rosone

Il pensiero del giorno

La fedeltà totale è la prova dell’amore.
Gustave Thibon

Guardati dal dire nel tuo cuore: la mia forza e la robustezza della mia mano mi hanno procurato questo benessere. Ricordati del Signore tuo Dio, poiché Lui ti ha dato la forza di procurarti questo.
Anonimo

Il passato e' storia, il futuro e' un mistero: l'oggi e' un dono del Signore, ed e' per quello che si chiama "presente".
Anonimo

Le nostre sventure sono la semente delle nostre gioie.
Thomas Merton
 

Il segno che rivela Cristo risorto in mezzo a noi è l’amore fino all’eroismo del perdono.
Anonimo

Gesù ha preso, una volta per tutte, l’ultimo posto in maniera tale che nessuno ha mai potuto essere più in basso di lui. Ed egli ha occupato quest’ultimo posto con tanta cura e costanza per istruirci, per insegnarci che gli uomini e la loro stima non sono nulla, non valgono nulla.
Charles De Foucauld

L’angoscia dell’uomo è stata esattamente definita dalla filosofia esistenzialista moderna come il prodotto di un incontro col nulla. Nonostante i suoi narcotici, le sue droghe, i suoi piaceri, la sua superficialità l’uomo rabbrividisce davanti al suo destino di morte, al suo limite. Da questa ossessione ci libera con lenta pedagogia l’annuncio pasquale cristiano che ogni domenica dovrebbe risuonare non solo nelle nostre chiese ma anche nei nostri cuori.

Anonimo

Muhammad Iqbal, fondatore del Pakistan moderno, ha scritto questo esame di coscienza utile per tutti e strutturato su una protesta di Dio nei confronti dell’uomo (Io & tu): “Il mondo ho creato d’una sola argilla e d’una sola acqua. Tu Tartari, Negri, Persiani creasti! Io in seno alla terra ho creato purissimo acciaio. Tu spade, frecce, fucili creasti! Tu fredde asce creasti per i germogli, tu chiudesti in gabbia melodie di uccelli!”.

Gianfranco Ravasi

È molto più facile convertire un peccatore incallito che far cambiare vita a un credente sbagliato
San Bernardo

Uno dei peggiori tradimenti del Vangelo consiste nel nascondere e consumare l’ingiustizia sotto le apparenze della carità.

Henri De Lubac

Dio si muove nel mondo con uno stile tutto suo e secondo un calendario che non conosce la fretta impaziente e tanto meno la violenza alle coscienze. Dio è libero e rispetta la libertà di tutti. Saper attendere è una grande carità e maturità: è la maturità della carità.

Anonimo

Dio ti osserva individualmente, chiunque tu sia. Egli ti chiama con il tuo nome. Egli ti vede, ti comprende, così come Egli ti ha creato. Egli sa quello che c'è dentro di te, tutti i tuoi sentimenti e pensieri ... Tu non ami te stesso meglio di quanto Egli ti ami.

John H. Newman

Il Padre nostro è la preghiera dei figli, non dei servi.
Anonimo

Se do da mangiare a un fratello che ha fame, devo farlo anzitutto perché ha fame, e perché la reazione istintiva di un uomo di cuore, insieme al precetto evangelico, lo esigono, e non perché quell’uomo diventi cristiano. Un puro atto di carità senza calcoli, del resto, sarà la migliore evangelizzazione: quando una persona dona con semplicità, senza neppure una sfumatura di quell’impercettibile ricatto che anche l’uomo più ingenuo arriva sempre ad avvertire, è più facile riconoscere in essa la presenza di Gesù Cristo.
R. Girault

