rosone

Il pensiero del giorno

Gli uomini e le donne che hanno conosciuto Gesù testimoniano la sua risurrezione. Dicono che è venuto vivo verso di loro, che si è offerto ai loro occhi.
Siccome la risurrezione oltrepassa tutti i limiti dell’esperienza terrena, non esistono termini né frasi fatte per ritrasmettere la realtà che tocca queste persone. I discepoli di Gesù cercano delle parole e delle immagini (già pensando alle domande che verranno poste) per esprimere l’inesprimibile.
Succede la stessa cosa per l’ultimo incontro pasquale con il quale termina il Vangelo secondo san Luca.
L’apparizione di Gesù agli apostoli è strana e tuttavia familiare. Dice loro: “Pace a voi!”. Ma essi sono colti dalla paura e pensano - come tanti tra coloro che hanno bisogno di una spiegazione - che si tratti di uno “spirito”. Allora, egli fa toccare loro il suo corpo, e mangia davanti ai loro occhi.
Perché, siccome la fede nella morte e nella risurrezione di Gesù è il fondamento di tutta la predicazione, questa non tollera alcun dubbio.
Gerusalemme, città della morte e della risurrezione, diventa la città dove gli apostoli ricevono lo Spirito promesso e, con lui, la onnipotenza, che fa di loro dei testimoni per tutti i popoli della terra.
 

Mercoledì dell'Ottava di Pasqua

San Giovanni Battista de La Salle Sacerdote
Reims (Francia), 30 aprile 1651 - Saint-Yon (presso Rouen), 7 aprile 1719

Combatte l’ignoranza per tutta la vita, e molti combattono lui. Nato da genitori nobili, ma non ricchi, e con dieci figli, Giovanni Battista si laurea in lettere e filosofia; è sacerdote nel 1678, e a Reims assume vari incarichi, collaborando anche all’attività delle scuole fondate da Adriano Nyel, un laico votato all’istruzione popolare. Scuole che vanno male, però, soprattutto perché hanno maestri ignoranti e senza stimoli.
E di qui parte lui. Dai maestri. Riunisce quelli di Nyel in una casa comune, vive con loro, studia e li fa studiare, osserva metodi e organizzazione di altre scuole... Comunica a questi giovani raccogliticci la gioia dell’insegnamento, dell’aprire scuole; li appassiona a un metodo che da “ripetitori” li fa veri “insegnanti”, abolendo le lezioni in latino, e introducendo in ogni disciplina la viva lingua francese. Da quel primo nucleo ecco svilupparsi nel 1680 la comunità dei “Fratelli delle Scuole Cristiane”: il sodalizio degli educatori. In genere non sono preti (lui li vuole laici, vicini al mondo che devono istruire nella fede, nel sapere, nelle professioni); vestono una tonaca nera con pettorina bianca, con un mantello contadino e gli zoccoli, e sotto la guida del La Salle aprono altre scuole. Nel 1687 hanno già un loro noviziato. Nel 1688 sono chiamati a insegnare a Parigi dove in un solo anno i loro allievi superano il migliaio.
Poi cominciano le battaglie, e tutto sembra crollare. Il fondatore si trova via via attaccato dall’alto clero di Parigi, da vari parroci e dall’autorità civile, dai cattolici integrali e dai giansenisti, abbandonato da gente che credeva fedele, e più tardi anche esautorato. Lui in quei momenti si immerge – si inabissa, potremmo dire – nell’isolamento penitenziale, nella meditazione. Studia e si studia. Ma resiste, con la sua mitezza irreducibile. Da Parigi dovrà portare la sua comunità nel paesino di Saint-Yon, presso Rouen.
Però la semina continua a dare frutti: nascono le scuole per adulti, le scuole per maestri, gli istituti d’istruzione nelle carceri, i collegi “di istruzione civile a pagamento”: e i suoi libri, trattati e sillabari pilotano l’opera dei maestri. Nei momenti più desolati giunge a dubitare della propria vocazione per la scuola e si accusa di nuocere alla stessa opera. Ma intanto le dedica ogni energia, scrivendo e insegnando per il futuro dei Fratelli, che la fine del XX secolo troverà presenti e attivi ben oltre i confini della Francia e dell’Europa.
Quando muore nel piccolo centro di Saint-Yon, le sue case sono 23 e gli allievi diecimila. Ma per i funerali accade l’imprevedibile: trentamila persone si riversano nel paese per dargli l’ultimo saluto. Trentamila risposte a persecuzioni e tradimenti. Papa Leone XIII lo canonizzerà nell’anno 1900. E, cinquant’anni dopo, Pio XII lo proclamerà "patrono celeste presso Dio di tutti gli insegnanti".
A cura di Domenico Agasso

