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In occasione della pubblicazione della Lettera di monsignor Arcivescovo agli operatori della comunicazione per la 54^ Giornata mondiale delle comunicazioni sociali – di domenica 24 maggio 2020 – l’Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali ha intervistato il dott. Sergio Perugini, segretario della Commissione nazionale valutazione film della Conferenza Episcopale Italiana
Tutti ricordiamo l’integerrimo don Adelfio che in “Nuovo cinema Paradiso” (1988) di Giuseppe Tornatore, attraverso uno squillante campanello indica all’operatore del cinema parrocchiale di tagliare gli spezzoni di pellicola moralmente dubbi o scandalosi. Erano gli anni della censura cattolica: morale, costumi, stili di vita, segnati fortemente dall’influsso di un cattolicesimo perno della società e delle mode etiche e culturali. Certamente oggi il contesto è ben diverso, e già nel film di Tornatore vi era l’accenno a una veloce evoluzione culturale e antropologica. Come è cambiato negli anni il metro di giudizio da parte della Chiesa nella valutazione di un film, quali sono i ‘filtri’, i ‘criteri’ adottati per valutare una pellicola cinematografica oggi?
La Commissione nazionale valutazione film, organo pastorale della CEI e settore specifico dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali, si occupa da molti decenni della valutazione delle opere cinematografiche secondo criteri pastorali, culturali ed educativi. La sua attività si può far risalire addirittura agli anni ’30 con l’avvio delle “Segnalazioni cinematografiche”, pubblicazione con cadenza semestrale dedicata a tutti i titoli in uscita nelle sale italiane, per aiutare la programmazione nei cinema parrocchiali, divenuti a partire dagli anni ’90 Sale della Comunità.
Nel corso del tempo i criteri di valutazione della Commissione sono stati regolarmente rivisti, in linea con il cambiamento di sensibilità nella società, revisioni sempre in accordo e dietro approvazione della Chiesa cattolica in Italia. Cambio di passo significativo si è registrato negli anni Duemila, con il lavoro condotto in primis da mons. Dario Edoardo Viganò e poi da don Ivan Maffeis, presidenti che hanno favorito un riposizionamento e un allargamento dell’orizzonte operativo della Cnvf.
Infine, con la presidenza di Massimo Giraldi dal 2017, un veterano della critica cinematografica italiana e primo laico a guidare la Commissione, la Cnvf ha iniziato a seguire non solo le opere in uscita nelle sale ma anche la serialità televisiva e il mondo delle piattaforme online. Un racconto che facciamo quotidianamente sul nostro portale Cnvf.it come pure sul sito Ceinews.it, nonché in collaborazione stabile dal 2017 con l’Agenzia SIR e di recente anche con Avvenire.
La Commissione Nazionale Valutazione Film ha come obiettivo quello di rispondere a un’esigenza pastorale ben precisa della Chiesa in Italia: offrire una valutazione del profilo morale e indicare l’uso pastorale dei film. Il linguaggio cinematografico è ancora in grado di affiancare e supportare le metodologie catechetiche e pastorali nella vita di una comunità parrocchiale, oppure le nuove tecnologie – soprattutto l’avvento dei social – rende più complicato considerare un film come uno strumento privilegiato per comunicare o approfondire contenuti e dimensioni spirituali e di fede?
È sempre bene ribadire che il lavoro della Commissione film della CEI non è quello della “censura”. Il procedimento di revisione cinematografica è statale; è lo Stato che dà il visto per l’uscita in sala ed eventuali divieti (14 oppure 18 anni). Quello che fa la Commissione film CEI è esprimere una valutazione di natura pastorale, cultuale ed educativa per accompagnare la Sala della Comunità e in generale tutti coloro che operano sul territorio (sacerdoti, religiosi, educatori, docenti, catechisti, operatori della comunicazione o famiglie) al corretto utilizzo del film in relazione al destinatario. Un film (come pure una serie Tv) può essere uno spazio fecondo di confronto, di dialogo e sì anche di crescita pensando al pubblico dei più giovani. Noi ci poniamo come obiettivo quello di allargare il più possibile il campo dello sguardo, confrontandoci con tutti i generi, autori e temi, mettendo in evidenza sistematicamente i guadagni ma anche le possibili insidie in ogni opera, insidie soprattutto per i più giovani che hanno minori strumenti di decodifica, dunque di protezione. Oggigiorno il nostro orizzonte è costituito sia dalla sala sia dalle varie piattaforme, dai vari device con cui accedere ai contenuti audiovisivi, proprio perché le modalità di fruizione sono sempre più dinamiche e soggette al cambiamento, legate al nostro essere ormai delle mobile audience.
