Archivio Notizie dalla Diocesi
Notizie dalla Diocesi
Nella terza puntata del viaggio attraverso i monasteri della nostra diocesi facciamo tappa, guidati da Adolfo Leoni,
«Al primo chiarore del giorno, vestite di luce e silenzio, le cose si destan dal buio com'era al principio del mondo. E noi che di notte vegliammo attenti alla fede nel mondo, protesi al ritorno di Cristo, or verso la luce guardiamo...».
L'Inno delle Lodi mattutine che cantano le mie amiche monache trappiste di Vitorchiano mi torna in mente mentre varco la porta del monastero delle Benedettine di Fermo.
I monaci vegliano sulla nostra esistenza, pregano per il mondo, come se lo imbozzolassero in una protezione speciale. Un gran re di Francia, colto da terribile tempesta in mare, spronò i suoi marinai dicendo: resistete sino all'alba, fin quando le monache non inizieranno di nuovo a pregare.
Viale Trento: la strada per Porto San Giorgio è la più trafficata, la più rumorosa. Così lo stacco è ancora maggiore quando il pesante portone si spalanca, ti abbraccia e si chiude dietro di te.
Pax è scritto in alto sopra la seconda parte d'ingresso del monastero quadrato (gli storici dicono che san Benedetto facesse costruire sull'esempio degli accampamenti romani, lui: l'ultimo romano. In questo caso però le Benedettine andarono lì ad abitare nel 1875, dove già esisteva un convento già in uso ai francescani Minimi). Si penetra un'altra dimensione, che non è staccata dalla prima: è solo diversa. È quiete, serenità, Pace, appunto. Testimonianza che si può vivere così.
Ora et Labora è l'altra scritta, sintesi della Regula. Due lati del chiostro sono chiusi da ampie vetrate. Le monache possono così camminarli anche d'inverno, al freddo, come oggi. Piante verdi dappertutto, di dentro e di fuori. Segnali di vita, di rigoglio, di eterna ripresa.
Ad accogliermi è Madre Maria Cecilia, la badessa, pugliese d'origine. Sorride lieta e indica la statua di san Giuseppe all'incrocio tra i due corridoi. Non è un caso quel posizionamento. Lei ne ha tanta devozione: suo padre si chiama Giuseppe, nel suo paese era tradizione accendere falò per la festa del padre putativo di Gesù. San Giuseppe è centrale nella chiesa, «è l'uomo che s'è dovuto fidare, l'uomo che ha rispettato la sua donna. Quanto bisogno ce n'è oggi di questo atteggiamento. L'uomo che seppur nella propria fragilità – ed è la condizione necessaria - ha accolto il Mistero, ha rinunciato al suo progetto di vita per accogliere il progetto di Dio».
Anche Gesù, da piccolo, avrà fatto il monello? Madre Cecilia ne è sicura, come quando sfuggì alla famiglia per tre giorni. I genitori erano in affanno, come lo sarebbero stati tutti i genitori. «Perché ci hai fatto questo?» gli chiedono. Ma è il loro ruolo: far crescere, correggere, maturare, accompagnare e lasciar liberi i figli. Madre Maria Cecilia lo ricorda spesso alle giovani coppie che vengono ai ritiri.
I ritiri. Un tempo il monastero ospitava una quarantina di studentesse, era educandato. Poi, le esigenze delle giovani sono cambiate. «Il Signore ci stava indicando altro – dice la Madre – e noi abbiamo seguito il suo disegno». Così il monastero è diventato luogo di accoglienza per gruppi e per singoli, che chiedono anche di restare più giorni. «Il silenzio, che li intimorisce all'inizio, poi diventa qualcosa che li attrae. Fanno un po' di digiuno da tv e social. Acquisiscono maggiore consapevolezza e coscienza, e riallacciano relazione anche tra famigliari».
«Il silenzio non è una imposizione, – spiega la Madre – è una esigenza del nostro cuore. E nasce dall'ascolto della Parola che è come una bussola, una luce che illumina la nostra giornata. Il silenzio è essere in intimità con il Signore: cuore a cuore».