Patronato: Insegnanti

Etimologia:
Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico

Martirologio Romano:
Memoria di san Giovanni Battista de la Salle, sacerdote, che a Rouen in Normandia in Francia si adoperò molto per la formazione umana e cristiana dei bambini, in particolare quelli poveri, e istituì la Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane, per la quale sostenne molte tribolazioni, divenendo benemerito davanti al popolo di Dio.
 

Domenica di Resurrezione

Dall'«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo (Capp. 2-7; 100-103; SC 123, 60-64. 120-122)


Prestate bene attenzione, carissimi: il mistero della Pasqua è nuovo e antico, eterno e temporale, corruttibile e incorruttibile, mortale e immortale. Antico secondo la legge, nuovo secondo il Verbo; temporaneo nella figura, eterno nella grazia; corruttibile per l'immolazione dell'agnello, incorruttibile per la vita del Signore; mortale per la sua sepoltura nella terra, immortale per la sua risurrezione dai morti.
La legge è antica, ma il Verbo è nuovo; temporale è la figura, eterna la grazia; corruttibile l'agnello, incorruttibile il Signore, che fu immolato come un agnello, ma risorse come Dio.
«Come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53, 7).
La similitudine è passata ed ha trovato compimento la realtà espressa: invece di un agnello, Dio, l`uomo-Cristo, che tutto compendia.
Perciò l'immolazione dell'agnello, la celebrazione della Pasqua e la scrittura della legge ebbero per fine Cristo Gesù. Nell'antica legge tutto avveniva in vista di Cristo. Nell'ordine nuovo tutto converge a Cristo in una forma assai superiore.
La legge è divenuta il Verbo e da antica è fatta nuova, ma ambedue uscirono da Sion e da Gerusalemme. Il precetto si mutò in grazia, la figura in verità, l'agnello nel Figlio, la pecora nell'uomo e l'uomo in Dio.
Il Signore pur essendo Dio, si fece uomo e soffrì per chi soffre, fu prigioniero per il prigioniero, condannato per il colpevole e, sepolto per chi è sepolto, risuscitò dai morti e gridò questa grande parola: Chi è colui che mi condannerà? Si avvicini a me (Is 50, 8). Io, dice, sono Cristo che ho distrutto la morte, che ho vinto il nemico, che ho messo sotto i piedi l'inferno, che ho imbrigliato il forte e ho elevato l'uomo alle sublimità del cielo; io, dice, sono il Cristo.
Venite, dunque, o genti tutte, oppresse dai peccati e ricevete il perdono. Sono io, infatti, il vostro perdono, io la Pasqua della redenzione, io l'Agnello immolato per voi, io il vostro lavacro, io la vostra vita, io la vostra risurrezione, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io il vostro re. Io vi porto in alto nei cieli. Io vi risusciterò e vi farò vedere il Padre che è nei cieli. Io vi innalzerò con la mia destra.

Sabato Santo

Da un'antica «Omelia sul Sabato santo» (Pg 43, 439. 451. 462-463)

La discesa agli inferi del Signore
Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.
Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.
Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: «E con il tuo spirito». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: «Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura.
Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all'albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire. Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell'inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.
Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli».

