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Il silenzio: l'attesa di una Voce che parli
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Pubblichiamo il primo articolo firmato da Adolfo Leoni sui monasteri presenti in diocesi, dedicato al monastero benedettino di Santa Caterina a Santa Vittoria in Matenano

Incontri in monastero«Tu che conosci come si ascolta la voce di Dio, tu che conosci come si va avanti in silenzio». È un passo della preghiera a san Giuseppe che papa Francesco ha elevato nell'omelia in Santa Marta il 18 dicembre 2017. Da sempre, il Pontefice ha avuto una venerazione speciale per il “padre putativo” di Gesù. E, per il 2021, lo ha offerto all'umanità come modello ancora più stringente nella recente lettera apostolica Patris Corde.

San Giuseppe ha atteso che il silenzio gli parlasse, che fosse un'altra voce, e non la sua, ad indicargli la strada da percorrere. Il silenzio – ha scritto l'abate cistercense Erik Varden, norvegese, vescovo da poco – è «uno stato d'allarme», un modo per «essere pronti a un incontro». Un'attesa.

È silenzioso il monastero benedettino di Santa Caterina a Santa Vittoria in Matenano. Si trova in paese e pure sembra non esserlo, come rispondere a quel «siate nel mondo ma non del mondo». San Benedetto volle così la sua Montecassino: con alle spalle il monte e davanti la città.

Ha una storia antica la comunità di Santa Caterina: dal 1200 è erede in qualche modo della grande tradizione monastica (maschile) benedettino-farfense che qui s'incardinò sul finire dell'Ottocento per sviluppare fede, agricoltura, cultura, socialità. Le Marche sud ne furono fecondate.

Le monache hanno passi felpati, come camminassero un poco sospese da terra. Preferiamo suonare all'antico portone che subito immette in un'altra dimensione, più serena, più tranquilla. Più lieta. Dove il tempo scorre altrimenti. Il sorriso di suor Ida, la madre badessa, è l'accoglienza migliore. D'altronde, nei monasteri benedettini una delle figure più importanti era il portarius, l'uomo della porta, colui che accoglieva viandanti, pellegrini, disperati, cavalieri, soldatacci. Tutti tamquam Christus, come se ognuno, buono o cattivo – ma chi mai può essere solo l'uno o l'altro – fosse Cristo.

Dopo un intrico di stanze e di scale, dalla sala che immette sulla grande terrazza si ammira la montagna. I Sibillini carichi di neve e il sole sfolgorante dei giorni scorsi inducono a ringraziare Dio creatore. Di fronte a tanta bellezza si può restare solo silenziosi. In contemplazione.

«In questi giorni di luce, al mattino, i monti sono incantevoli, hanno un colore particolare, eccezionale. Basterebbe già questo per pregare e ringraziare il Signore». La badessa non spende mai troppe parole. Lo raccomandava il Santo di Norcia: l'uomo dalle tante parole non cammina dritto sulla strada. Suor Ida risponde però volentieri. Le monache, che sono tredici (una è allettata), hanno già pregato con il Mattutino (ore 5,30), hanno recitato Le Lodi (ore 7,00), hanno assistito alla Santa Messa (ore 7,30), hanno fatto la riflessione personale, hanno partecipato all'Ora terza (che ricorda la discesa dello Spirito Santo). Ora, dopo colazione, c'è il lavoro da svolgere (ora, lege et labora) nel laboratorio, in cantina, nell'orto, nelle camere. E nel silenzio. Ma cos'è il silenzio? «Non c'è silenzio senza preghiera – spiega madre Ida – ma cos'è la preghiera se non una domanda a Dio? Il silenzio è una attesa e una ricerca di riconoscerLo nelle circostanze della quotidianità: scorgere il suo disegno nella storia e nellla vita di tutti i giorni: ora anche con il Covid». Dio sempre presente, anche nelle avversità. La badessa, mingherlina e scattante, preserva nella mente quanto le disse il vecchio parroco di Santa Vittoria, don Silvio Paternesi: «Occorre fiorire lì dove il Signore ci ha piantato».

