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Eucaristia, stupore cosmico sull'altare del mondo

L'EucaristiaSolennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 24 giugno 2011 (ZENIT.org).- In quel tempo, Gesù disse alla folla: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Gesù disse loro: “In verità, in verità io vi dico: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me, vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51-58).

“Come può costui darci la sua carne da mangiare?” (Gv 6,52b): l’ondata dello stupore scandalizzato dei Giudei per l’invito di Gesù a cibarsi della sua carne e del suo sangue, dopo 2000 anni sembra avere perduto totalmente il suo impatto shoccante, ormai ridotta tutt’al più a lambire la mente ed il cuore dei credenti per poi ritirarsi subito senza lasciar traccia, come una piccola onda sulla spiaggia del mare. Non mi riferisco al sarcasmo incredulo degli antichi nemici di Gesù, ma all’“indifferenza eucaristica” dei suoi amici di oggi.

Certo, è ormai acquisito da secoli che quella carne sulla patena e quel sangue nel calice, adorati come “mistero della fede”, non sono fisicamente la carne e il sangue del Signore, come i Giudei si ingannavano d’aver capito in base alla “lettera” delle sue parole. Tuttavia ciò non giustifica la superficialità distratta con la quale molti partecipano al memoriale quotidiano della cena del Signore, mentre sotto i loro occhi si rinnova lo sconvolgente miracolo della “transustanziazione” del pane e del vino nella sostanza della sua “carne” e del suo “sangue”; carne e sangue che sono “in persona” lo stesso Gesù che stava fisicamente davanti i Giudei (“chi mangia me, vivrà per me” – Gv 6,57).

Riguardo a tale dolorosa distrazione verso il Sacramento dell’amore infinito del Signore, non è piccola la responsabilità del sacerdote celebrante ogni volta che sembra voler giungere al più presto possibile ai riti di conclusione della santa Messa.

In verità, la “cena del Signore” dovrebbe essere celebrata con stupore addirittura cosmico:“Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato” (Giovanni Paolo II, Enciclica Ecclesia de Eucharistia, n. 9).

E’ perciò utile soffermarsi sui due aspetti del Mistero eucaristico che sono evocati rispettivamente dalle parole “carne” e “sangue”, collegandoli a testi biblici corrispondenti:

I) Gv 1,14: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.

II) Gv 13,1: “Prima della festa di Pasqua, Gesù,..avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.

I) Gv 1,14 rivela che il Verbo invisibile, Figlio di Dio, manifestò visibilmente la sua presenza mediante il nostro stesso corpo fisico, assunto nel grembo di Maria. In tal modo l’abisso ontologico che separava il Creatore dalla creatura fu superato per sempre, e all’uomo fu data la possibilità di incontrare il Dio vivente mediante l’Uomo-Dio, Gesù Cristo.

Ora, l’esperienza ci dice che la presenzarealedi una persona comporta la sua evidenza fisica, tangibile. Se dico che una persona è presente, vuol dire che è fisicamente qui, davanti a me. La vedo, e, se chiamo, mi risponde.

Anzitutto va perciò chiarito che la presenza del Signore nelle azioni liturgiche non può essere una presenza di questo genere, di tipo fisico, ma è una presenzapersonale. E la presenza personale èveramente presenza: è la presenza interiore di una persona cara ad un’altra persona cara, lontana o vicina che sia, basata sulla reciproca conoscenza nell’amore. E’ la presenza che chiamiamo “interiorità”, vale a dire relazione personale profonda tra un soggetto e un “tu”. Si parla di:

“Interiorità della conoscenza: il soggetto diventa l’altro, intelligibilmente; lo dice a se stesso col pensiero;

interiorità dell’amore: il soggetto possiede colui che egli ama, non solo nel suo pensiero, ma in quella impressione, o attrazione o carica affettiva che l’altro suscita nella sua volontà, e che determina lo slancio gioioso verso l’essere amato” (Jean Mouroux, L’esperienza cristiana, p. 218).

Tale presenza personale viene colta con appagante certezza.

Certo, la presenza fisica è determinante sulla percezione “psicologica” dell’altro, al punto da sembrare pressoché necessaria (pensiamo al cessare immediato del pianto del bambino al ritorno della sua mamma); tuttavia, anche se manca, quando due persone si appartengono nell’amore tra i loro cuori si forma un legame concreto che esse sono in grado di sperimentare in termini effettivi ed affettivi di viva reciproca presenza.

Ciò accade anche tra l’uomo e Dio.

Infatti, è vero che, essendo creatura, l’uomo è estraneo all’interiorità di Dio, ma l’accesso divino gli è assicurato per mezzo dei Sacramenti, che lo uniscono al Corpo risuscitato e vivificante del Signore. E’ in particolar modo il sacramento dell’Eucaristia a farci capire che un contatto sensibile è sempre necessario all’incontro tra le persone. E’ questa la legge della carne e del sangue, la legge dell’incarnazione.

Essa afferma che l’incontro con il Dio di Gesù Cristo è sempre mediato dall’umanità del Signore: non può essere che l’uomo incontri il Padre al di fuori della “carne” e del “sangue” del Figlio. La comunione con Dio non può realizzarsi senza qualchesegno della sua umanità, magari piccolo, embrionale. Quando una donna è incinta, il bambino nel grembo è per lei incontro totale, pieno, anche se egli è ancora piccolissimo.

Ogni grazia ha sempre una struttura incarnata, visibile, perché è grazia del Verbo incarnato. Tale è la struttura dei Sacramenti, segni efficaci che comunicano vivamente la grazia della divina Presenza.

II) Gv 13,1 rivela che la vita consiste nell’amare, che l’amore è la vita.

Tutti desideriamo essere amati, e, quando ciò accade, allora riconosciamo che la vita è degna di essere vissuta, che è bella perchè si apre alla luce, al calore dell’amore.

L’attimo fuggente che noi vorremmo fermare, attimo di pura ed eterna felicità, è proprio quello in cui ci sentiamo investiti dall’amore, invaghiti dall’amore che inebria e divinizza la vita. Sì, fin dal grembo della madre tutti desideriamo essere colmati dall’amore, eppure non ci si può limitare a domandare amore, perché se tutti lo invocano per sé e nessuno lo da’, la vita stessa è votata alla morte. C’è vita vera là dove una persona dona e riceve amore, dove si vive l’amore non semplicemente ricevendolo, ma donandolo senza volerlo ricevere.

E come l’ossigeno che respiriamo e che ci fa vivere, è continuamente generato dagli alberi della terra, così anche l’amore ha una Fonte inesauribile cui attingere: la carne e il sangue di Gesù, che si fa nostro vero cibo e nostra vera bevanda per comunicarci il dinamismo del suo stesso amore divino: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi, gli uni gli altri” (Gv 13,34). L’Eucaristia insegna che dare amore fino a dare la vita nella morte è veramente vivere, anzi è il massimo della vita.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

 

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