Venerdì Santo

1. Vexilla Regis prodeunt: Fulget Crucis mysterium,
Qua vita mortem pertulit, Et morte vitam protulit.

2. Quae vulnerata lanceae Mucrone diro, criminum
Ut nos lavaret sordibus, Manavit und(a) et sanguine.

3. Impleta sunt quae concinit David fideli carmine,
Dicendo nationibus: Regnavit a ligno Deus.

4. Arbor decor(a) et fulgida, Ornata Regis purpura,
Electa digno stipite Tam sancta membra tangere.

5. Beata, cuius brachiis Pret(i)um pependit saeculi:
Statera facta corporis, Tulitque praedam tartari.

6. O CRUX AVE, SPES UNICA, Hoc Passionis tempore
Piis adauge gratiam, Reisque dele crimina.

7. Te, fons salutis Trinitas, Collaudet omnis spiritus:
Quibus Crucis victoriam Largiris, adde praemium. Amen.

S’ avanza il vessillo del re
rifulge il mistero della Croce,
per cui la vita patisce la morte
E con la morte ci dona la vita

Vita che , trafitta da cruda punta di lancia,
effuse acqua e sangue
per lavarci dalle macchie dei delitti.

Così si adempì l’oracolo che Davide cantò
dicendo alle nazioni:
Dio regna da un legno.

Albero bello e fulgido, ornato da una porpora del re,
scelto per il nobile tronco a poter toccare membra così sante!

O tu beato, ai cui bracci fu appeso il prezzo del mondo
Fatto stadera del corpo che strappò la preda all’inferno.

Ave, o Croce, unica speranza; in questi giorni di passione
Aumenta ai pii la grazia,cancella i delitti ai rei.

O Trinità, fonte di salvezza, te esalti ogni Spirito!
A coloro cui donasti la vittoria
Della Croce concedi anche il premio. Amen
 

Giovedì Santo

Adóro te devóte, látens Déitas,
Quæ sub his figúris, vere látitas,
Tibi se cor meum totum, súbjicit,
Quia, te contémplans, totum déficit.


Visus, tactus, gustus, in te fállitur,
Sed audítu solo tuto créditur,
Credo quidquid díxit Dei Fílius,
Nil hoc veritátis Verbo vérius.

 

In cruce latébat solo Déitas,
At hic látet simul et humánitas,
Ambo támen crédens átque cónfitens,
Peto quod petívit latro pœnitens.

 

Plagas, sicut Thomas, non intúeor,
Deum támen meum te confíteor,
Fac me tibi sémper mágis crédere,
In te spem habére, te dilígere.

 

O memoriále mortis Dómini,
Panis vivus, vitam præstans hómini,
Præsta meæ menti de te vívere,
Et te illi semper dulce sápere.

 

Pie pellicáne, Jesu Dómine,
Me immúndum munda tuo sánguine,
Cujus una stilla salvum fácere,
Totum mundum quit ab ómni scélere.

 

Jesu, quem velátum nunc aspício,
Ora fíat illud, quod tAm sítio,
Ut te reveláta cernens fácie,
Visu sim beátus tuæ glóriæ.
Amen.

 

Adoro Te, devotamente, o nascosta Deità,
Che sotto queste figure sei nascosta veramente,
A Te il cuor mio tutto si assoggetta,
Perché contemplando Te, tutto vien meno.

 

La vista, il tatto, il gusto, in Te falliscono,
Ma solo con l'udito crediamo tutto,
Credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio,
Nulla è piú vero di questo Verbo di verità.

 

Sulla croce stava nascosta la sola Divinità,
Ma qui sta nascosta anche l'umanità,
Entrambe però credendo e confessando,
Chiedo ciò che domandò il ladro penitente.

 

Le piaghe, come Tommaso, non veggo,
Tuttavia per mio Dio ti confesso,
Fammi credere sempre di piú in Te,
Che in Te abbia speranza e che ami Te.

 

O memoriale della morte del Signore,
Pane vivo che dai vita all'uomo,
Concedi all'anima mia di vivere di Te,
E che ad essa sempre Tu torni di dolcezza.

 

O pio pellicano, Signore Gesù,
Me immondo col tuo sangue monda,
Di esso una sola stilla rende salvo
Tutto il mondo da ogni delitto.