Il principale contrassegno dell'umiltà è l'obbedienza senza indugio. Essa è propria di coloro che ritengono di non aver nulla più caro di Cristo; i quali, sia per il servizio santo a cui si sono consacrati, sia per il timore della geenna e la gloria della vita eterna, non appena dal superiore viene comandato qualcosa, come se l'ordine venisse da Dio, non sopportano alcun ritardo nell'eseguirla. Di questi il Signore dice: «Appena ha udito, subito mi ha obbedito» (Sal 17,45); e ai maestri dice: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Lc 10,16).
San Benedetto (Regola, Cap. 5,1-6 )

Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
Anonimo

I segni che Dio semina nella storia sono solo una provocazione per la nostra conversione.
Gianfranco Ravasi
 

Martedì II Settimana di Pasqua

San Martino I Papa e martire
Todi, sec. V - Chersonea, Crimea, 16 settembre 655
(Papa dal 07/649 al 16/09/655)

 

Originario di Todi e diacono della Chiesa romana, Martino fu eletto al soglio pontificio dopo la morte di papa Teodoro (13 maggio 649) e mostrò subito una mano molto rma nel reggere il timone della barca di Pietro. Non domandò né attese infatti il consenso alla sua elezione dell'imperatore bizantino Costante II che l'anno precedente aveva promulgato il Tipo, un documento in difesa della tesi eretica dei monoteliti. Per arginare la diffusione di questa eresia, tre mesi dopo la sua elezione, papa Martino indisse nella basilica lateranense un grande concilio, al quale furono invitati tutti i vescovi dell'Occidente.
La condanna di tutti gli scritti monoteliti, sancita nelle cinque solenni sessioni conciliari, provocò la rabbiosa reazione della corte bizantino. L'imperatore ordinò all'esarca di Ravenna, Olimpio, di recarsi a Roma per arrestare il papa. Olimpio volle assecondare oltre misura gli ordini imperiali e tentò di fare assassinare il papa dal suo scudiero, durante la celebrazione della Messa a S. Maria Maggiore. Nel momento di ricevere l'ostia consacrata dalle mani del pontefice, il vile sicario estrasse il pugnale, ma fu colpito da improvvisa cecità.
Probabilmente questo fatto convinse Olimpio a mutare atteggiamento e a riconciliarsi col santo pontefice e a progettare una lotta armata contro Costantinopoli. Nel 653, morto Olimpio di peste, l'imperatore poté compiere la sua vendetta, facendo arrestare il papa dal nuovo esarca di Ravenna, Teodoro Calliopa.
Martino, sotto l'accusa di essersi impossessato illegalmente dell'alta carica pontificia e di aver tramato con Olimpio contro Costantinopoli, venne tradotto via mare nella città del Bosforo. Il lungo viaggio, durato quindici mesi, fu l'inizio di un crudele martirio. Durante i numerosi scali, a nessuno dei tanti fedeli accorsi a incontrare il papa fu concesso di avvicinarlo. Al prigioniero non era data neppure l'acqua per lavarsi. Giunto il 17 settembre 654 a Costantinopoli, il papa, steso sul suo giaciglio sulla pubblica via, venne esposto per un giorno intero agli insulti del popolo, prima di venire rinchiuso per tre mesi in prigione. Poi iniziò il lungo ed estenuante processo, durante il quale furono tali le sevizie da far mormorare all'imputato: "Fate di me ciò che volete; qualunque morte mi sarà un beneficio".
Degradato pubblicamente, denudato ed esposto ai rigori del freddo, carico di catene, venne rinchiuso nella cella riservata ai condannati a morte. Il 26 marzo 655 fu fatto partire segretamente per l'esilio a Chersonea in Crimea. Patì la fame e languì nell'abbandono più assoluto per altri quattro mesi, finché la morte lo colse, fiaccato nel corpo ma non nella volontà, il 16 settembre 655.

a cura di Piero Bargellini

Etimologia: Martino = dedicato a Marte

Emblema:
Palma

Martirologio Romano:
San Martino I, papa e martire, che condannò nel Sinodo Lateranense l’eresia monotelita; quando poi l’esarca Calliopa per ordine dell’imperatore Costante II assalì la Basilica Lateranense, fu strappato dalla sua sede e condotto a Costantinopoli, dove giacque prigioniero sotto strettissima sorveglianza; fu infine relegato nel Chersoneso, dove, dopo circa due anni, giunse alla fine delle sue tribolazioni e alla corona eterna.

