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Le perplessità della Chiesa sulla cremazione

Mons. Vincenzo PelviL'Ordinario militare mons. Vincenzo Pelvi commenta una prassi sempre più diffusa anche tra i cristiani

ROMA, lunedì, 12 luglio 2010 (ZENIT.org).- Di fronte alle "richieste di chiarimento su come comportarsi dinanzi alla crescente domanda di cittadini interessati, ad avvenuta cremazione, allo spargimento delle ceneri in mare", l'Ordinario militare per l'Italia, l'Arcivescovo Vincenzo Pelvi, ha diffuso un comunicato sul tema.

Il presule spiega che le richieste di chiarimenti provengono all'Ordinariato "da vari Enti della Marina Militare, particolarmente dalle Capitanerie di Porto", e per questo motivo ha ritenuto "opportuno offrire alcune considerazioni ispirate alla dottrina della Chiesa cattolica".

"E' noto che l'odierna sensibilità culturale tende a censurare la morte", scrive nel testo monsignor Pelvi, sottolineando che cresce infatti "una mentalità assopita e dissimulatrice, che coinvolge in particolare i giovani in un processo di rimozione collettiva".

"La cultura del cimitero e della tomba attraversa mutamenti e ricerca di nuove forme che, a volte, sembrano distanti da un rapporto con i defunti cristianamente motivato", osserva.

In realtà, "nascondere la morte e dimenticare l'anima non rende più felice la vita, in genere la rende solo più superficiale", riconosce.

"Mimetizzare la morte, perché il suo pensiero non turbi, significa favorire un approccio evasivo dell'esistenza".

Della morte, constata l'Ordinario militare, "si parla sempre meno: si pronunciano poche parole, si tace; un vero e proprio disdegno del morire diventato imbarazzante, perché potrebbe infastidire la sensazione di benessere degli altri".

"Il culto della giovinezza, della bellezza, della carriera e del piacere, che fa passare in secondo piano l'attenzione alle realtà spirituali e trascendenti, spiega anche il rifiuto della morte".

Questa rimozione "sottende anche le regole che inducono a chiudere immediatamente la bara con la spoglia mortale del defunto, così da interrompere il contatto con il corpo e impedire la manifestazione dei sentimenti".

Di fronte a tutto ciò, l'Arcivescovo invita a "riflettere sulla sepoltura del corpo come la forma più idonea a esprimere la pietà dei fedeli, oltre che a favorire il ricordo e la preghiera di suffragio da parte di familiari e amici".

In questi anni, ricorda l'Ordinario militare, è in aumento la richiesta di cremazione, scelta che va diffondendosi anche fra i cristiani.

"La Chiesa, pur preferendo la sepoltura tradizionale, non riprova tale pratica, se non quando è voluta in disprezzo della fede, cioè quando si intende con questo gesto postulare il nulla a cui verrebbe ricondotto l'essere umano".

Di recente, in varie Nazioni, la legislazione civile concede la possibilità di spargere le ceneri in natura oppure conservarle in luoghi diversi dal cimitero, come nelle abitazioni private.

"A nessuno sfugge che lo spargimento delle ceneri nelle acque di mari, fiumi e laghi o sepolture anonime rendono più difficile il ricordo dei morti, estinguendolo anzitempo", dichiara l'Arcivescovo. "Per le nuove generazioni la vita di coloro che le hanno precedute resta anonima e si fa strada una crescente assenza di storia".

"Impedire la possibilità di esprimere con riferimento a un luogo preciso il dolore personale e comunitario impoverisce l'uomo", segnala, indicando che "la memoria dei cari è una marcia in più nella vita, perché senza memoria non c'è futuro".

Per queste ragioni, la prassi della cremazione solleva "domande e perplessità", e la Chiesa "ha molti motivi per essere contraria a scelte che sottintendono motivazioni o mentalità panteistiche o naturalistiche".

Per un credente, infatti, "la cremazione si ritiene conclusa solo al momento della deposizione dell'urna nel cimitero".

I cimiteri, conclude monsignor Pelvi, "sono e rimangono luoghi sacri dove riporre le urne cinerarie, mantenere viva la memoria dei propri cari, accogliere consolazione e aiuto, annunciare la speranza cristiana nella risurrezione".

 

Commenti dei lettori
1 commenti presenti
  • ornella

    15-07-2010 09:32 - #1
    I miei ricordi d'infanzia sulla morte sono persone deposte sul loro letto, con le lenzuola buone, i fiori in camera e gli specchi coperti da un drappo. Soprattutto ricordo l'atmosfera che c'era in una casa dove si vegliava un morto. Silenzio innanzitutto, il parlare sottovoce anche nelle stanze vicine, interrotto ogni tanto dalla recita del rosario. Oggi, è cambiata l'atmosfera. Manca il silenzio, raramente si prega, ma quello che non riesco a capire, io che sono madre di tre figli , è perché si cerca di evitare ai bambini di partecipare alla veglia funebre. A volte si allontanano addirittura da casa perché si potrebbero spaventare. A me sembra ovvio che la morte ci spaventi ma non per questo possiamo far finta che non esista, o peggio, far credere ai nostri figli che il nonno è andato da qualche parte posticipando l'incontro con la morte a quando "saranno grandi". La morte esiste, ma il lutto va elaborato perchè si possa vivere "da risorti", e l'essere coscienti che la nostra vita finirà ci dovrebbe aiutare a vivere responsabilmente la nostra vita. In un vecchio film si recitava: "ricordati che devi morire" "'mo me lo segno".
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