 

O Gesù, che velato ora guardo,
Che avvenga ciò che tanto desidero,
Che contemplando Te col volto scoperto,
A tal vista sia beato della tua gloria.
Amen!

Mentre nella prima lettura è proclamato il secondo poema del Servo del Signore, il vangelo ci racconta una parte dell'ultima cena. Gesù rivela il traditore, anzi a dire il vero "i traditori" perché anche Pietro, durante le ore di passione di Gesù, lo tradirà rinnegando di conoscerlo, ma a differenza di Giuda che non riesce a superare il suo peccato e si toglie la vita, Pietro riuscirà a sentire l'amore e il perdono di Gesù e ricominciare il cammino.

Oggi viene proclamato un altro passo del poema del Servo del Signore: una profezia che viene applicata alla passione del Signore. Il vangelo ci racconta ancora una volta lo svelamento del traditore da parte di Gesù, ma stavolta secondo il racconto di Matteo. Qui non si tratta più di accostare le storie diverse di due persone, Giuda e Pietro, e il loro differente epilogo, ma rivelare in tutta la sua drammaticità il rifiuto del Cristo e la consapevolezza nel farlo.

Ogni evangelista racconta a modo suo la vita e le azioni di Gesù durante la festa della Pasqua a Gerusalemme. Per san Giovanni, tutto quello che succede durante questi “ultimi” giorni ha un valore simbolico e oltrepassa le apparenze. I protagonisti stessi diventano dei simboli: all’inizio della settimana della Passione, Gesù è l’ospite di Marta, di Maria e di Lazzaro, in Betania. L’amicizia li lega; è a loro che viene annunciato cosa significa parlare della “vita” e della “morte” quando si tratta di Gesù.
Marta compie i suoi doveri di padrona di casa. Gesù è a tavola con gli uomini. Maria fa qualcosa di sconveniente per la società dell’epoca - come per la nostra: unge i piedi di Gesù con un olio prezioso e li asciuga con i suoi capelli. Onora Gesù nell’innocenza del puro amore senza preoccuparsi delle altre persone riunite: l’odore del profumo riempie tutta la casa.

(da www.lachiesa.it)

Noi possiamo dimenticare Dio, ma Dio non ci dimentica. Noi lo possiamo bestemmiare: Egli non farà altro che benedirci.
Primo Mazzolari

Sabato 27 Marzo Beato Pellegrino da Falerone, memoria

m. San Severino Marche, Macerata, 1233


Presentatosi davanti a San Francesco si sentì dire: "Tu servirai Dio nell'umile condizione di fratello religioso e ti applicherai soprattutto nella pratica dell'umiltà".
Pellegrino, che veniva da una nobile e ricca famiglia di Falerone (AP) ed aveva studiato filosofia e diritto canonico a Bologna, accettò la profezia di San Francesco come un comando e per tutta la vita volle restare nella modesta condizione di religioso fratello, addetto ai servizi più umili e spesso nascosto nei conventi più poveri e sperduti.
Il Beato Bernardo da Quintavalle lo considerò, fra i primi discepoli di San Francesco, uno dei religiosi più esemplari.
Fra Pellegrino, spinto da sacro fervore, decise di recarsi in Terra Santa, per cercare il martirio per mano degli infedeli, a quel tempo devota aspirazione di molti frati. In realtà, però, trovò rispetto e tolleranza.
Tornato in Italia, Pellegrino da Falerone riprese la sua vita umile e nascosta, ma per quanto si nascondesse, la fama della sua santità si diffondeva dappertutto. Negli ultimi anni della sua vita, ancor giovane, si fermò presso il convento di San Severino Marche (MC) e lì morì nel 1233. Dopo la sua morte avvennero nuovi miracoli che lo resero ancora più amato e venerato. Pio VII il 31 luglio 1821 ne approvò il culto.

a cura di Elisabetta Nardi

Martirologio Romano: A San Severino Marche, beato Pellegrino da Falerone, sacerdote, che fu tra i primi discepoli di san Francesco e, recatosi pellegrino in Terra Santa, suscitò l’ammirazione degli stessi Saraceni.
 