Lunedì II Settimana di Pasqua

San Zeno (Zenone) di Verona Vescovo
Mauritania, IV secolo – Verona, 12 aprile 372

 

La città di Verona, ha per il suo santo patrono, una devozione “affettuosa e brusca”, che dura ininterrotta da sedici secoli; per il santo vescovo “moro e pescatore”, i veronesi eressero nel tempo una magnifica Basilica, più volte ricostruita e centro del suo culto.
San Zeno o Zenone, secondo la “Cronaca”, leggenda medioevale di Coronato, un notaio veronese vissuto sulla fine del VII secolo, era originario dell’Africa settentrionale, più precisamente della Mauritania.
Tale provenienza, mancando una documentazione certa, è stata confermata dal tenore dei suoi scritti, che rispecchiano lo stile e la sostanza di tanti altri celebri autori, dell’effervescente Africa dell’epoca, come Apuleio di Madaura, Tertulliano, Cipriano e Lattanzio.
Non si sa, se egli giunse a Verona con la famiglia, né il motivo del trasferimento; d’altra parte bisogna considerare che nel IV secolo, dopo la fine delle grandi persecuzioni contro i cristiani, la Chiesa prese davvero un respiro universale, con scambio, viaggi e trasferimenti, di personaggi di grande dottrina e santità, si ricorda che africani erano s. Venanziano († 367) vescovo di Aquileia, Donato prete in Milano, il grande sant’Agostino, Fortunaziano, ecc.
Si è ipotizzato che Zeno fosse figlio d’un impiegato statale finito in Italia settentrionale, a seguito delle riforme burocratiche volute dall’imperatore Costantino; altra ipotesi è che Zeno si trovava al seguito del patriarca d’Alessandria, Atanasio, esule e in visita a Verona nel 340.
Rimasto nella bella città veneta, Zeno (Zenone il suo nome originario), avrebbe fatto vita monastica, fino a quando nel 362, fu eletto successore del defunto vescovo Cricino, divenendo così l’ottavo vescovo di Verona, il suo episcopato durò una decina d’anni, perché morì il 12 aprile del 372 ca.; la prima testimonianza su di lui si trova in una lettera di sant’Ambrogio al vescovo Siagro, terzo successore di san Zeno, che lo nomina come un presule “di santa memoria”; qualche anno dopo Petronio, vescovo di Verona fra il 412 e il 429, ne ricorda le grandi virtù e conferma la venerazione che gli era già tributata.
La conferma del culto di s. Zeno o Zenone, si ha anche da un antico documento, il “Rhytmus Pipinianus” o “Versus de Verona”, un elogio in versi della città, scritto fra il 781 e l’810, in cui si afferma che Zeno fu l’ottavo vescovo di Verona e poi c’è il cosiddetto “Velo di Classe”, dell’ottavo secolo, una preziosa tovaglia conservata a Ravenna, in cui sono ricamati i ritratti dei vescovi veronesi, fra i quali s. Zeno.
Anche il papa s. Gregorio Magno, alla fine del VI secolo raccontò un prodigio avvenuto in città, attribuito alla potente intercessione del santo; verso il 485 una piena del fiume Adige, sommerse Verona, giungendo fino alla chiesa dedicata a san Zeno, che aveva le porte aperte; benché l’acqua del fiume avesse raggiunto l’altezza delle finestre, non penetrò attraverso la porta aperta, quasi come se avesse incontrato una solida parete ad arginarla.
Ciò che maggiormente testimonia l’origine africana del santo, sono i suoi 93 “Sermones” o trattati, di cui 16 lunghi e 77 brevi, con la cui stesura, a detta degli studiosi, Zeno aprì la grande schiera degli scrittori cattolici, fu il primo dei grandi Padri latini e meriterebbe quindi di essere collocato fra i Dottori della Chiesa, per la scienza testimoniata con i suoi scritti.
I temi dei ‘Sermoni’ sono quelli affrontati nella predicazione: la genuinità della dottrina trinitaria, la mariologia, l’iniziazione sacramentale (l’Eucaristia e il Battesimo, con cui egli ammetteva i pagani solo dopo un’adeguata preparazione e un severo esame), la liturgia pasquale, le virtù cristiane della povertà, umiltà, carità e l’aiuto ai poveri e sofferenti.
