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Viviana De Marco racconta il suo spettacolo che ha aperto la rassegna estiva "Teatro sul Sagrato"
Venerdì 6 Luglio è iniziata la XIV edizione del “Teatro sul Sagrato”, rassegna di opere teatrali, musicali e di danza che cerca di fermare l’interesse e il pensiero del pubblico su temi di vita quotidiana letti alla luce dello spirito, evocando nel sagrato quel luogo di incontro tra le condizioni del corpo e le necessità dell’anima per un incontro con l’Infinito.
La prima proposta di quest’anno è stata un particolare e sapiente mix tra concerto, prosa e poesia. Un percorso nella storia dell’umanità, nel suo sentire e vivere le vicende insondabili del “dubbio” che nasce nella coscienza, di fronte alle scelte complesse che l’esistenza spesso ci impone.
Al termine dello spettacolo abbiamo incontrato Viviana De Marco, voce recitante, ideatrice e regista dell’opera.
Come è nata l’idea di effettuare lo spettacolo “Abissi di luce”, particolarmente originale proprio perché affronta il tema della “notte” e dell’ abisso?
“Teatro sul sagrato è una manifestazione di teatro sacro, e quest’anno sono stata invitata a creare uno spettacolo non su una tematica immediatamente riconoscibile come sacra, ad es. Maria, o il Natale, etc. ma su una tematica che sta alla radice dell’esperienza di Dio e alla radice del più profondo sentire e interrogarsi umano.
E’ il tema della notte, dell’abisso, dell’oscurità, del dolore, dell’interrogativo lacerante della ricerca di Dio. E’ la “notte” dei mistici, ma anche la “notte della fede nell’epoca contemporanea. Giovanni Paolo II ha affermato che nella nostra epoca stimo vivendo una sorta di “notte oscura collettiva”. Se è vero che questa è una caratteristica specifica della nostra epoca, è anche vero che gli interrogativi sulla morte, sul dolore, sulla ricerca di un senso ultimo alla propria vita, sono da sempre gli interrogativi più profondi di ogni uomo e non solo dell’uomo contemporaneo: già nel V secolo Eraclito dice in un frammento: “ l’uomo nella notte si accende una luce anche se la sua vista è spenta”. E così attraverso il teatro, la poesia, la musica, il canto, ho voluto delineare un percorso di venticinque secoli, dalla tragedia greca a Leopardi e Pascoli, da Ungaretti a Quasimodo, da Jacopone a Dante, da Edith Stein a Madre Teresa e a Klaus Hemmerle, per parlare dell'esperienza del dolore e della "notte" come oscurità interiore che però può trasformarsi in luce e in speranza. Ad esempio, Antigone rappresenta l’amore pronto a dare la vita per seppellire il fratello: nell’oscurità di un potere oppressivo e della condanna a morte, filtra una luce. Il Conte Ugolino invece rappresenta il fondo dell’abisso della disperazione e della perdita di Dio. I poeti, da Pascoli a Leopardi ad Ungaretti e Quasimodo testimoniano un vissuto di lucida consapevolezza del dolore ed una sofferta ricerca interiore, che può approdare al “perché bramo Dio”? Edith Stein rappresenta l’amore per Dio e per gli altri, che filtra nella cupa realtà di Auschwitz. Madre Teresa nelle pagine più intime delle sue lettere parla dell’oscurità che ha vissuto nell’anima, trasformandola in amore e luce. E questa trasformazione, in Edith Stein, In Madre Teresa, in Klaus Hemmerle, è possibile perché anche nell’oscurità più fitta filtra una luce, che proviene dal mistero di Cristo crocifisso e abbandonato. E così lo spettacolo termina con la contemplazione del commovente dialogo tra Cristo crocifisso e sua madre, come lo rappresenta Jacopone”.
Tu curi anche la regia dei tuoi spettacoli: come hai realizzato tutto questo da un punto di vista artistico?