Il grido di Geremia è il grido dell'innocente perseguitato, ma Dio ascolta questo grido e affianca l'innocente per sostenerlo nella lotta contro il male.
Nel vangelo siamo quasi al culmine dello scontro tra Gesù e i giudei. Questi vogliono lapidare Gesù perché, secondo loro, egli ha bestemmiato dicendo di essere Figlio di Dio, ma non vi riescono perché non è ancora giunta la sua ora.
 

Giovedì 25 Marzo Annunciazione del Signore, solennità

Festa del Signore, l'Annunciazione inaugura l'evento in cui il figlio di Dio si fa carne per consumare il suo sacrificio redentivo in obbedienza al Padre e per essere il primo dei risorti. La Chiesa, come Maria, si associa all'obbedienza del Cristo, vivendo sacramentalmente nella fede il significato pasquale della annunciazione. Maria è la figlia di Sion che, a coronamento della lunga attesa, accoglie con il suo 'Fiat' e concepisce per opera dello Spirito santo il Salvatore. In lei Vergine e Madre il popolo della promessa diventa il nuovo Israele, Chiesa di Cristo. I nove mesi tra la concezione e la nascita del Salvatore spiegano la data odierna rispetto alla solennità del 25 dicembre. Calcoli eruditi e considerazioni mistiche fissavano ugualmente al 25 marzo l'evento della prima creazione e della rinnovazione del mondo nella Pasqua.
dal Messale Romano)

Martirologio Romano:
Solennità dell’Annunciazione del Signore, quando nella città di Nazareth l’angelo del Signore diede l’annuncio a Maria: «Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo», e Maria rispondendo disse: «Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola». E così, compiutasi la pienezza dei tempi, Colui che era prima dei secoli, l’Unigenito Figlio di Dio, per noi uomini e per la nostra salvezza si incarnò nel seno di Maria Vergine per opera dello Spirito Santo e si è fatto uomo.

Ancora un episodio che mette in luce la fede del giusto condannato ingiustamente dagli uomini e salvato da Dio. Ancora una volta questa storia è anticipo della storia di Cristo, il Giusto, condannato dagli uomini, ma salvato da Dio.
Essere schiavo significa andare per la propria strada, essere signori di se stessi. Impariamo a perseverare nell’insegnamento di Cristo. Perseverare significa perdurare sempre, costantemente. Perseverare significa credere anche a scapito della logica umana e delle convinzioni universali. Ciò significa avere il coraggio di dare fiducia a Gesù e nell'accogliere lui, accogliere il Padre.
 

L'episodio della ribellione del popolo d'Israele e il serpente di bronzo ci richiama la nostra ribellione con il peccato e la croce di Cristo nostra salvezza. Questo episodio è ripreso dallo stesso Gesù nell'incontro con Nicodemo quando paragona l'innalzamento del serpente all'innalzamento della croce per la salvezza di coloro che lo guardano con fede.
Il vangelo ci riporta un altro brano del capitolo 8 del vangelo di San Giovanni: l'incontro - scontro con i giudei. Non possiamo seguire Cristo se siamo nel peccato, cioè se rifiutiamo Dio e colui che egli ha mandato, Gesù Cristo. Ma se crediamo in lui, compiendo il suo cammino di croce, anche noi sperimentiamo la novità e la gioia della Pasqua.

In questa quinta settimana di quaresima le prime letture ci racontano episodi del Vecchio Testamento in cui il giusto è condannato (da uomini malvagi che hanno tramato alle sue spalle), ma salvato da Dio. Sono questi racconti tipologici in cui il giusto e la sua storia ci richiamano la figura di Gesù e la sua storia di giusto condannato ingiustamente e ucciso, ma risuscitato dal Padre. Il primo personaggio che incontriamo è Susanna, donna ebrea esiliata che per non aver acconsentito alle brame di due anziani giudici viene condannata a morte dagli stessi. Dio però non lascia morire l'innocente e attraverso Daniele smaschera i colpevoli che subiscono la stessa sorte che avevano riservato a Susanna. Dio sempre interviene nella vita di colui che fa la sua volontà (il giusto) e trasforma lamorte in aurora di vita nuova. I vangeli di questa settimana, invece, raccontano l'acuirsi dei rapporti tra Gesù e la classe dirigente ebraica: scribi, farisei e sacerdoti che porterà questi alla decisione di far fuori Gesù.