Gli argomenti dogmatici, morali, cristologici, biblici e gli episodi cui fa riferimento, sono espressi dal santo con uno stile che ne testimonia l’origine; dicono gli esperti che il suo latino è “caldo e conciso”, ricorda quello degli scrittori africani “abituati a tormentare le frasi e a coniare nuovi vocaboli, per scolpire in tutta la sua luminosa bellezza l’idea”.
Lo stile africano è ricordato anche in quel “procedere sentenzioso, nei giochi di parole e di immagini, in quei larghi sviluppi oratori, nei quali l’anima del Santo trasfonde tutta l’irruenza dell’entusiasmo e dello sdegno…” (Mons. Guglielmo Ederle, per lunghi anni abate della Basilica).
L’eleganza dello stile, accomunata alle espressioni sovrabbondanti e all’improvvisa mescolanza di lingua letteraria e di volgare, fece si che san Zeno fosse definito il “Cicerone cristiano”.
Condusse con le sue predicazioni, trascritte da qualche suo discepolo nei “Sermones”, vivaci battaglie contro i Fotiniani (ariani) e la rinascita nelle campagne, del paganesimo (dovuta soprattutto all’apostasia di Giuliano); le sue prediche erano affollate da neoconvertiti ma anche da pagani, attratti dalla sua abile oratoria.
Dal panegirico pronunciato da s. Petronio vescovo di Bologna, nella prima metà del V secolo, nella chiesa dove riposavano i resti del santo, si apprende che Zeno fu vescovo insigne per carità, umiltà, povertà, liberalità verso i poveri; sollecitava con forza clero e fedeli alla pratica delle virtù cristiane, dando loro l’esempio.
Costruì a Verona la prima chiesa, che si trovava probabilmente nella zona dell’attuale Duomo, dove si riconoscono le tracce dei primi edifici cristiani; si tratta della chiesa già citata, che prodigiosamente non fu allagata dalla piena del fiume Adige nel 588, e per questo fu donata a Teodolinda, moglie di re Autari, che fu testimone oculare dell’avvenuto prodigio.
Quella chiesa fu rifatta ai tempi di re Teodorico e nell’804 venne danneggiata, insieme al vicino monastero, da ‘uomini infedeli’, probabilmente dagli Unni e anche dagli Avari.
Il vescovo Rotaldo la volle ricostruire, commissionando il nuovo progetto all’insigne arcidiacono Pacifico; l’8 dicembre 806, il nuovo tempio fu consacrato e dal romitaggio sul Monte Baldo sopra Malcesine, scesero gli eremiti Benigno e Caro, ritenuti degni di trasportare le reliquie del santo nel nuovo tempio, dove furono poste in un basamento di marmi levigati, nella cripta sorretta da colonne.
Alla consacrazione furono presenti, il re Pipino, figlio di Carlo Magno, il vescovo di Verona, quelli di Cremona e Salisburgo, più una folla immensa.
Ma dal Nord Europa, ancora una volta calarono eserciti barbari, giungendo nell’antichissima e celebre città a cavallo dell’Adige; Verona è stata nei secoli la prima tappa dei popoli germanici e dell’Est europeo, che varcavano le Alpi per invadere e conquistare la Penisola e verso la fine del IX secolo, gli Ungheri assalirono Verona e saccheggiarono le chiese dei sobborghi.
Ma le reliquie di san Zeno erano state messe in salvo in cattedrale e solo nel 921, poterono tornare nella cripta della chiesa a lui dedicata. Per mettere al sicuro definitivamente le reliquie del santo e la tranquillità del culto per il Patrono, in quegli anni si decise di costruire una grande basilica, più vasta e più protetta. Non fu impresa facile; per la nuova basilica romanica, giunsero aiuti finanziari e tecnici dai re d’Italia Rodolfo e Ugo; lo stesso imperatore Ottone I, lasciando Verona nel 967, donò una cospicua somma al vescovo realizzatore Raterio.
La basilica, nel 1120, 1138, 1356, ebbe altre ristrutturazioni, modifiche e ampliamenti, specie all’interno, mentre il campanile fu eretto nel 1045 per iniziativa dell’abate Alberico; attualmente la vicina Torre merlata, è quanto resta della ricca abbazia benedettina, in cui furono ospitati, re, imperatori, cardinali.