“Non è stato facile, è stata una bella scommessa ed un attento lavoro di cesellatura!. Infatti quando hai l’ispirazione a comporre uno spettacolo, butti giù alcune idee, proponi alcuni pezzi teatrali, scegli alcuni testi poetici, scegli canti sacri medievali e rinascimentali con la musica realizzata dai miei amici al violino, arpa, chitarra, percussioni. E quando tutto ti sembra pronto… rivedi tutto completamente, facendo attenzione ad ulteriori ispirazioni, e anche all’armonia del tutto, affinchè tutto sia equilibrato, e che tutto sia bellezza. E poi tieni presente anche il pubblico, perché ognuno possa rispecchiarsi con la sua sensibilità, sia il credente che le persone di altre convinzioni. E per quanto riguarda la recitazione e l’allestimento, è tutto molto essenziale, in linea con lo stile della tragedia greca e del dramma antico, scuola da cui provengo. E quindi non c’è scenografia, non ci sono costumi, ma pochissimi elementi di “colore”,mentre tutto l’elemento spettacolare è dato dalla voce e dall’interpretazione, e da pochi gesti sobri ed efficaci.
Logicamente lo spettacolo è frutto di un continuo lavoro di rifinitura: dal punto di vista artistico, ti sembra che la “forma” espressiva non sia mai adeguata, ti rimetti in discussione, rivedi tutto fino all’ultimo, ma sai che come artista sei chiamata non solo a parlare della “notte”, ma a trasformarla in bellezza, a dare speranza anche attraverso la forma artistica.
Ho voluto dar voce a questo “grido” che talvolta resta inarticolato, a questi interrogativi, a questa oscurità che è ricerca della luce, ma non per fermarsi agli interrogativi, all’oscurità, o ad un’arte di “denuncia” ma tentando di cogliere la luce che filtra in chiaroscuro. Forse è possibile andare oltre questo “grido” del mondo contemporaneo, e in questo senso l’arte sembra attuare una sorta di alchimia che trasforma dolore, quotidianità, finitudine in bellezza che eleva verso ciò che è altissimo.”
Quali sono state le reazioni del pubblico?
“Spesso si pensa che uno spettacolo come questo sia uno spettacolo “di nicchia”, riservato a pochi, e forse poco adatto ad un pubblico “estivo”… In realtà il pubblico si è sentito molto coinvolto, ha dimostrato una particolare sensibilità a quei profondi interrogativi che sono nel cuore di ognuno: non solo educazione all’ascolto, ma profonda partecipazione a questo “viaggio nell’anima”, di cui ha saputo apprezzare l’armonia e l’intensità! Ho visto che c’è una parte di pubblico che mi segue nei diversi spettacoli, e che a ”Teatro sul Sagrato” ritrovo di anno in anno, e questo è importante, perché lo spettacolo diventa un’esperienza di bellezza e di “sacro” nel senso autentico del termine, profondamente condivisa tra interpreti e pubblico.. E poi c’è stato anche un particolare inatteso… durante lo spettacolo il vento muoveva le corde dell’arpa, con delicatezza e con efficacia, con la sorpresa di tutti, forse avvolgendoci in questo viaggio “collettivo” negli abissi di luce!”
Lasciamo Viviana e i suoi amici Giovanna Girolami (arpa e canto), Alberto Fabiani (violino), Vinicio Ferracuti (chitarra e percussioni), ringraziandoli di averci fatto partecipi del loro lavoro in una serata molto particolare. La leggera brezza del Girfalco ci ha accolto, rifocillandoci dalla giornata infuocata, e ha voluto proporsi in modo delicato come protagonista aggiunta e inaspettata all’attenzione del pubblico. Non è infatti sfuggita la sua performance tra le corde dell’arpa celtica che ha accompagnato, tra meraviglia e stupore degli stessi interpreti, le parti recitate dei testi e delle poesie con vibrazioni inattese, imprimendo una particolare e apprezzatissima atmosfera di mistero a tutta l’opera.
Francesco Fioretti
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