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La riflessione del Card. Ravasi al convegno "Gesù nostro contemporaneo"
di Salvatore Cernuzio
ROMA, venerdì, 10 febbraio 2012 (ZENIT.org) – Gesù Cristo è vivo e presente in mezzo a noi. È questo il messaggio che il congresso internazionale “Gesù nostro contemporaneo”, iniziato ieri nell’Auditorium della Conciliazione, ha voluto ribadire ai più di 600 partecipanti sparsi nei vari eventi a due passi da San Pietro.
Il primo appuntamento del Congresso, dal titolo “Accadde a Dio in Palestina”, infatti, non è rimasto fermo all’Auditorium, ma si è diramato in una serie di incontri paralleli in posti vicini come il Palazzo Pio X, dove si è svolta l’interessante ‘conversazione’ con il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, intervenuto su “Le rappresentazioni del corpo di Gesù”.
La carnalità di Cristo è stata, infatti, al centro del discorso del porporato, quale tesoro immenso donato a noi uomini perché “immagine visibile del Dio invisibile”. Una carnalità che resta più attuale che mai e che il cardinal Ravasi ha voluto illustrare attraverso sei elementi.
Primo fra questi: le mani “elemento fondamentale nel racconto evangelico perché coinvolto in tutti i miracoli da Lui compiuti”. “Nel Vangelo di Marco – ha spiegato il cardinale – il 43 % dei racconti è costituito da guarigioni: Cristo viene travolto dalla carnalità malata, come lebbrosi e ciechi. Entrando in essa le sue mani diventano quindi elemento di salvezza”.
Poi, le labbra: “La parola è fondamentale nell’essere della persona carnale ma al tempo stesso spirituale e Cristo, da questo punto di vista, è una figura capitale in quanto, vero e proprio parlessere”. E i piedi: “I discepoli ai piedi del maestro, un aspetto curioso presente nella cultura contemporanea se pensiamo, ad esempio, alla posizione nelle conferenze” oppure Giairo che gli si getta ai piedi per gridare il suo bisogno, in un segno di adorazione “simile a quello che compiamo noi oggi nei santuari mariani”.
Ancora: il cibo. “Cristo più volte è rappresentato in questo segno così umano del mangiare - ha affermato il porporato – emblematico è il vangelo di Luca in cui Gesù, per dimostrare ai discepoli di non essere un fantasma, prese una porzione di pesce e lo mangiò”. “L’identità quindi affidata alla corporeità” ha concluso il cardinale.
In ultimo, il costato da cui uscì sangue ed acqua e l’elemento “più sconcertante, che ha messo in crisi la teologia delle origini”: il cadavere.
“Gesù Cristo ha abbracciato così in pieno la dimensione carnale – ha rimarcato il card. Ravasi - da assumersene anche gli aspetti più sofferenti: la solitudine, la paura, fino al più pesante, ovvero la morte”. Attraverso di essa, però, ha sottolineato, “Dio è diventato incarnazione suprema, celebrando la carne del corpo che dà vita al trionfo”.
Riscoprire quindi la simbolicità di questo Corpo non “rianimato”, ma “pneumatico e spirituale”, può essere una via per avvicinare alla fede e alla figura straordinaria di Gesù Cristo la società odierna, e in particolare le nuove generazioni a cui spesso viene trasmesso un modo sbagliato di rapportarsi al proprio corpo.
ZENIT ha posto questa ed altre domande al cardinal Ravasi in una breve intervista concessa al termine dell’incontro.
Card. Ravasi: “Credo che riscoprire il corpo di Cristo sia una delle vie principali per arrivare alla fede. Le nuove generazioni, ma anche la cultura contemporanea in genere, ha dato al corpo un rilievo estremo umiliandolo però alla fine. Da un alto l’ha ridotto semplicemente a un grumo di cellule, non assegnandogli nessuna qualità trascendente; dall’altro lo adora – pensiamo solo a quanto tempo si perde, ad esempio per il fitness – considerandolo alla pari di un oggetto.
Se riuscissimo, invece, a riscoprire la dimensione umana e profonda del corpo, forse avremmo trovato una buona strada sia per rivelare la grande forza del cristianesimo; sia per vivere in maniera più esaltante, senza degradare il nostro corpo come accade nella persona drogata, nella persona sfinita che non ha più interesse per esso”.
Alla luce di questi discorsi, possiamo veramente affermare che Gesù attraverso la sua incarnazione è davvero nostro contemporaneo?
Card. Ravasi: “La sua contemporaneità sta proprio nel fatto che Lui ha usato il corpo in tutte le sue dimensioni: dagli occhi, alle mani, ai piedi, alle labbra, fino a quando morendo ha provato anche cosa vuol dire il dolore lacerante sia fisico che spirituale.
All’interno di tutto questo itinerario, possiamo vedere come ci sia continuamente la nostra storia. Noi siamo infatti come delle “epifanie” di un mistero ed è per questo che l’esercizio più difficile, allora, non è tanto riscoprire la vicinanza di Cristo a noi con il Suo corpo; ma è scoprire che il Suo corpo ci parla di qualcosa che è altro e oltre e che anche i nostri corpi sono sacri perché hanno nell’interno una dimensione misteriosa che va al di là della pelle”.
Di cosa c’è bisogno per fare questa scoperta meravigliosa?
Card. Ravasi: “Soprattutto di ritrovare la relazione tra persone, non si può più stare fermi davanti allo schermo di un computer, immersi in una comunicazione fredda con volti artificiosi e irreali. Ritrovare l’incontro tra le persone vuol dire ritrovare l’incontro con lo Spirito e quindi anche con il mistero, con Dio.
L’incontro con Dio, infatti, non è un’esperienza che si fa semplicemente con il pensiero, ma attraverso l’incontro con le persone, con la storia, con il cosmo.
Possiamo dire che la relazione con l’altro, di Amore per l’altro, come ci ha insegnato Gesù Cristo, diventa il grande paradigma della fede”.
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