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Giuseppe Tanzella-Nitti spiega come la scienza si è diffusa attraverso la rivelazione cristiana
di Giuseppe Tanzella-Nitti
direttore del Centro di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede
ROMA, sabato, 4 febbraio 2012 (ZENIT.org).- Negli ultimi anni il panorama editoriale degli studi interdisciplinari che affrontano temi all’intersezione fra pensiero scientifico, filosofia e teologia si è progressivamente arricchito di numerosi contributi. Ben rappresentato in ambito anglosassone da autori come John Polkinghorne, Ian Barbour, Paul Davies, John Barrow – solo per citare alcuni nomi noti al grande pubblico –, questo settore ha trovato anche in Italia terreno fertile, dando origine a numerosi convegni, opere collettive e un certo numero di monografie qualificate. Fra i primi tentativi di mostrare al pubblico italiano l’incidenza e le numerose implicazioni filosofiche di un simile, innovativo dialogo, si collocava circa dieci anni orsono il Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede (2002), curato da Alberto Strumia e dal sottoscritto, opera che ebbe la fortuna di avvantaggiarsi di numerosi autori con esperienza, e spesso anche con titoli accademici, sia in ambito umanistico che scientifico. A partire da quella fortunata contingenza, il tempestivo allestimento di un Portale di Documentazione Interdisciplinare – che, oltre a rilanciare alcune voci di quel Dizionario, anche nella loro traduzione inglese, proponeva adesso rubriche, brani antologici e orientamento bibliografico su questi medesimi temi – favorì il rapido contatto di un certo numero di studiosi, buona parte di essi giovani, tutti interessati ad approfondire in modo vivo i rapporti fra scienza e teologia, quasi una sorta di social network precoce. Vari di loro diedero vita nel 2005 a un Seminario Permanente tenutosi a Roma, che con incontri periodici ha coinvolto oltre un centinaio di giovani laureati provenienti da tutta Italia, tenendoli impegnati sulle maggiori questioni inerenti il rapporto fra fede e ragione, declinato in scansione storica, epistemologica e antropologica. Le relazioni tenute dai docenti invitati, così come le soluzioni ai problemi proposti ai vari gruppi di lavoro al termine di ogni seminario, sono stati resi regolarmente disponibili al pubblico sulla piattaforma didattica del Portale di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede www.disf.org, favorendo così la diffusione di questi contenuti di studio e di riflessione. Gli incontri con i relatori, sempre proficui e stimolanti, sono spesso maturati in colloqui e dibattiti, dando origine a una condivisione di esperienze e di riflessioni che non sempre è stato possibile partecipare ai visitatori del sito. È proprio il contenuto di alcune di queste conversazioni che i membri del Working Group vogliono proporre nel volume Conversazioni su scienza e fede (Lindau).
Vi sono raccolte le interviste rivolte ad alcuni dei docenti ospiti del Seminario Permanente, organizzate in una forma che ci auguriamo risulti di facile lettura anche per i non esperti. Tutti i testi sono stati rivisti dai rispettivi autori, garantendo così la fedeltà e l’accuratezza dei contenuti trasmessi, anche se presentati sotto forma di risposte alle domande rivolte da chi ha curato l’intervista. I testi offerti sono in certo modo rappresentativi del percorso svolto, del quale intendono mettere in luce alcuni passaggi essenziali, senza per questo voler coprire l’intero spettro delle tematiche affrontate e dei problemi discussi. La modalità con cui vengono presentati i rapporti fra scienze, filosofia e teologia può risultare forse inconsueta, avendo appunto scelto la formula di una «conversazione». Il titolo le indica giustamente come conversazioni su «scienza e fede», perché l’elaborazione teologica è finalizzata all’intelligenza della fede, un’intelligenza che il credente impegnato nella ricerca scientifica e filosofica desidera in ultima analisi accrescere quando si accosta allo studio della natura, della vita e della persona umana. Lo spirito che ha animato la logica del Seminario Permanente del Working Group è in fondo quello che aveva animato a suo tempo la preparazione del citato Dizionario. Si tratta della convinzione che le domande esistenzialmente significative che sorgono all’interno del lavoro scientifico non debbano essere tacitate, epistemologicamente delegittimate o rimandate solo alle discussioni private.
Pur non potendo affrontarsi esaurientemente, e per motivi ovvi, all’interno del metodo scientifico-sperimentale, esse hanno diritto di cittadinanza nei laboratori di analisi e negli studi dei fisici teorici, nelle sedi in cui nascono i progetti di ricerca e nelle aule universitarie. Esse sono domande del soggetto che fa ricerca e come tali finiscono col motivare e illuminare la sua attività, mostrandola appunto significativa, a se stessi e alla comunità sociale entro la quale il ricercatore opera. Il soggetto non può rinunciare al desiderio di unità del sapere, anche se la costruzione di tale unità costa certamente sforzo e richiede un impegno a tutto campo. L’interdisciplinarietà non è solo strategia pragmatica, ma deve divenire anche dialogo fra le varie fonti di conoscenza alle quali l’esperienza intellettuale del soggetto ha accesso. Fra queste fonti, l’intellettuale credente colloca anche la propria fede e chiede alla teologia il compito di elaborarne i contenuti per porli in dialogo con il resto delle conoscenze acquisite. Come il lettore potrà vedere, il contesto teologico al quale ci siamo riferiti nel corso dei lavori del Seminario Permanente è stato quello della Rivelazione ebraico-cristiana, sia a motivo delle sue storiche interazioni con il pensiero scientifico nel mondo occidentale, sia perché sul terreno di questa tradizione religiosa sono nati e si sono sviluppati gli studi universitari che avrebbero ben presto conferito sistematica e diffusione prima alla filosofia naturale e poi alle scienze propriamente dette. Riteniamo che tale scelta non rappresenti alcuna limitazione nell’approccio alle varie tematiche, restando giustificata anche in un contesto pluralista, proprio a motivo delle ragioni storiche e culturali appena delineate. Vi è inoltre un’ulteriore prospettiva che ha accompagnato i lavori del Working Group.
