere annunciato ad ogni creatura. Sembra di cogliere in questa apparente contraddizione una conferma di quanto Benedetto XVI ha proposto alla riflessione comune per l’odierna Giornata Mondiale della Comunicazioni Sociali, il cui tema è: ”Silenzio, Parola: cammino di evangelizzazione”. Il contrasto è solo di superficie giacché il silenzio non è il contrario della Parola, ma ne costituisce l’altro volto, è il grembo fecondo da cui soltanto può sbocciare la Parola. Proprio l’ascolto orante dei brani biblici che sono stati appena proclamati ce ne offre una conferma illuminante e incoraggiante allo stesso tempo.
1. Il brano degli Atti descrive in modo plastico l’ascensione e ci ricorda che in Cristo, l’uomo è entrato in modo inaudito e nuovo nell’intimità di Dio. Indica che il “cielo” non è un luogo sopra di noi, ma è il trovare posto dell’uomo in Dio. Grazie a Gesù che “siede alla destra del Padre” anche noi possiamo stare alla presenza di Dio, nella misura in cui ci avviciniamo ed entriamo nella via del Vangelo. Si comprende allora il senso dell’affermazione rivolta a quegli uomini di Galilea: “perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Gesù non cessa di essere presente in mezzo a noi, anzi, per mezzo di noi, vuole essere ancor più presente nella storia. Di qui il dovere della missione, della testimonianza, della predicazione. Non ci è consentito di attardarci ad ipotizzare il futuro o ad attendere inoperosi o peggio distratti. Ci è chiesto piuttosto di prolungare la sua presenza visibile attraverso l’esperienza viva della Chiesa. Nel periodo che intercorre tra la resurrezione ed il ritorno del Signore alla fine dei tempi, l’evangelizzazione è la forma che rende possibile l’esperienza della salvezza che cambia l’esistenza dell’ uomo. Si tratta di un dovere, ma ancor più di un bisogno dell’anima che non può trattenere la gioia solo per sé ma desidera condividerla con il mondo. Ciò esige che ciascun discepolo senta rivolta anzitutto a sé la domanda radicale sulla fede e intensifichi personalmente la sua ricerca del Volto santo di Dio. Diversamente, non si avranno degli annunciatori, ma solo dei propagandisti che non suscitano interesse alcuno.
2. L’evangelizzazione è una forma di comunicazione dove si impara ad ascoltare prima ancora che a parlare e dove si tratta di trovare sempre un nuovo “equilibrio tra silenzio, parola, immagini, suoni”, come suggerisce Benedetto XVI nel suo Messaggio. Anche nella comunicazione sociale che costituisce l’oggetto del vostro lavoro, è necessario rinvenire un tale ‘ecosistema’. Il silenzio è infatti condizione dell'ascolto di sé, della contemplazione, del discernimento, senza dei quali non esiste libertà vera, ma si resta risucchiati dall'ambiente e quasi anestetizzati dalle sue sollecitazioni caotiche. Soprattutto oggi il flusso informativo sempre più incalzante rischia di disorientare e di creare una sorta di saturazione del giudizio critico che è come sopraffatto dalla mole di dati in nostro possesso. Il problema non è l’informazione, ma la capacità di rielaborare un senso e dunque di cogliere una direzione di marcia rispetto a quello che sta accadendo: per questo si richiede un esercizio continuo di vigilanza e di critica che non abdichi alla nostra libertà e sappia farsi carico della complessità del reale. A ciò si aggiunga un altro elemento che è la capacità del silenzio di rendere corposa la parola che utilizziamo. Immaginiamo i ritmi obbligati e incalzanti del vostro lavoro, che certamente non favoriscono tempi prolungati di silenzio e di meditazione, ma restano comunque un’esigenza e sono certo un desiderio per ciascuno di voi. Senza, sappiamo tutti quanto sia più difficile mantenere la barra diritta del nostro agire senza cedere alla dittatura delle opinioni. La capacità di esercitare un sano discernimento, la libertà interiore rispetto ai condizionamenti esterni, nonché l’amore alla verità rispettosa di tutti, nell’orizzonte deontologico che vi specifica, sono fra le qualità più necessarie per una comunicazione che sia un vero servizio alla crescita della comunità e dell’anima di un popolo.
Mentre Vi ringrazio di cuore per l’impegno che mettete ogni giorno nel Vostro delicata e decisiva attività di comunicazione, prego con Voi il Signore perché “illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi che crediamo…” (Efesini, 1, 18-19).
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