Il portale bronzeo della Basilica, è da tempo chiamato, ‘il libro di bronzo’ e la ‘Bibbia dei poveri’; esso racconta in successive 48 formelle, episodi biblici e della vita di Gesù, oltre ai miracoli di San Zeno.
I miracoli raffigurati, furono tratti dai racconti del già citato notaio veronese Coronato, e dalle formelle si può apprendere quelli più eclatanti; quando san Zeno fu eletto vescovo di Verona, prese ad abitare con dei monaci, in un luogo solitario verso la riva dell’Adige e giacché viveva povero, era solito pescare nel fiume per cibarsi; e un giorno mentre stava pescando, vide più in là un contadino trascinato nella corrente del fiume, insieme al suo carro, dai buoi stranamente imbizzarriti.
Avendo intuito che si trattava di un’opera del demonio, fece un segno di croce, che ebbe l’effetto di far calmare i buoi, che riportarono così il carro sulla riva.
È uno dei tanti episodi di lotta con i demoni, che il santo vescovo, dovette affrontare lungo tutto il suo episcopato; poiché diverse volte lo disturbavano e tante volte san Zeno li scacciava adeguatamente; infatti nell’affresco della lunetta del protiro della basilica e nei bassorilievi di marmo che le fanno da base, s. Zeno è raffigurato fra l’altro mentre calpesta il demonio.
In un’altra formella del portale, si vede il demonio scacciato dai buoi nel fiume, che indispettito si trasferisce nel corpo della figlia di Gallieno, che doveva essere un nobile locale, ma poi individuato erroneamente come l’imperatore, in tal caso le date non corrispondono.
Gallieno, saputo del vescovo Zeno, che combatteva efficacemente i demoni, lo mandò a chiamare e così l’unica sua figlia fu liberata; per riconoscenza Gallieno gli concesse piena libertà di edificare chiese e predicare il cristianesimo, donandogli anche il suo prezioso diadema, che s. Zeno divise tra i poveri.
Nella basilica esiste una bella vasca di porfido, pesantissima, che la tradizione vuole regalata da Gallieno al vescovo, il quale volendo punire l’impertinente demonio, gli ordinò di trasportarla fino a Verona; il demonio obbedì, ma con tanta rabbia, tanto da lasciare sulla vasca l’impronta delle sue unghiate; al di là della tradizione, la vasca può essere un importante reperto archeologico, delle antiche terme romane della città.
Decine sono gli episodi miracolosi e i prodigi, che la tradizione e la leggenda, attribuiscono a san Zeno, sempre in lotta con i diavoli, perlopiù dispettosi, che cercavano sempre di ostacolarlo nella predicazione e nel suo ministero episcopale; si tratta di una particolare lotta del santo, che secondo alcune leggende avrebbe visto e scacciato il demonio, sin da quando era un chierico, mentre era in compagnia di s. Ambrogio.
Infine non si può soprassedere sull’ipotesi, che san Zeno fosse un uomo oltre che istruito e saggio, anche bonario e gioviale; lo attestano due importanti opere, un’anta dell’antico organo, ora custodita nella chiesa di San Procolo, e la grande statua in marmo colorato, della metà del XIII secolo, nella basilica, che lo raffigurano entrambe sorridente fra i baffi; la statua raffigura san Zeno seduto, vestito dai paramenti vescovili, con il viso scuro per le sue origini nord africane, che sorride e benedice con la mano destra, mentre con la sinistra sorregge il pastorale, a cui è appeso ad un amo un pesce, a ricordo della sua necessità di pescare nell’Adige per i suoi pasti frugali.
I veronesi indicano questa statua, come “San Zen che ride”; il santo è patrono dei pescatori d’acque dolci, il grosso sasso lustrato su cui, secondo la tradizione, sedeva mentre pescava nel fiume, è conservato in una piccola chiesetta denominata San Zeno in Oratorio, non lontano dalla millenaria basilica veronese, in cui riposa il santo Patrono.
La festa liturgica di san Zeno è il 12 aprile; nella diocesi di Verona, però, la ricorrenza è stata spostata al 21 maggio, a ricordo del giorno della traslazione delle reliquie nella basilica, avvenuta il 21 maggio 807.

