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Asur Marche: medici in allarme

diffusa la preoccupazione di dover prescrivere un farmaco prescindendo dalla propria scienza e coscienza

Alla pillola del giorno dopo non si può dire di no. Almeno nelle Marche. È questo il senso della lettera-direttiva che il direttore generale della Azienda sanitaria unica regionale (Asur) ha inviato ai direttori delle zone territoriali e ai dirigenti medici di presidio della Regione Marche per stabilire «riferimenti normativi e criteri operativi»… in merito alla relazione tra pillola del giorno dopo e obiezione di coscienza. In pratica medici ospedalieri e territoriali (consultori, guardia medica, 118, ma anche medici di famiglia) sono interessati alla disposizione che il direttore generale, Roberto Malucelli, ha inviato, concludendo che «il sanitario, considerata la situazione di obiettiva gravità ed urgenza in cui la richiedente versa, deve riscontrare positivamente la richiesta, rilasciando la relativa prescrizione ». Una posizione che solleva le perplessità del sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, che rileva almeno due ordini di problemi: uno etico e uno deontologico.E anche i medici sono in allarme, preoccupati di dovere prescrivere un farmaco prescindendo dalla propria scienza e coscienza. Ieri non è stato possibile parlare con il direttore generale Malucelli perché - ha riferito la sua segreteria - era impegnato in riunioni fuori sede; né era raggiungibile il responsabile dell’Ufficio relazioni con il pubblico dell’Asur. Resta quindi solo il testo della lettera. Il direttore generale ha scritto per rispondere a «richieste di chiarimento» ricevute.
E comincia escludendo che nel caso della pillola del giorno dopo si possa far riferimento all’obiezione di coscienza prevista dalla legge 194 del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Obiezione di coscienza, quindi, che «non afferisce ad altre pratiche » e «non trova applicazione con riferimento alla cosiddetta “pillola del giorno dopo” avuto riguardo all’ambito temporale entro il quale la pillola è destinata ad estrinsecare efficacia». In definitiva il medico non può «opporre un rifiuto motivato dalla circostanza di essere obiettore di coscienza». Ma neanche potrà essere invocata la cosiddetta « clausola di coscienza » , prevista dall’articolo 22 del Codice di deontologia medica, che recita: «Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento».
Secondo il direttore generale dell’Asur Marche, « tale previsione di carattere generale comporta la necessità di un raccordo pure di ordine generale, di cui all’articolo 20» dello stesso Codice («Il medico deve improntare la propria attività professionale al rispetto dei diritti fondamentali della persona»). «Da ciò - scrive Malucelli - il necessario bilanciamento tra i diritti del paziente e gli autonomi convincimenti del medico relativamente a tutta una serie di interventi sanitari rispetto ai quali si registrano diversi orientamenti etici». La conclusione è che il personale sanitario «considerata la situazione di obiettiva gravità ed urgenza in cui la richiedente versa, deve riscontrare positivamente la richiesta, rilasciando la relativa prescrizione».
E si aggiunge che il rifiuto della prescrizione, oltre che non coerente con il codice deontologico, «si configura come contra legem ed integra un illecito rilevante sia sotto il profilo civile che penale», richiamando l’eventuale richiesta di risarcimento rivolta all’azienda sanitaria e il reato di interruzione di pubblico servizio e rifiuto di atti d’ufficio. Una lettura che non convince il sottosegretario Eugenia Roccella: « Ci sono due aspetti da considerare. Il primo è tecnico: nel foglietto illustrativo del farmaco, la stessa azienda produttrice dichiara che la pillola può impedire l’impianto dell’ovulo fecondato nell’utero. Il meccanismo d’azione di questo prodotto non è del tutto chiaro, ma resta il rischio di eliminare un embrione. Quindi il problema etico esiste: tant’è vero che su questo tema c’è una nota del Comitato nazionale per la bioetica».
In secondo luogo, c’è un problema per la salute della donna: « Se quando il farmaco è stato introdotto in Italia ( era ministro della Sanità Umberto Veronesi) - aggiunge Eugenia Roccella - è stato stabilito che occorre una ricetta non ripetibile, significa che ci sono motivi scientifici per cui non può essere classificato tra i farmaci da banco. E credo che non si possa obbligare nessun medico a prescrivere un farmaco. Anzi il medico deve poter effettuare un’adeguata valutazione clinica che comprende le eventuali controindicazioni, prima di scrivere una ricetta».
Va anche ricordato che in favore della possibilità di ricorrere alla clausola di coscienza si era espresso anche il Consiglio nazionale della Fnomceo riunitosi nello scorso ottobre a Ferrara. I medici marchigiani sono in fermento: «Ci pare preoccupante - segnala un ginecologo di un consultorio pubblico - che non si tenga conto di testi della Fnomceo e del Comitato per la bioetica e dello stesso Codice deontologico. Stiamo predisponendo una lettera per riaffermare la nostra volontà di non sottostare a questa disposizione che nega la nostra libertà professionale».

 

Il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella
 

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