Archivio Riceviamo e pubblichiamo
Riceviamo e pubblichiamo
di Manuela Marini
Negli ultimi tempi su tutti i media si è tornati a parlare di “femminismo italiano”,ma con accenti molto diversi da quello degli anni sessanta e settanta in cui le donne si sentivano soffocate dalla stereotipizzazione e volevano essere considerate per ciò che erano. Il problema, a mio avviso, era il non sapere ciò che “erano”; la storia aveva mostrato loro, infatti, un solo modello. Il modello, tutto maschile, che vuole una donna casalinga e madre, o una donna del piacere e del divertimento (come anche attrice cantante, ballerina etc.) e che sul lavoro fuori casa si comporti come un uomo, magari che gli assomigli pure.
Le belle donne nelle aziende, nei centri di potere sono sempre state viste come “bei complementi d’arredo”, o come arriviste perché “usavano“ della loro bellezza per migliorare la propria posizione lavorativa. Quindi, per avere un ruolo dirigenziale occorreva -spesso occorre ancora- essere bruttine o almeno insignificanti perché la donna che non era sexy non era preda, e non accendeva l’istinto di dominio tipicamente maschile; ed era di conseguenza più probabile che si facesse ascoltare. Poiché le donne, lasciando le campagne e inserendosi nella civiltà industriale, sono andate quasi tutte a lavorare fuori casa ci si è trovati in piena confusione sulla propria identità sessuale, sia maschile che femminile, tanto che oggi si tende a non parlare più di identità sessuale ma di “genere” (ci sarebbero ben cinque generi sessuali, non ontologicamente dati dalla natura, ma che così si sviluppano e si scelgono). Dagli anni novanta in poi le donne, particolarmente quelle italiane, hanno gradualmente preso coscienza che scimmiottare l’uomo non le rendeva felici, cioè non permetteva loro di esprimersi nella propria peculiarità. Perciò molte hanno scelto di ri-occuparsi della famiglia e della casa a tempo pieno o part-time, altre di utilizzare la propria peculiare bellezza per ottenere condizioni di vita apparentemente migliori, altre, a mio avviso più lungimiranti e coraggiose, hanno scelto la via della accettazione e proposta di sé così come si è -donne, “femminili” a casa, sul lavoro e nella società-. Il guaio è che da quando qualche donna, per di più attraente, è riuscita ad acquistare un po’ di potere gli uomini hanno iniziato a temere di finire defraudati del proprio ruolo. Si è iniziato a dire che le donne al potere sono più intransigenti degli uomini, che sono femministe fuori tempo, oppure, non trovando indizi specifici, si sono usati insulti generici come “sciocca impreparata”, com’è avvenuto fra un direttore di giornale uomo e uno donna in un recente dibattito in tv.
Davanti a questa realtà noi donne, oltretutto, come possiamo insegnare alle nostre figlie a stimare chi continua a non accettarci come pari solo per paura di perdere potere? Ma, cari uomini, non ci siamo proprio spiegate? Non avete capito che non vogliamo ridurvi ad eterni secondi come avete fatto con noi per secoli? Non vi vogliamo nel ruolo di aiutanti remissivi, a cui dire cosa fare ( la spesa, c’è da sparecchiare, passa a prendere i bambini a scuola…). Non vogliamo che facciate i “mammi”. Né vogliamo sentirci dire, come va di moda oggi fra certi intellettuali furbetti, che noi donne salveremo il mondo: e chi ce l’ha il tempo? Troppo comodo poi. Quello che sogniamo non è prendere il potere al vostro posto: è condividerlo. Esercitarlo fianco a fianco, dove si può. O alternandoci. Alla pari. Il Nobel per la medicina l’hanno vinto due donne e un uomo, insieme. Quello per la chimica due uomini e una donna, insieme. Per l’economia un uomo e una donna, insieme. Vinceremmo il Nobel della famiglia se sceglieste voi il cinquanta per cento dei regali di Natale o se aveste una proposta per affrontare le crisi scolastiche dei nostri figli! Lo ripeto, noi donne non vogliamo la guerra tra i sessi, né che voi uomini spariste e neanche vorremmo essere voi. Vorremmo, questo sì, che ci foste di più, più presenti, più complici, più amici. Non vi vogliamo né capi né servi ma corresponsabili. Solo così potremmo stimarvi e farvi stimare anche dalle vostre figlie. E sono grata a Benedetto XVI per aver spiegato, all’udienza del 30 Dicembre 2009, che il brano della Genesi 2,21-23, in cui la donna è tratta dalla costola di Adamo, sta a significare che essa non è né padrona né serva dell’uomo ma compagna, con pari dignità. Se per il 2010 riuscissimo a riconciliare l’uomo con la donna, cominciando finalmente ad accettare e valorizzare le nostre diversità, allora avremmo fatto un enorme passo in avanti verso la pace vera, quella quotidiana, in ogni singola casa!
Manuela Marini
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