La paura picchiò alla porta. La fede andò ad aprire. Non c’era nessuno.

Luigi Santucci
 

Gesù prese su di sé le sorti del profeta rifiutato e quelle di tutti gli esclusi e gli abbandonati. Egli ha preso su di sé le sorti delle nazioni perseguitate per aver combattuto per la libertà, le sorti dei militanti condannati per la loro fede, sia che essi siano perseguitati da un potere laico ateo, sia dai seguaci di un’altra confessione. Il Vangelo di oggi ci mostra le poche persone che hanno tentato di difendere Gesù. Le guardie del tempio non hanno voluto arrestarlo, e Nicodemo l’ha timidamente sostenuto, argomentando che non si può condannare qualcuno senza aver prima ascoltato il suo difensore. Nel mondo di oggi, anche noi cerchiamo timidamente di prendere le difese di quelli che sono ingiustamente perseguitati. A volte è l’esercito che rifiuta di sparare sui civili, come è successo di recente nei paesi baltici. A volte è nell’arena internazionale che viene negato - assai timidamente - ad una grande potenza il diritto di opprimere un popolo. Il dramma del giudizio subito da Cristo, seguito dal suo arresto e dalla sua crocifissione, come riporta il Vangelo di oggi, perdura ancora nella storia umana. Ogni uomo ha, in questo dramma, un certo ruolo, analogo ai ruoli evocati nel Vangelo. Gesù è venuto da Dio per vincere il male per mezzo dell’amore. La sua vittoria si è compiuta sulla croce.
La sua vittoria non cessa di compiersi in noi, passando per la croce. Dobbiamo osservare la scena del mondo attuale alla luce del processo a Gesù e del dibattito suscitato dalla sua persona, quando viveva e compiva la sua missione in Palestina. Siamo capaci di percepire Gesù e il suo insegnamento nella Chiesa? Non rifiutiamo davvero nessuno, e non giudichiamo nessuno ingiustamente? Siamo capaci di vedere Gesù nei poveri e nelle vittime della terra?
 

(da www.lachiesa.it)

Venerdì 19 IV Settimana di Quaresima

San Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria


Questa celebrazione ha profonde radici bibliche; Giuseppe è l'ultimo patriarca che riceve le comunicazioni del Signore attraverso l'umile via dei sogni. Come l'antico Giuseppe, è l'uomo giusto e fedele (Mt 1,19) che Dio ha posto a custode della sua casa. Egli collega Gesù, re messianico, alla discendenza di Davide. Sposo di Maria e padre putativo, guida la Sacra Famiglia nella fuga e nel ritorno dall'Egitto, rifacendo il cammino dell'Esodo. Pio IX lo ha dichiarato patrono della Chiesa universale e Giovanni XXIII ha inserito il suo nome nel Canone romano.

(dal Messale  Romano)

