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Due esperienze di prima evangelizzazione in Etiopia

Due esperienze di prima evangelizzazione in Etiopia - Il racconto di don Pietro Orazi e Noemi Paolucci appena tornati dal paese africanoIl racconto di don Pietro Orazi e Noemi Paolucci appena tornati dal paese africano, in cui la Parola di Dio riesce a farsi strada nonostante una precarietà per noi difficilmente immaginabile

Partiamo il sabato mattina verso le 9. Circa mezzora di strada sterrata, dapprima discreta, poi decisamente disagevole. Arriviamo in località Gonde. Lì c’è una sola famiglia di cristiani: moglie, marito e sei figli. Da un po’ di tempo il missionario va ogni settimana per un incontro di evangelizzazione. Questa famiglia invita i vicini, tutti di religione islamica. Non essendoci altra struttura, siamo accolti nel Tucul (capanna circolare di legno e fango con tetto di paglia) della famiglia stessa. Seduti, in piedi, appiccicati l’uno all’altro: siamo circa 40 persone, in gran parte ragazzi e giovani.

Dal Vangelo si legge la parabola del Buon Pastore (nella lingua locale Oromo). Abba Mauro svolge poi la catechesi su Gesù Cristo Buon Pastore e conclude consegnando a tutti un impegno per la settimana: perdonare una persona con cui si è in contrasto oppure amare di più. Abba Mauro parla in italiano, ma suor Ofele (di etnia Oromo) traduce nella lingua locale, così tutti possono capire.

L’incontro si conclude con una breve preghiera e viene lasciata una piccola croce, da appendere nel luogo della riunione, per ricordare Gesù Buon Pastore, che dona la vita per le sue pecorelle.

Una famiglia cristiana missionaria, seme di speranza per una nuova comunità, che con la forza dello Spirito e la dedizione del missionario forse sorgerà, in un ambiente tra i più poveri.

 

E’ Domenica mattina. Fa freddo, c’è la brina, nella notte la temperatura è scesa sotto lo zero, ma ricordiamo che siamo a circa 2.700 metri di altitudine. Partiamo abba Bernardo ed io per una località di nome Gode. Dopo qualche kilometro di strada sterrata un guasto blocca la macchina. Impossibile andare avanti. Fortunatamente arrivano velocemente i soccorsi dalla missione di Kofele, ci portano un’altra macchina e possiamo proseguire. Arriviamo al villaggio. E’ previsto un incontro di catechesi per i ragazzi. In una capanna di fango p. Bernardo dialoga singolarmente con alcuni di loro, mentre gli altri in piccoli gruppi parlano tra loro sotto la guida di un ragazzo più grande. Argomento: gli episodi del Vangelo meditati nei misteri del Rosario. Per chi non sa leggere ci sono le immagini.

Segue poi la celebrazione della S. Messa. Non c’è una Chiesa, ma è stata innalzata una grande tenda. La celebrazione è in lingua Oromo. All’omelia p. Bernardo parla in Amarico (la lingua ufficiale dell’Etiopia, ma poco parlata e poco compresa dagli Oromo, soprattutto dai poveri), un catechista traduce in Oromo. I cristiani in questo villaggio non sono più di 10 (osservo quanti fanno la comunione!), ma alla celebrazione sono presenti più di 60 persone: tutti cantano e partecipano attivamente: sono catecumeni, pre-catecumeni, curiosi (tutti provenienti dall’Islam). Ecco un altro seme di speranza di una nuova comunità. E’ un villaggio molto povero, ma accoglie con gioia la Parola di Dio.

 

 

Lode a Dio per le meraviglie del creato

(ancora dall’Etiopia)

 

La Prefettura Apostolica di Robe si estende nelle regioni del West Arsi, Bale e Somali. Per andare da Robe verso il territorio Somali esiste una unica strada, che sale sui monti, percorre il plateau Sanetti, attraversa la foresta vergine della Harenna per scendere poi verso Delo Mena, avamposto della Prefettura verso la regione somala dell’Afder.

Da Robe la strada sale leggermente verso Goba e da qui inizia la salita su strada sterrata, a tratti molto ripida, verso il plateau Sanetti. Dapprima si attraversa un bosco, poi una distesa di eriche nane fino a raggiungere il plateau. Questo è un immenso altopiano; la strada che lo attraversa si mantiene per circa 20 Kilometri ad una alitudine di 4.000 – 4.100 metri. E’ un ambiente unico per l’immensità degli spazi, la bellezza panoramica, la ricchezza della fauna endemica e le varietà botaniche.

Tre coraggiosi (Noemi, Ferruccio, d. Pietro) decidono di trascorrere una giornata sul Sanetti. La vetta più alta è il Tullu Dimptu (m. 4.377), ma i tre optano per un’altra cima, dal nome incerto, ma che spicca nella immensità del plateau. La jeep di Abba Angelo ci lascia sulla strada non lontano da tale vetta. Iniziamo l’avvicinamento. Procediamo lentamente; non è facile camminare a 4.000 metri per persone non allenate a simili altitudini, come siamo noi. Tuttavia in breve siamo alla base della piramide sommitale; una fascia rocciosa quasi continua rende arduo proseguire. Ci fermiamo per studiare il passaggio più agevole e iniziamo la salita alla vetta. Il cammino non è facile, la pendenza è forte, tuttavia con alcuni zig-zag raggiungiamo la cresta sommitale e rapidamente in vetta. L’altimetro segna m. 4.200. Il cielo è limpido, il panorama immenso in tutte le direzioni, le macchine fotografiche scattano a raffica.

Mentre scendiamo, incontriamo altri alpinisti più abili di noi: un branco di capre che si arrampicano con estrema disinvoltura. Poi iniziamo un percorso attraverso il Sanetti: molte foto tra le lobelie giganti, incontriamo 2 volte il lupo rosso (endemico del Sanetti) nei suoi percorsi di caccia, possiamo ammirare il volo maestoso dell’aquila, la picchiata improvvisa della poiana sulla preda, la fuga veloce delle pernici,…

La jeep di abba Angelo ritorna da Delo Mena e ci riprende. Torniamo a Robe bruciati dal sole e dal vento, ma sazi di tante bellezze.

Lode a Dio per le meraviglie del creato.

 

                                                                                            Noemi Paolucci e don Pietro Orazi

 

 

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