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Il lavoro, le tante fragilità portate dalla pandemia e il rischio di nuove povertà in un documento proposto dall'Ufficio Diocesano di Pastorale Sociale e del Lavoro e scritto a più mani
Pensando al 1° Maggio 2020: “Festa del lavoro”
«Questa pandemia ci ricorda però che non ci sono differenze e confini tra chi soffre. Siamo tutti fragili, tutti uguali, tutti preziosi. Quel che sta accadendo ci scuota dentro: è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità! ..>>
Siamo ormai a più di due mesi dell’arrivo del Corona Virus in Italia. Quando abbiamo avuto notizie ufficiali dalla Cina, all’inizio abbiamo pensato che “Covid 19” non avrebbe mai passato i confini; ci siamo sentiti protetti dal livello di civiltà della nostra Italia. Ma quasi subito ci siamo accorti che i confini erano fragili, abbiamo chiuso gli ingressi dalla Cina ma Covid, per vie misteriose, è arrivato, in poco tempo ci ha travolto. Dapprima abbiamo temuto, dato colpe, abbiamo anche deriso chi si preoccupava troppo. Quando si è iniziato a parlare di misure di sicurezza, di norme, ci siamo ribellati perché la grande preoccupazione era quella di non fermare il paese. Anche gli altri paesi, in Europa e nel Mondo hanno pensato, dopo di noi, come noi; nessuno ha imparato dall’esperienza degli altri che la vita ha un valore assoluto e che va posta prima dell’economia. Tutti abbiamo temuto, in questa calamità, che l’esigenza dell’isolamento, della chiusura di ogni attività avrebbe causato immensi danni economici; così è stato. Ma, nonostante la paura, i morti, il numero di contagiati, è difficile avere uno sguardo che vada oltre l’economia; così non ci siamo accorti delle categorie più a rischio: i poveri nelle strade, gli anziani nelle case di riposo e quelli soli nelle case, chi convive con un handicap, i carcerati. Ci siamo accorti dopo, tardi, quando l’epidemia si èra già diffusa.
Certi delle sicurezze che nel tempo ci siamo costruiti, non abbiamo mai pensato che nelle nostre famiglie non avremmo potuto accudire ai nostri familiari, anche avendo disponibilità economiche. Non abbiamo mai pensato che una qualsiasi malattia ci poteva trovare scoperti nelle cure e nei presidi sanitari. Non abbiamo mai pensato che tante persone che lavorano senza contratto, oggi non hanno diritto agli ammortizzatori sociali e si trovano in uno stato di povertà assoluta. Non abbiamo mai considerato che piccole aziende, che con sacrifici immensi, mutui, hanno creato posti di lavoro potessero all’improvviso trovarsi senza avere di che cosa mangiare; infatti, pur non lavorando, devono comunque pagare le spese che l’attività comporta. Non abbiamo mai pensato al dolore di chi è dovuto andare a lavorare,nonostante il pericolo,senza presidi, senza che qualcuno si fosse preoccupato della sua salute e di quella della sua famiglia; molte persone si sono sentite e si sentono ancora sole. Non ci siamo indignati abbastanza e non ci indigniamo ancora per chi specula arricchendosi con la malattia aumentando ancora di più il disagio sociale e la povertà. Anche questo è sempre avvenuto sotto i nostri occhi. La pandemia ha scavato ancora di più le distanze sociali tra ricchi e poveri, è vero che il virus colpisce tutti indiscriminatamente, ma è anche vero che chi è benestante lo affronta diversamente e meglio. Essere nato nella media vallata piuttosto che sulla costa o in una grande città segna la differenza. Il virus ci ha fatto capire quanto abbiamo bisogno di reti digitali ed informatiche efficaci ed efficienti in tutto il territorio. Essere un bambino povero o un bambino straniero vuol dire non avere accesso allo stesso grado di istruzione degli altri, perché le famiglie povere e straniere sono prive di strumenti tecnologici e culturali per poterli aiutare a seguire le lezioni a distanza. Poter fare la quarantena in una grande casa con grandi balconi e magari un bel giardino è molto diverso che farla in un piccolo appartamento. Allora è vero che il Covid-19 è un virus per ricchi.