a cura di Antonio Borrelli

Patronato: Verona, Pescatori

Etimologia: Zeno = divino, che viene da Giove, Zeus greco

Emblema: Bastone pastorale, Pesce

Martirologio Romano:
A Verona, san Zeno, vescovo, dalle cui fatiche e dalla cui predicazione la città fu condotta al battesimo di Cristo.
 

Seconda Domenica di Pasqua

Domenica della Divina Misericordia



E' la più importante di tutte le forme di devozione alla Divina Misericordia. Gesù parlò per la prima volta del desiderio di istituire questa festa a suor Faustina a Płock nel 1931, quando le trasmetteva la sua volontà per quanto riguardava il quadro: "Io desidero che vi sia una festa della Misericordia. Voglio che l'immagine, che dipingerai con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia" (Q. I, p. 27). Negli anni successivi - secondo gli studi di don I. Rozycki - Gesù è ritornato a fare questa richiesta addirittura in 14 apparizioni definendo con precisione il giorno della festa nel calendario liturgico della Chiesa, la causa e lo scopo della sua istituzione, il modo di prepararla e di celebrarla come pure le grazie ad essa legate.


La scelta della prima domenica dopo Pasqua ha un suo profondo senso teologico: indica lo stretto legame tra il mistero pasquale della Redenzione e la festa della Misericordia, cosa che ha notato anche suor Faustina: "Ora vedo che l'opera della Redenzione è collegata con l'opera della Misericordia richiesta dal Signore" (Q. I, p. 46). Questo legame è sottolineato ulteriormente dalla novena che precede la festa e che inizia il Venerdì Santo.


Gesù ha spiegato la ragione per cui ha chiesto l'istituzione della festa: "Le anime periscono, nonostante la Mia dolorosa Passione (...). Se non adoreranno la Mia misericordia, periranno per sempre" (Q. II, p. 345).


La preparazione alla festa deve essere una novena, che consiste nella recita, cominciando dal Venerdì Santo, della coroncina alla Divina Misericordia. Questa novena è stata desiderata da Gesù ed Egli ha detto a proposito di essa che "elargirà grazie di ogni genere" (Q. II, p. 294).