Certo, oggi con il Covid-19 non si può più ospitare, ma ci sono altre forme di colloquio: telefono, chat... Cosa chiedono le persone? «C'è molta preoccupazione in giro, molta amarezza, pura». E la risposta? «Dio non abbandona nessuno. Mai».
La comunità è di otto monache tra cui una novizia. Da qualche tempo il monastero fermano ha dato ospitalità a quattro benedettine di San Ginesio dopo che il terremoto ha lesionato gravemente una parte del loro edificio. La preghiera del mattino presto le ha salvate dal crollo nelle camerate.
La giornata si srotola tra i sette momenti di preghiera tradizionali e il lavoro. Le monache preparano le ostie per le chiese dell'arcidiocesi di Fermo (un tempo anche per alcune di Milano), cuciono e ricamano (specie le consorelle di San Ginesio), poi c'è il rammendo, la costruzione di piccoli oggetti, coroncine, tuniche per la prima comunione, vesti battesimali. Un gruppetto di monache realizza icone. Hanno imparato da un artista di Torino. L'icona è una finestra aperta sull'Infinito, scrivevano alcuni padri ortodossi. «Aiuta ad entrare nel Mistero. A volte, quando guardo le mie consorelle impegnate a dipingerle mi sembra di vederle quasi trasfigurate...».
E poi c'è l'orto: un rettangolo piuttosto ampio. Lo visitiamo, camminando nell'aria fredda e pulita. È ricco nonostante la stagione: carciofi, verdure, insalate, broccoli, e, nei tempi giusti, fave, cipolle, pomodori, fagiolini.
Madre Maria Cecilia ci tiene a indicare le erbe aromatiche. Le racconto di una sua collega di nove secoli fa, esperta di erbe. Conosce bene Hildegarda di Bingen, la Sibilla del Reno, amante della natura come creato, scrisse un trattato sulla Viriditas, la forza verde, la scossa del Creatore in ogni vegetale e animale e persona. Unione di cielo e terra. Ecologia integrale. Annuisce.
Ci fermiamo dinanzi alla grande statua di san Benedetto. Si trova nel cortile. È un grande e unico blocco di pietra bianca. Il Santo siede sulla roccia: la roccia della Chiesa, la mano destra ad accogliere, nella sinistra la Regula, a terra una pagina scolpita del Vangelo di Matteo.
Torniamo in casa. Riprendiamo in parlatorio, seduti di fronte, separati da un tavolo con su una tovaglia ricamata. Accanto ad una parete, su piani diversi e su tavoli più stretti sono appoggiati strumenti che mi incuriosiscono, come una vecchia bilancia a due piatti, un antico macinino per caffè, e una storica, piccola macchina per cucire. Una eredità molto amata. Era lo strumento principe di suor Celestina, dalle mani d'oro. «Lei stava alla porta, era il portarius, accoglieva, e, nei momenti di calma, cuciva cuciva e cuciva per tutte». Amore per l'altro, condivisione.
È mezzodì. Quasi ora del loro pranzo. Chiedo della cucina. Una giovane monaca sta spentolando, buono il profumo. Che c'è di primo? «Pasta con i broccoli...», è l'invitante risposta. La prossima volta, se m'invitano, resto.
San Benedetto teneva all'anima, allo spirito e al corpo. Un sano equilibrio. Cucinare è voler bene agli altri. «Le monache che si alternano ai fornelli sono molto attente se esiste qualche problema alimentare di una consorella». Avere gli altri dentro di noi.
Uscendo, ripassiamo dinanzi alla statua di san Giuseppe. La Madre aggiunge: «È il nostro economo, colui che ama e presiede la nostra casa, la nostra famiglia, tutte le famiglie».
Esco dalla Pax, mi rituffo nel traffico. Sono stato in un'oasi. Ho fatto scorta di ossigeno. E loro pregano anche per me.
Adolfo Leoni
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