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Anche tra i migranti va portato il messaggio di Gesù

Tre membri del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti commentano il messaggio del Santo PadreTre membri del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti commentano il messaggio del Santo Padre per la Giornata Mondiale del prossimo 15 Gennaio, di cui riportiamo il testo

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 25 ottobre 2011 (ZENIT.org) -Riportiamo il messaggio del Santo Padre Benedetto XVI in vista della 98a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che avrà come tema Migrazioni e nuova evangelizzazione e sarà celebrata domenica 15 gennaio 2012.

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Cari Fratelli e Sorelle!

Annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo "costituisce la missione essenziale della Chiesa, compito e missione che i vasti e profondi mutamenti della - società attuale non rendono meno urgenti" (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 14). Anzi, oggi avvertiamo l’urgenza di promuovere, con nuova forza e rinnovate modalità, l’opera di evangelizzazione in un mondo in cui l’abbattimento delle frontiere e i nuovi processi di globalizzazione rendono ancora più vicine le persone e i popoli, sia per lo sviluppo dei mezzi di comunicazione, sia per la frequenza e la facilità con cui sono resi possibili spostamenti di singoli e di gruppi. In questa nuova situazione dobbiamo risvegliare in ognuno di noi l’entusiasmo e il coraggio che mossero le prime comunità cristiane ad essere intrepide annunciatrici della novità evangelica, facendo risuonare nel nostro cuore le parole di san Paolo: "Annunciare il Vangelo non è per me un vanto; perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!" (1Cor 9,16).

Il tema che ho scelto quest’anno per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato – "Migrazioni e nuova evangelizzazione" – nasce da questa realtà. L’ora presente, infatti, chiama la Chiesa a compiere una nuova evangelizzazione anche nel vasto e complesso fenomeno della mobilità umana, intensificando l’azione missionaria sia nelle regioni di primo annuncio, sia nei Paesi di tradizione cristiana.

Il Beato Giovanni Paolo II ci invitava a "nutrirci della Parola, per essere «servi della Parola» nell’impegno dell’evangelizzazione ..., [in una situazione] che si fa sempre più varia e impegnativa, nel contesto della globalizzazione e del nuovo e mutevole intreccio di popoli e culture che la caratterizza" (Lett. ap. Novo millennio ineunte, 40). Le migrazioni interne o internazionali, infatti, come sbocco per la ricerca di migliori condizioni di vita o per fuggire dalla minaccia di persecuzioni, guerre, violenza, fame e catastrofi naturali, hanno prodotto una mescolanza di persone e di popoli senza precedenti, con problematiche nuove non solo da un punto di vista umano, ma anche etico, religioso e spirituale. Le attuali ed evidenti conseguenze della secolarizzazione, l’emergere di nuovi movimenti settari, una diffusa insensibilità nei confronti della fede cristiana, una marcata tendenza alla frammentarietà, rendono difficile focalizzare un riferimento unificante che incoraggi la formazione di "una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali, dove anche le persone di varie religioni sono spinte al dialogo, perché si possa trovare una serena e fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze", come scrivevo nel Messaggio dello scorso anno per questa Giornata Mondiale. Il nostro tempo è segnato da tentativi di cancellare Dio e l’insegnamento della Chiesa dall’orizzonte della vita, mentre si fanno strada il dubbio, lo scetticismo e l’indifferenza, che vorrebbero eliminare persino ogni visibilità sociale e simbolica della fede cristiana.

In tale contesto, i migranti che hanno conosciuto Cristo e l’hanno accolto non di rado sono spinti a non ritenerlo più rilevante nella propria vita, a perdere il senso della fede, a non riconoscersi più come parte della Chiesa e spesso conducono un’esistenza non più segnata da Cristo e dal suo Vangelo. Cresciuti in seno a popoli marcati dalla fede cristiana, spesso emigrano verso Paesi in cui i cristiani sono una minoranza o dove l’antica tradizione di fede non è più convinzione personale, né confessione comunitaria, ma è ridotta ad un fatto culturale. Qui la Chiesa è posta di fronte alla sfida di aiutare i migranti a mantenere salda la fede, anche quando manca l’appoggio culturale che esisteva nel Paese d’origine, individuando anche nuove strategie pastorali, come pure metodi e linguaggi per un’accoglienza sempre vitale della Parola di Dio. In alcuni casi si tratta di un’occasione per proclamare che in Gesù Cristo l’umanità è resa partecipe del mistero di Dio e della sua vita di amore, viene aperta ad un orizzonte di speranza e di pace, anche attraverso il dialogo rispettoso e la testimonianza concreta della solidarietà, mentre in altri casi c’è la possibilità di risvegliare la coscienza cristiana assopita, attraverso un rinnovato annuncio della Buona Novella e una vita cristiana più coerente, in modo da far riscoprire la bellezza dell’incontro con Cristo, che chiama il cristiano alla santità dovunque si trovi, anche in terra straniera.

