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Né indignati, né rassegnati

Il Prof. Andrea RiccardiIl Prof. Andrea Riccardi analizza la lettura della società italiana compiuta dal Card. Bagnasco durante il Consiglio Permanente della CEI

La prolusione del cardinal Bagnasco, alla riunione dei maggiori vescovi italiani, legge la situazione del Paese in modo diverso rispetto alla cronaca gridata o alle fredde rilevazioni sociologiche. Lo storico Gabriele De Rosa (che per anni indagò la storia d'Italia) era convinto che la «pastoralità» cogliesse la realtà sociale in modo profondo. Così le parole del presidente della Cei danno voce al «senso di insicurezza diffuso nel corpo sociale, rafforzato da attonito sbigottimento a livello culturale e morale». Bagnasco non parla sotto la pressione dei media, ma addita una via d'uscita nel cambiamento e in un diverso clima politico e sociale. Non si troveranno nella prolusione risposte alle domande della cronaca, se non la garbata riaffermazione di come le risorse della Chiesa vengano spese per la gente e per i poveri. Il testo del cardinale abbozza una visione generale per il Paese: il momento è grave e bisogna far appello a tutte le energie per compiere la traversata che la crisi impone.
Si tratta di una svolta? La vera svolta è la drammatica transizione di una crisi lunga e dolorosa. Ognuno deve fare la sua parte, innanzi tutto la politica: «La globalizzazione - dice Bagnasco - resta non governata, e sempre più tende ad agire dispoticamente prescindendo dalla politica». Per il presidente della Cei tutti gli attori debbono uscire dal clima di rassegnazione e dal culto dell'interesse particolare. Ci sono cambiamenti profondi da operare. La Chiesa crede che bisogna mettere in discussione l'idolo mercatista («crescere senza ideali e senza limiti»). Il tema della sobrietà degli stili di vita è all'ordine del giorno da tempo nel cattolicesimo. Eppure proprio oggi, mentre crescono i poveri, aumenta l'esibizione del lusso. È anche il frutto del progressivo tramonto e dell'umiliazione dei ceti medi, protagonisti di parte considerevole della storia italiana. La lotta all'evasione fiscale definita «cancro sociale» è un capitolo importante della costruzione del domani, come lo è dare futuro alle nuove generazioni, mentre si salva il sistema pensionistico. Bisogna rilanciare l'Italia: è l'imperativo non utopico del cardinale. Il credito internazionale del Paese è decisivo: «La collettività guarda con sgomento gli attori della scena pubblica e l'immagine del Paese all'estero ne viene pericolosamente fiaccata».
L'idea è riattivare, con un afflato nuovo, la democrazia italiana, «il sistema di rappresentanza... cominciando a riconoscere ai cittadini la titolarità loro dovuta». È necessario un dibattito politico meno gridato, più attento al bene comune, più costruttivo. Ma è anche ineliminabile colmare il fossato (dovuto al sistema elettorale, ma anche al divario reale) tra il potere politico e la gente. La Chiesa farà la sua parte: «In quanto vescovi non possiamo essere spettatori intimiditi; nostro compito è proporsi come interlocutori animati di saggezza...». Interlocutori, interloquire sono espressioni che ritornano nelle pagine del cardinale, suggerendo che la Chiesa (pur consapevole dei vari protagonisti del futuro) intende essere sul campo, dire la sua, non rassegnarsi al degrado. «Né indignati, né rassegnati»: è la posizione suggerita da Bagnasco ai cattolici (vescovi, clero o laici).
In proposito si segnalano alcune pagine del cardinal Bagnasco, che non sono solo un auspicio a un nuovo impegno politico dei cattolici, ma la rilevazione di un processo. C'è una parte che giocheranno i laici cattolici. Il cardinale nota come questi abbiano colto «la rinnovata perentorietà di rendere operante la propria fede», mentre tra loro c'è una maggiore unità. È un processo in corso: «Una sorta di incubazione» (peraltro negli ultimi mesi sbrigativamente qualificata come voglia di nuova Dc). Per Bagnasco, sta nascendo qualcosa: «Sembra rapidamente stagliarsi all'orizzonte la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che... sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni». In un'Italia dove tanti attori debbono prendersi le loro responsabilità, i cattolici laici hanno storicamente una partita da giocare. È un investimento di un patrimonio di energie e di cultura sul futuro. Del resto, la Chiesa italiana crede in questo futuro, come si è visto nelle celebrazioni dei 150 anni dell'Unità. Tanto che il cardinal Bagnasco, nella sua prolusione, ha accenti di speranza patriottica, che raramente sentiamo in questi tempi: «L'Italia ha una missione da compiere, l'ha avuta nel passato e l'ha per il futuro. Non deve autodenigrarsi! Bisogna dunque reagire con freschezza di visione e nuovo entusiasmo, senza il quale è difficile rilanciare qualunque crescita, perseguire qualunque sviluppo».

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