Potremmo qui indicarla come la persuasione circa l’importanza di evidenziare, e di costruire pazientemente, i contenuti di un «umanesimo scientifico», un umanesimo che risulti condivisibile da tutti coloro che si occupano di ricerca scientifica e delle sue applicazioni. La conoscenza scientifica possiede infatti un importante valore immanente al soggetto, ne rivela cioè la specifica dignità nel panorama del cosmo e la vocazione alla conoscenza della verità; ma essa costituisce anche, per l’uomo di scienza, un’ineludibile responsabilità, quella di cooperare alla promozione dei popoli e del loro bene comune, alla qualità della loro vita. Nel modello oggi più diffuso, quello di una visione funzionale, e dunque neutrale della scienza, direzioni e mete del progresso tecno-scientifico andrebbero decise in un ambito etico-filosofico inteso come essenzialmente distinto dall’attività delle scienze e dello scienziato, orientando pertanto la prassi scientifica in modo strumentale e pragmatico: la scienza, di per sé, non sarebbe fonte di pensiero umanistico. Secondo il modello della cosiddetta «Terza cultura», oggi in ascesa, essendo la conoscenza scientifica l’unica capace di orientare la società umana in modo efficace, gli uomini di scienza sarebbero promossi al ruolo di guide morali, e forse anche a quello di guide politiche e di governanti, ma il metodo per risolvere i problemi resterebbe in fondo sempre quello scientifico-sperimentale, con l’evidente rischio di cadere nel riduzionismo e nel pragmatismo.
La proposta dell’umanesimo scientifico percorre invece una strada assai diversa. Mentre per il modello funzionalista la scienza non è fonte di valore umanistico e nel modello della Terza cultura tale valore gli viene assegnato estrinsecamente, come risultato di una decisione strategica, l’umanesimo scientifico sottolinea che la scienza e il progresso da essa generato sono un valore umano in sé, rappresentano una grande risorsa educativa, rivelano e accrescono la dignità dell’uomo e sono per lui fonte di libertà. La conoscenza scientifica è un’esperienza di servizio, finalizzata ad aiutare l’umanità a superare i limiti della povertà, della malattia, del sottosviluppo, liberandola dai condizionamenti dell’ignoranza e dalla superstizione. Il ricercatore, in quanto uomo di scienza, possiede una specifica responsabilità sociale che lo muove a un impegno di promozione culturale e umana. In sostanza, proprio perché sa di più, lo scienziato può e deve servire di più. Anche se l’umanesimo scientifico e la prospettiva sapienziale che lo anima hanno trovato in Occidente un importante veicolo di diffusione proprio attraverso la Rivelazione cristiana, specie mediante la presenza della riflessione teologica all’interno dei campus universitari, riteniamo si tratti di una riflessione che si innesta in una tradizione, sapienziale appunto, ben più ampia. Essa può accomunare, nel presente come nel passato, popoli e culture diverse, che condividono un senso di rispetto e di stupore nei confronti della realtà naturale, valorizzano la dimensione di servizio alla società posseduta dal lavoro, riflettono volentieri sui temi centrali dell’esistenza umana partendo dall’osservazione del cosmo e della vita. La conoscenza scientifica contemporanea partecipa di tutti questi elementi. Grazie a essa lo stupore per la natura è ancora aumentato divenendo perfino, in alcuni uomini di scienza, senso di riverenza e apertura all’Assoluto; le potenzialità di promozione umana e di servizio alla società sono anche, sempre grazie a essa, enormemente aumentate; e l’attenzione ai grandi interrogativi esistenziali sul ruolo e sul significato della vita umana nel cosmo non solo non sono stati spenti dalla ricerca scientifica ma, proprio al contrario, sono stati da questa riaccesi, come possono tutti facilmente constatare quando si esamina, liberi da pregiudizi, il dibattito culturale attorno a noi.
I dialoghi di queste «conversazioni su scienza e fede» vogliono parlare di tutto ciò, e farlo con un linguaggio che riflette la freschezza e l’interesse dei giovani ricercatori che l’hanno promosso. Forse un po’ controcorrente rispetto ai tempi, parleremo di unità del sapere, di fondamenti filosofici del sapere scientifico, di progresso scientifico al servizio del progresso umano, di apertura della scienza alla domanda sul Fondamento di tutto (… e questo tutti chiamano Dio, direbbe senza dubbio san Tommaso d’Aquino), di origine del cosmo e dell’uomo alla luce della Rivelazione cristiana e dei suoi rapporti con le scienze, di buona e di cattiva divulgazione scientifica. La delicatezza delle questioni affrontate richiede certamente un supplemento di attenzione e di pazienza nel seguire le argomentazioni proposte dai relatori intervistati, perché l’attrattiva e la curiosità che ciascuno di noi sperimenta quando si toccano i «grandi interrogativi» non deve mai tradursi in superficialità o pressapochismo. La sfida, forse, sta proprio qui, nel desiderio di far cogliere la profondità delle cose, invitando a percorrere tutto il cammino necessario per accostarsi alle risposte o, almeno, per riconoscere i binari giusti lungo cui cercarle.
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