Questa esperienza del virus però, nonostante la sua negatività, ci ha costretto a fermarci, a pensare, a vedere come la solidarietà, il prendersi cura dell’altro, il mettersi a disposizione, permettono di superare le difficoltà, consolano, accompagnano, rendono più sopportabile il dolore. In questi casi la paura, purtroppo ha spinto a pensare prima al “noi” e poi casomai all’altro, come nel caso dello straniero che è un peso o nella peggiore delle ipotesi un pericolo, ma poi ci rendiamo conto che, per gli altri, per l’Europa , per il resto del Mondo lo straniero da respingere eravamo noi. Con una crisi globale come questa non servono assolutamente individualismi, per una emergenza globale servono soluzioni globali, occorre mettere insieme risorse economiche a sostegno di tutti,i migliori scienziati e centri di ricerca del mondo per affrontare il virus e trovare nel più breve tempo possibile un vaccino. Questa crisi, sta accelerando un processo evolutivo dell’uomo che magari sarebbe accaduto in decenni. Dobbiamo prepararci a questo, l’uomo è sopravvissuto nel tempo non perché era l’essere più forte, bensì perché si è adattato,e questo è quello che ci si aspetta. Il distanziamento sociale, un rimedio del ‘300, ha attenuato gli effetti del virus, ma non ci sono antichi rimedi per la crisi economica che sta bussando alla porta di imprese e piccoli imprenditori, molti dei quali non riapriranno più “la bottega”. Ci siamo accorti che le nostre campagne, la nostra agricoltura, ha bisogno, per i raccolti, di manodopera, anche straniera, spesso sfruttata e sottopagata. Sono considerati clandestini, ma spesso scappano da violenza e dalla guerra, rischiano la morte per un futuro migliore. Il settore del turismo e della cultura che da sempre hanno trainato l’economia del nostro paese, saranno quelli più colpiti e che probabilmente ripartiranno per ultimi a causa di divieti imposti. Gli addetti del settore chiedono di salvare la stagione, in qualche modo. Servono soluzioni per l’immediato che mettano in condizioni di sicurezza le strutture ricettive, le aziende, i musei, ma nello stesso tempo di rimettere in moto i settori strategici del turismo, della cultura e dell’industria. Dobbiamo essere coscienti che quando ci sarà possibile tornare alla normalità, molte cose saranno cambiate e certamente la disoccupazione aumenterà.
“Niente sarà come prima”.. è una frase che sentiamo ripetere spesso e da tantissime fonti: da una parte con una connotazione positiva perché ci auguriamo che la solidarietà che si è sviluppata nelle comunità possa essere duratura, possa essere presa in considerazione anche in futuro. Dall’altra parte esprime una grande preoccupazione per i problemi socio-economici derivati dalla pandemia.
Alcune sfide interpellano le Comunità sin da ora:
1. Il ritorno graduale al lavoro deve avvenire in totale Sicurezza: il valore della persona non può essere negoziato. Sarebbe una economia “violenta” quella che produce valore sacrificando vite umane. Esistono le condizioni per un’alleanza generativa tra le Organizzazioni degli imprenditori e le Organizzazioni dei lavoratori per costruire le condizioni per un Lavoro Sicuro. In questa prospettiva occorre sostenere soprattutto le piccole realtà che fanno più fatica sul fronte sia dei costi, sia delle competenze necessarie. Lavoratori ed imprenditori sono persone, hanno famiglie, vivono nelle nostre Comunità: a loro va assicurato sostegno e garantita fiducia.