Il messaggio di Papa Francesco per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali pone al centro dell’attenzione pastorale la dinamica della ‘narrazione’. Di fatto la Chiesa vive di questa logica: narrare nella mutevolezza dei secoli l’immutata storia di Amore tra Dio e l’uomo. La narrazione cinematografica è stata percepita da subito nel mondo ecclesiale come una proficua opportunità di annuncio del Vangelo. Sullo scaffale virtuale di una piattaforma TV è più facile trovare film religiosi o film spirituali? Ovvero, dal suo punto di vista, la narrazione cinematografica si nutre per lo più di immagini religiose – magari per mettere in crisi o ridicolizzare alcuni stereotipi assodati – oppure il cinema degli ultimi anni trattiene ancora con sé domande e aperture di carattere spirituale?
Il cinema, ma anche la serialità televisiva, riflette continuamente sulla religione, come pure sul bisogno di afferrare la presenza di Dio nella nostra esistenza, cogliendo quel fermento che abita il cuore dell’uomo. Il cinema che risponde alla visione di un autore non è mai scontato o banale, anzi è denso di riflessioni, di suggestioni spesso complesse, problematiche, come lo è del resto la vita dell’uomo. Tralasciando gli sguardi più furbi, quelli che si incagliano con superficialità negli stereotipi, a ben vedere si registra dal cinema tutto, italiano e internazionale, un richiamare l’esperienza religiosa, un ricercare il volto di Cristo, non direttamente bensì in chiave parabolica, con racconti altri ancorati all’oggi, calati nelle periferie sociali. Racconti spesso duri e incalzanti, che contengono però le tracce di una presenza misericordiosa e salvifica. È il caso, ad esempio, di film come “Il vizio della speranza” (2018) di Edoardo De Angelis, “Il sindaco del Rione Sanità” (2019) di Mario Martone oppure “Bar Giuseppe” (2020) di Giulio Base.
La Commissione Nazionale Valutazione Film in tempo di pandemia ed emergenza sanitaria è stata in prima linea nella proposta di film da poter vedere nelle nostre case. Ora si parla di ‘fase 2’ e ripartenza. Quali sono quei film che secondo lei non possiamo lasciare indietro per avere delle chiavi di lettura antropologiche e culturali di quanto abbiamo vissuto e stiamo ancora attraversando? Siamo ormai prossimi agli esami: l’ultimo film che è passato nel filtro della Commissione: promosso o rimandato?
Come Commissione nazionale valutazione film, su indirizzo e guida del direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali CEI Vincenzo Corrado, abbiamo cercato di essere accanto alla comunità tutta in più modi durante questa emergenza (di fatto ancora in corso), mettendo in campo diverse iniziative. Al di là dell’aggiornamento costante del portale Cnvf.it, abbiamo diffuso regolarmente sul sito CEI “Chi ci separerà?” consigli di buona visione sulle principali piattaforme, proponendo sette titoli a settimana tra film e serie Tv; ancora, abbiamo approfondito un film a settimana per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali in sinergia con Avvenire - Portaparola; sull’Agenzia SIR abbiamo raccontato puntualmente il meglio da vedere un po’ su tutte le piattaforme e da ultimo sul sito Posso.it, progetto nato nell’emergenza Covid-19 per mettere a disposizione di tutti gratuitamente competenze e professionalità (il portale è sostenuto anche da Rai, Anica, Istituto-Luce Cinecittà e Roma Lazio Film Commissione), abbiamo offerto una video-rubrica settimanale su consigli di buona visione restando in casa.
I film. Passando in rassegna i titoli recenti, quelli da portare ancora con noi lungo la fase di ripresa, vale la pena citarne tre: anzitutto “Richard Jewell” (2020) di Clint Eastwood, film di denuncia sugli smarrimenti della società che si traduce in un invito al coraggio e alla resilienza; ancora, la commedia a tinte drammatiche “Parlami di te” (2019) di Hervé Mimran con uno straordinario Fabrice Luchini, dove si racconta la sfida alla malattia e la voglia di rimettersi in pista nella vita con uno sguardo nuovo, riconciliato. E infine, la commedia (amara) dai guadagni educational “Jojo Rabbit” (2020) di Taika Waititi, il racconto di una delle notti più buie della storia dell’uomo del XX secolo, ovvero il dramma della guerra e della Shoah, percorrendo sentieri narrativi originali, sorprendenti: un invito a fare memoria del passato con uno sguardo altro, sul medesimo tracciato dell’ormai classico “La vita è bella” (1997) di Roberto Benigni. È importante differenziare e rinnovare le modalità di racconto per essere sempre ascoltati, soprattutto dai più giovani, nei quali la memoria a volte è più fragile o incerta.
A cura dell’ Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali
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