L’odierno fenomeno migratorio è anche un’opportunità provvidenziale per l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo. Uomini e donne provenienti da varie regioni della terra, che non hanno ancora incontrato Gesù Cristo o lo conoscono soltanto in maniera parziale, chiedono di essere accolti in Paesi di antica tradizione cristiana. Nei loro confronti è necessario trovare adeguate modalità perché possano incontrare e conoscere Gesù Cristo e sperimentare il dono inestimabile della salvezza, che per tutti è sorgente di "vita in abbondanza" (cfr Gv 10,10); gli stessi migranti hanno un ruolo prezioso a questo riguardo poiché possono a loro volta diventare "annunciatori della Parola di Dio e testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo" (Esort. ap. Verbum Domini, 105).

Nell’impegnativo itinerario della nuova evangelizzazione, in ambito migratorio, assumono un ruolo decisivo gli Operatori pastorali – sacerdoti, religiosi e laici – che si trovano a lavorare sempre più in un contesto pluralista: in comunione con i loro Ordinari, attingendo al Magistero della Chiesa, li invito a cercare vie di fraterna condivisione e di rispettoso annuncio, superando contrapposizioni e nazionalismi. Da parte loro, le Chiese d’origine, quelle di transito e quelle d’accoglienza dei flussi migratori sappiano intensificare la loro cooperazione, a beneficio sia di chi parte sia di chi arriva e, in ogni caso, di chi ha bisogno di incontrare sul suo cammino il volto misericordioso di Cristo nell’accoglienza del prossimo. Per realizzare una fruttuosa pastorale di comunione, potrà essere utile aggiornare le tradizionali strutture di attenzione ai migranti e ai rifugiati, affiancandole a modelli che rispondano meglio alle mutate situazioni in cui si trovano a interagire culture e popoli diversi.

I rifugiati che chiedono asilo, fuggiti da persecuzioni, violenze e situazioni che mettono in pericolo la loro vita, hanno bisogno della nostra comprensione e accoglienza, del rispetto della loro dignità umana e dei loro diritti, nonché della consapevolezza dei loro doveri. La loro sofferenza invoca dai singoli Stati e dalla comunità internazionale che vi siano atteggiamenti di mutua accoglienza, superando timori ed evitando forme di discriminazione e che si provveda a rendere concreta la solidarietà anche mediante adeguate strutture di ospitalità e programmi di reinsediamento. Tutto ciò comporta un vicendevole aiuto tra le regioni che soffrono e quelle che già da anni accolgono un gran numero di persone in fuga e una maggiore condivisione delle responsabilità tra gli Stati.

La stampa e gli altri mezzi di comunicazione hanno un ruolo importante nel far conoscere, con correttezza, oggettività e onestà, la situazione di chi ha dovuto forzatamente lasciare la propria patria e i propri affetti e desidera iniziare a costruirsi una nuova esistenza.

Le comunità cristiane riservino particolare attenzione per i lavoratori migranti e le loro famiglie, attraverso l’accompagnamento della preghiera, della solidarietà e della carità cristiana; la valorizzazione di ciò che reciprocamente arricchisce, come pure la promozione di nuove progettualità politiche, economiche e sociali, che favoriscano il rispetto della dignità di ogni persona umana, la tutela della famiglia, l’accesso ad una dignitosa sistemazione, al lavoro e all’assistenza.