2. Avremo un numero crescente di lavoratori e di lavoratrici che perderanno il lavoro. Le Comunità sono chiamate a immaginare nuovi percorsi di accompagnamento e di sostegno, perché nessuno finisca per sentirsi uno “scarto”. Sarà necessaria una forte pressione sociale per una rete potenziata dei Servizi per il lavoro: gestire la disoccupazione, attivare processi di orientamento e accompagnamento al lavoro, riprogettare efficaci percorsi formativi sono i campi di azione su cui costruire una piena convergenza. Ogni sforzo va sostenuto per costruire un sistema di sostegno al reddito che riduca le possibilità di creare nuovi poveri, attivando una collaborazione tra il Pubblico, il Privato e il Privato-Sociale.
3. Le famiglie vivono la preoccupazione anche sul fronte delle responsabilità educative. Occorre ricostruire le condizioni per offrire ai giovani opportunità educative che consentano uno sviluppo equilibrato e riducano i rischi di nuove povertà educative. L’estate sarà un tempo per inedite alleanze tra i Comuni, le Parrocchie, le Associazioni e tutte le Agenzie educative.
4. In questa prospettiva la riapertura (auspicabilmente in settembre) delle Scuole impegna le Istituzioni e le Comunità nella costruzione di spazi adeguati e di processi sostenibili per le nuove sfide. Fare una ricognizione di tutti gli spazi disponibili, immaginare nuove formule organizzative, pensare nuove forme di integrazione con le Associazioni saranno passi decisivi per non lasciare nessuno indietro.
Ciò che abbiamo imparato da questa esperienza è che non sono gli interessi particolari dei diversi settori dell’economia, della società a fare il progresso, a promuovere la civiltà di un popolo, ma la capacità che avremo di affrontare gli squilibri socio-economici presenti nei territori. Nella realtà tutto è connesso, oggi ci rendiamo conto che una creazione di valore economico senza riguardo per la sostenibilità sociale ed ambientale produce gravi squilibri sia a livello locale che a livello globale. Dovendo ripensare alle dinamiche del lavoro, dovremmo tener in considerazione le 4 dimensioni del lavoro proposte dalla 48^ Settimana Sociale, “ovvero un lavoro libero,creativo,partecipato e solidale”. L’analisi dei bisogni di un territorio può stimolare la creatività degli imprenditori, la ricerca, la sperimentazione e la nascita di nuove competenze da realizzare in connessione con il sistema educativo, con i processi di formazione e con l’uso di nuove tecnologie. E’ importante ragionare sulla vocazione del proprio territorio, sulla valorizzazione delle risorse e caratteristiche socio-ambientali, creare alleanze, entrare in dialogo, trovare il gusto di percorrere insieme la strada che porta allo sviluppo nella logica della fraternità e della solidarietà. Noi affrontiamo una crisi nella crisi, già il terremoto aveva fiaccato la nostra fragile comunità, la malattia farà il resto, è il momento di avere il coraggio di intraprendere percorsi mai battuti prima d’ora perché non ci eravamo mai trovati in una situazione del genere. La pandemia , tra le molte criticità di questo paese ha accentuato l’inadeguatezza di scelte miopi fatte nel tempo e ne stiamo pagando le conseguenze, immagino i tagli alla sanità,la riduzione del numero dei medici ed infermieri, di cui il paese aveva e ha bisogno.
“ L’orizzonte è quello dell’ecologia integrale della Laudato si’, che riprende e attualizza il messaggio della Dottrina sociale della Chiesa per far fronte alle nuove sfide. “ Costruire un’economia diversa non solo è possibile, ma è l’unica via che abbiamo per salvarci e per essere all’altezza del nostro compito nel mondo. È in gioco la fedeltà al progetto di Dio sull’umanità. Per ridare forza e dignità al lavoro dobbiamo curare la ferita dei nostri profondi divari territoriali”
Anna Rossi
Il documento è stato redatto con la collaborazione di:
Caritas Fermo : Stefano Castagna, responsabile dei progetti
Cisl: Alfonso Cifani, della segreteria regionale Cisl Marche, responsabile CISL Fermo
Maurizio Petrocchi , ricercatore phd in Human Sciences – History, politics and Istitution of the Mediterranean Area –Università degli studi di Macerata
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