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Intervista a Mons. Jacques Perrier, vescovo di Tarbes-Lourdes, in occasione della giornata mondiale del malato
di Anita Bourdin
ROMA, giovedì, 9 febbraio 2012 (ZENIT.org) – La festa liturgica della Madonna di Lourdes, che si celebrerà tra due giorni, sabato 11 febbraio, coincide con la Giornata Mondiale del Malato. Per l’occasione Zenit ha intervistato monsignor Jacques Perrier, vescovo di Tarbes-Lourdes.
Monsignor Perrier, Giovanni Paolo II ha scelto che la Giornata Mondiale del Malato coincidesse con la festa di Nostra Signora di Lourdes: perché questa Giornata e perché Lourdes?
Mons. Perrier: Ovviamente, l’istituzione del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute e della Giornata Mondiale del Malato scaturisce dall’esperienza personale di Giovanni Paolo II. Il Santo Padre impiegò molto tempo prima di tornare all’attività normale dopo l’attentato del 13 maggio 1981, i cui postumi ha conservato per sempre. Ma non è l’unica ragione. Giovanni Paolo II era convinto che la preghiera e l’offerta dei malati giocavano un ruolo importante nella santificazione della Chiesa e nell’evangelizzazione. Il titolo della sua Lettera Apostolica Salvifici doloris è altrettanto rivelatore del suo pensiero, quanto provocatorio per l’opinione.
Per quanto riguarda la scelta di Lourdes, che è nota per le sue guarigioni, essa dimostra che Dio è promessa di vita, che il desiderio di guarire è perfettamente legittimo e che l’attività del personale curante deve essere apprezzato e sostenuto dalla Chiesa. Bernadette, diventata suora, è stata un’ottima infermiera, nonostante la sua debole formazione iniziale.
A Lourdes, quali sono i vari aspetti di questa giornata?
Mons. Perrier: La cosa strana è che l’11 febbraio i malati sono molto pochi a Lourdes. D’inverno gli accueils (punti di accoglienza, ndr) non sono aperti. Sono quindi i malati e i disabili di Lourdes stessa che rappresentano tutti coloro che verranno nei mesi successivi.
Quest’anno, il messaggio di Benedetto XVI insiste sui sacramenti di guarigione: può raccontarci di più?
Mons. Perrier: Dal Concilio Vaticano II e la riforma liturgica che ha indotto, la Chiesa non parla più di “estrema unzione”, con tutto il carico “funereo” che quelle parole comportavano nella mentalità comune. Ma è un errore definire l’unzione degli infermi come il “sacramento degli infermi”, come se fosse l’unico sacramento adatto alla situazione dei malati: anche la Riconciliazione e l’Eucaristia lo sono. L’Eucaristia non è il pegno della vita eterna? “Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”.
C’è un tipo di malattia particolarmente difficile per accompagnare: la malattia mentale. Lei raccomanda i sacramenti anche per queste malattie?
Mons. Perrier: Sì. Perché dovrebbero esserne esclusi? La malattia psichica e la grazia del sacramento non si trovano sullo stesso livello. Ma l’essere umano è unificato. Le interazioni sono possibili. Ma i sacramenti di guarigione spirituale non esimono dalle cure mediche, sia corporali che psichiche.
A Lourdes non c’è solo la grotta, ci sono gli ospedali e i cappellani. Quali sono le sfide che i cappellani ospedalieri devono affrontare oggi?
Mons. Perrier: La sfida principale nella nostra cultura attuale è quella di dare un senso alla sofferenza che i progressi della medicina hanno permesso di ridurre ma non eliminare. Questa sofferenza è molteplice, non solo fisica. L’iter che porta all’offerta di sé è un cammino arduo. Papa Giovanni Paolo II ne aveva umilmente parlato a Lourdes il 15 agosto 1983. È un vero e proprio cammino di conversione: la preghiera della comunità cristiana e della comunione dei santi deve essere sollecitata.
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