Ed ecco che torna san Giuseppe. «Lui ha sempre ascoltato ed atteso la voce del Signore, e poi, però, ha fatto. È stato un uomo d'azione. Era falegname, costruiva. Un uomo tutto intero, integro. Il Giusto. Ha avuto la stessa fede della Madonna. La stessa. Nonostante le domanda che si è posto. Enormi».

«Le meditazioni più belle le ho fatte nel silenzio del lavoro, quando sono nell'orto, ad esempio. O quando svolgevo servizi di pulizia dopo che le studentesse, che un tempo ospitavamo in monastero, erano uscite per la scuola. Nel silenzio ruminiamo la Parola di Dio». Usa proprio la parola “ruminiamo”, come un moto continuo, pensato ripensato da assorbire gradualmente, da riempire cuore, anima, corpo, mente. Suor Ida applica una tecnica verso sé e le sue consorelle: al mattino propone loro una frase forte colta dalle letture, che sia un pensiero guida per l'intera giornata. Diceva un grande educatore: «State ogni giorno con una cosa bella».

Tra poco ci sarà la preghiera di Sesta (ore 11,30 pranzo nel corso del quale si resterà in silenzio, per quel che si può, ascoltando la parola del Papa o un brano di spiritualità. La domenica e nei giorni di festa c'è possibilità di maggior dialogo a tavola.

«Il silenzio – spiega la badessa – è qualcosa che deve esser fatto dentro di noi. Deve essere un silenzio pieno, pieno della parola di Dio. Su questo bisogna fare attenzione, discernimento, perché esistono vari silenzi: c'è quello di chi si immusonisce, il silenzio della rabbia e addirittura quello che attende vendetta. No no per carità. Il silenzio vero è quello che dà pace, che lenisce il cuore, che reca serenità alla vita». Facile? «Più facile con le adulte, meno con le giovani agli inzi. D'altronde il mondo là fuori propone l'opposto». Con il mondo là fuori c'è dialogo, al telefono, negli incontri, con i gruppi (oggi no per il Coronavirus), per un'assistenza spirituale a chi è in ricerca.

Suor Ida e un gruppo di docenti di Università europeeDopo pranzo, è prevista un'ora libera, di riposo, di letture. Ci si ritroverà alle 15 per la preghiera di Nona (è il ricordo dell'ora della morte di Gesù in Croce), quindi rosario e ancora un po' di lavoro sino alle 17, quando è la volta della Lectio: l'approfondimento di un passo della Regola di san Benedetto o, al sabato, in vista della messa festiva, ci si prepara alle letture e al Vangelo; nei mercoledì invece ci si sofferma sul concetto della Fede che salva il mondo. Alle 18 c'è il Vespro cantato. La cena è fissata per le 19. Mentre mangiano, le monache ascoltano musica. «Ci piace Beethoven e Bach» m'informa suor Ida. Le racconto dell'abate Erik Varden che s'è convertito da giovane ascoltando Mahler. Mi chiede cosa ascoltava di Mahler. Le rispondo: la seconda sinfonia: la Resurrezione. Al quinto movimento, il canto enuncia: «Abbi fede, mio cuore, tu non sei nato invano, non hai vissuto, né sofferto invano». Non invano, mai invano. Nessuna vita è vana.

Lo ascolterà e farà ascoltare, prendendolo su youtube. Tradizione e modernità che s'abbracciano.

Alle ore 21 sarà Compieta, il ringraziamento al Signore per quanto ha donato alla giornata appena conclusa. Il silenzio successivo sarà assoluto. In attesa che un'altra voce parli.

Il portone si chiude alle mie spalle. Ma, volendo, ognuno vi potrà accedere, tamquam Christus. Accedere ad un altro mondo radicato in questo mondo.

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