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Il latino è ancora vivo!

Il 22 febbraio 1962 Giovanni XXIII firmò la Costituzione apostolica Veterum Sapientia Un convegno celebra il 50° anniversario della Veterum Sapientia. Maggiori informazioni a questo indirizzo

di Salvatore Cernuzio

 

ROMA, lunedì, 6 febbraio 2012 (ZENIT.org) - Il 22 febbraio 1962 Giovanni XXIII firmò la Costituzione apostolica Veterum Sapientia sullo studio e l’uso del latino, in cui auspicava, tra l’altro, la creazione di un Academicum Latinitatis Institutum.

Quest'ultimo verrà, poi, istituito da Paolo VI con la Lettera apostolica Studia Latinitatis del 22 febbraio 1964, affidando alla Società Salesiana il compito di «promuoverne la prosperità».

Dopo mezzo secolo, il Pontificium Institutum Altioris Latinitatis vuole ripercorrere, quindi, con il convegno del 23 febbraio, 50° Veterum Sapientia – Storia, cultura e attualità, alcuni elementi significativi di tale storia, per rispondere alle sfide di impegno culturale che oggi lo studio delle lingue classiche pone.

Don Roberto Spataro, docente presso la Facoltà di Lettere Cristiane e Classiche dell’Università Pontificia Salesiana, intervistato da ZENIT, ne approfondisce i contenuti.

Prof. Spataro da cosa nasce l’idea di questo convegno e quali obiettivi si pone?

Don Spataro: Il convegno nasce dal 50° anniversario della promulgazione di un documento solenne, la Veterum Sapientia, purtroppo presto ingiustamente dimenticata.

Intendiamo rileggere quel documento e mostrare come sia ancora molto attuale nel proporre la necessità che nella Chiesa, soprattutto tra i sacerdoti, siano conosciuti i grandi valori etici, spirituali, religiosi che il mondo antico elaborò e il Cristianesimo perfezionò, costruendo così le basi della civiltà contemporanea.

La Veterum Sapientia dice, infatti, ciò che ci insegna Benedetto XVI: la ragione che ispirò gli autori classici antichi e gli umanisti moderni, oltre alla fede dei Padri e Dottori della Chiesa che hanno scritto e pensato in latino, sono “amiche e alleate per il bene dell’uomo”.

Molti sostengono che il latino sia una “lingua morta”. Qual è la sua opinione in proposito?

Don Spataro: Questa è un’espressione veramente infelice. Mi chiedo come possa definirsi morta la lingua in cui hanno scritto Seneca, Sant’Agostino, Tommaso d’Aquino e generazioni di scienziati, da Galvani, inventore dell’elettricità, a Gauss, il “principe dei matematici”…

Come può ritenersi “morta” una lingua che, se studiata come è studiata oggi da tante persone, alimenta pensieri alti e nobili? Senza dimenticare che è la lingua sovranazionale della Santa Sede; che circoli di umanisti l’adoperano come strumento di comunicazione orale e che la liturgia in lingua latina raccoglie, in numero sempre crescente, fedeli, per la maggior parte giovani.

Negli ultimi tempi, invece, sembrava che la lingua latina si stesse estinguendo: i seminaristi non la studiavano più e non veniva usata in liturgia. Cosa sta facendo il vostro Istituto per questa situazione?

Don Spataro: Negli ultimi anni all’interno della Chiesa cattolica, si sono registrati timidi segnali di ripresa per l’interesse e lo studio del latino. Tra questi: la nascita di comunità religiose e movimenti laicali che hanno compreso bene come alla Tradizione, alla vita stessa della Chiesa, appartenga un patrimonio preziosissimo di espressioni liturgiche, canoniche, magisteriali, teologiche, il cui contenuto è comprensibile solo nella sua forma linguistica, cioè il latino. Il nostro Istituto desidera, perciò, formare sempre più ecclesiastici e laici in grado di apprezzare e attualizzare questo patrimonio, in modo che ogni Chiesa possa avvalersi di persone che amano il vero e il bello armoniosamente coniugati in questa lingua.

In molte parti del mondo, sembra che stia rinascendo un grande interesse per il latino. E' vero?

Don Spataro: È vero! Tempo fa, un illustre professore universitario tedesco mi disse che in Germania sono più di 800.000 gli studenti delle scuole superiore e degli istituti universitari che si occupano di latino. Nel nostro istituto, ad esempio, accogliamo studenti della Cina, inviati dalle loro università, perché sentono il bisogno di conoscere la civiltà europea e le sue radici culturali espresse in lingua latina.

Quali sono le ragioni di questo rinnovato interesse?

Don Spataro: Parlando con professori e studenti provenienti da tutto il mondo, ho maturato questa convinzione: si sente il bisogno di studiare il latino per accedere a un mondo, una res publica litterarum, di elevatissimo livello spirituale. La crisi economica e finanziaria attuale non è più grave di quella etica ed antropologica. I giovani che in tante parti del mondo studiano le opere scritte in latino, da Cicerone a Cipriano a Erasmo da Rotterdam, sono stanchi e delusi dai “cattivi maestri” dell’epoca contemporanea e vogliono riappropriarsi di un pensiero puro, vero. Lo studio del latino consente di riacquistare questa ‘innocenza spirituale’.

Anche nelle scuole media italiane c'è un ritorno dello studio del latino…

Don Spataro: Il latino è una lingua molto piacevole da apprendere, ad una condizione: che si abbandoni il metodo che grava morbosamente nelle scuole, imposto dal filologismo tedesco a partire dal secolo XIX. Se insegnato, invece, con i metodi dei grandi umanisti - ad esempio quello praticato per secoli nelle scuole dei Gesuiti, ovvero il ‘metodo-natura’ appreso in 150 ore - uno studente, senza eccessive fatiche e soprattutto senza noia, è in grado di leggere già i classici. C’è bisogno di una nuova generazione d’insegnanti che conoscano questo metodo e lo adottino con entusiasmo perché fa miracoli!

Ci sono esempi del successo di questo metodo?

Don Spataro: Certamente! Un esempio è l’Accademia Vivarium Novum, un’istituzione con la quale la nostra Facoltà collabora da tempo e che opera a Roma. Giovani provenienti da tutto il mondo si fermano lì, uno o due anni, per studiare latino e greco. Arrivano senza conoscere una parola della lingua di Cesare e di Platone e dopo pochi mesi sono in grado di parlare fluentemente in latino, acquisendo, alla fine del percorso, una vera conoscenza della civiltà umanistica, cioè degli autentici valori dell’uomo che vengono dalla Veterum Sapientia.

 

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