Per quanto riguarda il modo di celebrare la festa Gesù ha espresso due desideri:


- che il quadro della Misericordia sia quel giorno solennemente benedetto e pubblicamente, cioè liturgicamente, venerato;


- che i sacerdoti parlino alle anime di questa grande e insondabile misericordia Divina (Q. II, p. 227) e in tal modo risveglino nei fedeli la fiducia.


"Sì, - ha detto Gesù - la prima domenica dopo Pasqua è la festa della Misericordia, ma deve esserci anche l'azione ed esigo il culto della Mia misericordia con la solenne celebrazione di questa festa e col culto all'immagine che è stata dipinta" (Q. II, p. 278).


La grandezza di questa festa è dimostrata dalle promesse:


- "In quel giorno, chi si accosterà alla sorgente della vita questi conseguirà la remissione totale delle colpe e delle pene" (Q. I, p. 132) - ha detto Gesù. Una particolare grazia è legata alla Comunione ricevuta quel giorno in modo degno: "la remissione totale delle colpe e castighi". Questa grazia - spiega don I. Rozycki - "è qualcosa di decisamente più grande che la indulgenza plenaria. Quest'ultima consiste infatti solo nel rimettere le pene temporali, meritate per i peccati commessi (...). E' essenzialmente più grande anche delle grazie dei sei sacramenti, tranne il sacramento del battesimo, poiché‚ la remissione delle colpe e dei castighi è solo una grazia sacramentale del santo battesimo. Invece nelle promesse riportate Cristo ha legato la remissione dei peccati e dei castighi con la Comunione ricevuta nella festa della Misericordia, ossia da questo punto di vista l'ha innalzata al rango di "secondo battesimo". E' chiaro che la Comunione ricevuta nella festa della Misericordia deve essere non solo degna, ma anche adempiere alle fondamentali esigenze della devozione alla Divina Misericordia" (R., p. 25). La comunione deve essere ricevuta il giorno della festa della Misericordia, invece la confessione - come dice don I. Rozycki - può essere fatta prima (anche qualche giorno). L'importante è non avere alcun peccato.


Gesù non ha limitato la sua generosità solo a questa, anche se eccezionale, grazia. Infatti ha detto che "riverserà tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della Mia misericordia", poiché‚ "in quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine. Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto" (Q. II, p. 267). Don I. Rozycki scrive che una incomparabile grandezza delle grazie legate a questa festa si manifesta in tre modi:


- tutte le persone, anche quelle che prima non nutrivano devozione alla Divina Misericordia e persino i peccatori che solo quel giorno si convertissero, possono partecipare alle grazie che Gesù ha preparato per la festa;


- Gesù vuole in quel giorno regalare agli uomini non solo le grazie salvificanti, ma anche benefici terreni - sia alle singole persone sia ad intere comunità;


- tutte le grazie e benefici sono in quel giorno accessibili per tutti, a patto che siano chieste con grande fiducia (R., p. 25-26).


Questa grande ricchezza di grazie e benefici non è stata da Cristo legata ad alcuna altra forma di devozione alla Divina Misericordia.


Numerosi sono stati gli sforzi di don M. Sopocko affinché‚ questa festa fosse istituita nella Chiesa. Egli non ne ha vissuto però l'introduzione. Dieci anni dopo la sua morte, il card. Franciszek Macharski con la Lettera Pastorale per la Quaresima (1985) ha introdotto la festa nella diocesi di Cracovia e seguendo il suo esempio, negli anni successivi, lo hanno fatto i vescovi di altre diocesi in Polonia.


Il culto della Divina Misericordia nella prima domenica dopo Pasqua nel santuario di Cracovia - Lagiewniki era già presente nel 1944. La partecipazione alle funzioni era così numerosa che la Congregazione ha ottenuto l'indulgenza plenaria, concessa nel 1951 per sette anni dal card. Adam Sapieha. Dalle pagine del Diario sappiamo che suor Faustina fu la prima a celebrare individualmente questa festa, con il permesso del confessore.




Fonte: www.festadelladivinamisericordia.com

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