Sacerdoti, religiosi e religiose, laici e, soprattutto, giovani uomini e donne siano sensibili nell’offrire sostegno a tante sorelle e fratelli che, fuggiti dalla violenza, devono confrontarsi con nuovi stili di vita e difficoltà di integrazione. L’annuncio della salvezza in Gesù Cristo sarà fonte di sollievo, speranza e "gioia piena" (cfr Gv 15,11).

Desidero infine ricordare la situazione di numerosi studenti internazionali che affrontano problemi di inserimento, difficoltà burocratiche, disagi nella ricerca di alloggio e di strutture di accoglienza. In modo particolare le comunità cristiane siano sensibili verso tanti ragazzi e ragazze che, proprio per la loro giovane età, oltre alla crescita culturale, hanno bisogno di punti di riferimento e coltivano nel loro cuore una profonda sete di verità e il desiderio di incontrare Dio. In modo speciale, le Università di ispirazione cristiana siano luogo di testimonianza e d’irradiazione della nuova evangelizzazione, seriamente impegnate a contribuire, nell’ambiente accademico, al progresso sociale, culturale e umano, oltre che a promuovere il dialogo fra le culture, valorizzando l’apporto che possono dare gli studenti internazionali. Questi saranno spinti a diventare essi stessi attori della nuova evangelizzazione se incontreranno autentici testimoni del Vangelo ed esempi di vita cristiana.

Cari amici, invochiamo l’intercessione di Maria, "Madonna del cammino", perché l’annuncio gioioso della salvezza di Gesù Cristo porti speranza nel cuore di coloro che, lungo le strade del mondo, si trovano in condizioni di mobilità. A tutti assicuro la mia preghiera e imparto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 21 Settembre 2011

 

 

 

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 25 ottobre 2011 (ZENIT.org) - La nuova evangelizzazione non può trascurare i migranti: un’occasione verso chi non conosce il messaggio di Gesù, e un motivo di testimonianza per coloro che provengono da Paesi di tradizione cristiana.

Lo indica il messaggio di Benedetto XVI per la 98ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, intitolato Migrazioni e nuova evangelizzazione e presentato ieri lunedì alla Sala Stampa del Vaticano.

Alla conferenza sono intervenuti: monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; monsignor Joseph Kalathiparambil, segretario dello stesso Consiglio; padre Gabriele Ferdinando Bentoglio sottosegretario dello stesso Consiglio.

Il Messaggio del Santo Padre di quest’anno, ha precisato mons. Vegliò nella sua relazione “si rivolge principalmente tre categorie di persone: i lavoratori migranti, i rifugiati e gli studenti internazionali. Il Messaggio, inoltre, ribadisce “che annunciare Gesù Cristo unico Salvatore del mondo e il suo Vangelo, ‘costituisce la missione essenziale della Chiesa’”.

Quindi viviamo in “una realtà sociale e religiosa caratterizzata dalla facilità degli spostamenti, tanto che la mobilità dei singoli e dei popoli, soprattutto a causa di migrazioni interne o internazionali, ‘come sbocco per la ricerca di migliori condizioni di vita o per fuggire dalla minaccia di persecuzioni, guerre, violenza, fame e catastrofi naturali’, ha prodotto “un mutevole intreccio di popoli e culture’”.

In effetti, ha proseguito il porporato, “persone che non conoscono Gesù Cristo si trovano in Paesi di antica tradizione cristiana, mentre molti cristiani emigrano verso regioni che, in passato, si era soliti chiamare ‘di missione’”. Ciò a fronte della “penetrazione della secolarizzazione” e della “crescente insensibilità nei confronti della fede cristiana”.

“Il Santo Padre Benedetto XVI vi accosta il fenomeno delle migrazioni”, ha proseguito l’arcivescovo, precisando che ci sono "uomini e donne provenienti da varie regioni del mondo, che non hanno incontrato Gesù Cristo o lo conoscono soltanto in maniera parziale”, e che quindi “nei loro confronti è necessario trovare adeguate modalità perché possano incontrare Gesù Cristo”.

Ci sono, tuttavia, anche persone cresciute in “Paese marcati dalla fede cristiana, anche se molte volte ridotta a un fatto culturale” che emigrano verso Paesi in cui i cristiani sono una minoranza; esse sono “un’occasione per proclamare che in Gesù Cristo l’umanità è resa partecipe del mistero di Dio e della sua vita di amore” attraverso anche “il dialogo rispettoso e la testimonianza concreta della solidarietà" con “la possibilità di risvegliare la coscienza cristiana assopita, attraverso un rinnovato annuncio della Buona Novella e una vita cristiana più coerente", assistiti da una pastorale adeguata.

