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Riceviamo e pubblichiamo

Perché non vogliamo il burqa in Italia

di Manuela Marini

Da un recente sondaggio della SWG srl su un campione nazionale di duecento persone di età compresa fra i diciotto e i sessantaquattro anni si evince che il 71% degli italiani è per il divieto del burqa per legge; in un sondaggio di SKY la percentuale sale addirittura al 74%. Perché noi italiani siamo così contrari?

Anzitutto cerchiamo di comprendere bene le differenze fra i vari tipi di velo nella cultura islamica.
Il burqa è un indumento a sacco che ricopre tutto il viso, a volte anche tutto il corpo della donna, lasciando una retina davanti agli occhi per “intravedere” il mondo; il niqab ricopre il volto della donna e ne lascia scoperti gli occhi; l’hijiab è una specie di fazzoletto che copre soltanto il capo della donna. Occorre poi spiegare che in Italia c’è già una legge del 1975 secondo cui è vietato indossare qualsiasi indumento che impedisca di identificare una persona, quindi una legge finalizzata alla sicurezza, onde evitare attentati e favorire il riconoscimento di chi delinque. Gli islamici italiani vogliono, però, che il burqa sia riconosciuto come indumento religioso- in questo caso non rientrerebbe nella legge del’75 - anche se è stato chiarito dall’Imam capo della scuola coranica dell’università del Cairo – autorità religiosa riconosciuta dalla maggioranza del mondo islamico- che l’uso del burqa non ha radice nel Corano ma nella cultura medio-orientale d’ispirazione islamica; quindi il burqa non può essere considerato un indumento religioso. Di questo si sta discutendo, poiché non esiste una figura di riferimento a cui guardino tutti gli islamici italiani.
Allora perché gli italiani desiderano una legge nuova o che modifichi quella del 1975? La proposta è sostenuta dagli italiani poiché il burqa e qualsiasi tipo di copertura del capo della donna, nella cultura islamica, sono il segno della sottomissione della donna rispetto all’uomo e quindi della sua inferiorità come persona. La nostra cultura è invece basata su radici cristiane e quindi -almeno in teoria- sulla pari dignità fra le persone e sulla libera scelta; noi non ce la sentiamo di negare, a chi vive con noi, nel nostro paese, gli stessi diritti. Ci stiamo male, non ci sembra naturale.

La vera questione, a mio avviso, è che una parte degli immigrati di cultura islamica in Italia pretende di imporre il proprio costume, grazie al nostro rispetto per le persone e la loro libertà; un modo di vivere, una cultura che può assomigliare alla nostra di cinquant’anni fa, ma non ci appartiene più perché molte conquiste sociali e umane sono state fatte nel frattempo e non vogliamo rinunciarvi. Soprattutto, non possiamo abdicare alla nostra cultura basata sul rispetto dell’altro, anzi siamo sempre più impegnati perché ogni essere umano venga rispettato.

 

 

Manuela Marini

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