Senza dimenticare, ha indicato il prelato che “i migranti, anzitutto, godono come tutti dell’intangibile dignità della persona umana, che va rispettata tutelandone i diritti, che vanno di pari passo con i doveri”.

Quindi i lavoratori migranti, hanno bisogno che la comunità internazionale, da un lato, protegga i loro diritti umani e lavorativi, e dall’altro tuteli i membri delle loro famiglie. E qui assumono un ruolo importante – ha indicato mons. Vegliò – “gli Operatori pastorali – sacerdoti, religiosi e laici - che si trovano a lavorare sempre più in un contesto pluralista”.

Il segretario del Pontificio Consiglio, monsignor Joseph Kalathiparambil, ha ricordato che nella società in cui viviamo “sempre più multietnica e interculturale” e marcata “dalla presenza di richiedenti asilo e di rifugiati” ai quali il Santo Padre riserva attenzione nella sua seconda parte del messaggio.

Monsignor Kalathiparambil ha citato quindi il Rapporto statistico annuale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), dove denuncia “profondi squilibri nel supporto internazionale che le persone sradicate dalle loro terre ricevono”.

Secondo il Rapporto, i 4/5 dei rifugiati del mondo sono accolti dai Paesi in via di sviluppo, come il Pakistan, che ne ospita 1,9 milioni, o l’Iran con 1,1 milioni e la Siria con circa un milione. Questo avviene in un periodo caratterizzato da “crescenti sentimenti di ostilità nei confronti dei rifugiati in molti Paesi industrializzati”.

“Nell’incontro fraterno, fatto di solidarietà e di sensibilità – ha proseguito Sua Eccellenza - il cristiano testimonia la sua fede e, dunque, si rende protagonista di evangelizzazione attestando che in Gesù Cristo risiede la risposta alle attese, alle sofferenze e alle speranze di ogni esistenza umana”.

Bisogna però garantire risultati concreti, ovvero “che l’altro sia trattato come persona con la dignità che gli compete”. Ciò perché “l’accoglienza può essere definita il segno di riconoscimento della Chiesa ed è la caratteristica fondamentale della sollecitudine pastorale per i migranti e i rifugiati, rifiutando ogni sentimento e manifestazione di xenofobia e razzismo”.

Padre Gabriele Bentoglio, nella sua relazione sulla questione degli studenti internazionali, ha indicato che “alla fine del primo decennio di questo secolo, il numero degli studenti all’estero ha superato i tre milioni e si prevede che raggiunga i 7 milioni entro il 2025”. Studenti che sono lavoratori immigrati molto qualificati, in particolar modo nei Paesi più sviluppati, che sono ovviamente la meta preferita delle migrazioni internazionali e dove tendono a rimanere.

Quindi “cresce l’urgenza che i luoghi dell'educazione e della formazione, soprattutto a livello universitario, acquisiscano e valorizzino il legame necessario e strategico fra la profonda sete di verità e il desiderio di incontrare Dio”.

Padre Bentoglio ha indicato l’insistenza del Papa nella “responsabilità accademica e pastorale nel mondo universitario” per “incentivare la collaborazione tra le culture diverse degli studenti, anche in vista di un annuncio esplicito del Vangelo ai giovani. Per questo il Santo Padre auspica che i giovani universitari incontrino ‘autentici testimoni del Vangelo ed esempi di vita cristiana’, che li spingano a ‘diventare essi stessi attori della nuova evangelizzazione’”.

Al concludere padre Bentoglio ha annunciato che dal 30 novembre al 3 dicembre prossimo si terrà a Roma il III Congresso Mondiale della Pastorale per gli studenti internazionali, promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, sul tema Studenti internazionali e incontro delle culture. Al Congresso parteciperanno 123 delegati provenienti da Europa, Africa, America, Asia e Australia, oltre ad alcuni rappresentanti di Istituti religiosi, Associazioni laicali e organizzazioni internazionali e regionali.

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