Sotto la sua protezione si sono posti Ordini e Congregazioni religiose, associazioni e pie unioni, sacerdoti e laici, dotti e ignoranti. Forse non tutti sanno che Papa Giovanni XXIII, di recente fatto Beato, nel salire al soglio pontificio aveva accarezzato l’idea di farsi chiamare Giuseppe, tanta era la devozione che lo legava al santo falegname di Nazareth. Nessun pontefice aveva mai scelto questo nome, che in verità non appartiene alla tradizione della Chiesa, ma il “papa buono” si sarebbe fatto chiamare volentieri Giuseppe I, se fosse stato possibile, proprio in virtù della profonda venerazione che nutriva per questo grande Santo. Grande, eppure ancor oggi piuttosto sconosciuto. Il nascondimento, nel corso della sua intera vita come dopo la sua morte, sembra quasi essere la “cifra”, il segno distintivo di san Giuseppe. Come giustamente ha osservato Vittorio Messori, “lo starsene celato ed emergere solo pian piano con il tempo sembra far parte dello straordinario ruolo che gli è stato attribuito nella storia della salvezza”. Il Nuovo Testamento non attribuisce a san Giuseppe neppure una parola. Quando comincia la vita pubblica di Gesù, egli è probabilmente già scomparso (alle nozze di Cana, infatti, non è menzionato), ma noi non sappiamo né dove nè quando sia morto; non conosciamo la sua tomba, mentre ci è nota quella di Abramo che è più vecchia di secoli. Il Vangelo gli conferisce l’appellativo di Giusto. Nel linguaggio biblico è detto “giusto” chi ama lo spirito e la lettera della Legge, come espressione della volontà di Dio. Giuseppe discende dalla casa di David, di lui sappiamo che era un artigiano che lavorava il legno. Non era affatto vecchio, come la tradizione agiografica e certa iconografia ce lo presentano, secondo il cliché del “buon vecchio Giuseppe” che prese in sposa la Vergine di Nazareth per fare da padre putativo al Figlio di Dio. Al contrario, egli era un uomo nel fiore degli anni, dal cuore generoso e ricco di fede, indubbiamente innamorato di Maria. Con lei si fidanzò secondo gli usi e i costumi del suo tempo. Il fidanzamento per gli ebrei equivaleva al matrimonio, durava un anno e non dava luogo a coabitazione né a vita coniugale tra i due; alla fine si teneva la festa durante la quale s’introduceva la fidanzata in casa del fidanzato ed iniziava così la vita coniugale. Se nel frattempo veniva concepito un figlio, lo sposo copriva del suo nome il neonato; se la sposa era ritenuta colpevole di infedeltà poteva essere denunciata al tribunale locale. La procedura da rispettare era a dir poco infamante: la morte all’adultera era comminata mediante la lapidazione. Ora appunto nel Vangelo di Matteo leggiamo che “Maria, essendo promessa sposa a Giuseppe, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo, prima di essere venuti ad abitare insieme. Giuseppe, suo sposo, che era un uomo giusto e non voleva esporla all’infamia, pensò di rimandarla in segreto”(Mt 18-19). Mentre era ancora incerto sul da farsi, ecco l’Angelo del Signore a rassicurarlo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21). Giuseppe può accettare o no il progetto di Dio. In ogni vocazione che si rispetti, al mistero della chiamata fa sempre da contrappunto l’esercizio della libertà, giacché il Signore non violenta mai l’intimità delle sue creature né mai interferisce sul loro libero arbitrio. Giuseppe allora può accettare o no. Per amore di Maria accetta, nelle Scritture leggiamo che “fece come l’Angelo del Signore gli aveva ordinato, e prese sua moglie con sé”(Mt 1, 24). Egli ubbidì prontamente all’Angelo e in questo modo disse il suo sì all’opera della Redenzione. Perciò quando noi guardiamo al sì di Maria dobbiamo anche pensare al sì di Giuseppe al progetto di Dio. Forzando ogni prudenza terrena, e andando al di là delle convenzioni sociali e dei costumi del suo tempo, egli seppe far vincere l’amore, mostrandosi accogliente verso il mistero dell’Incarnazione del Verbo. Nella schiera dei suoi fedeli il primo in ordine di tempo oltre che di grandezza è lui: san Giuseppe è senz’ombra di dubbio il primo devoto di Maria. Una volta conosciuta la sua missione, si consacrò a lei con tutte le sue forze. Fu sposo, custode, discepolo, guida e sostegno: tutto di Maria. (…) Quello di Maria e Giuseppe fu un vero matrimonio? E’ la domanda che affiora più frequentemente sulle labbra sia di dotti che di semplici fedeli. Sappiamo che la loro fu una convivenza matrimoniale vissuta nella verginità (cfr. Mt 1, 18-25), ossia un matrimonio verginale, ma un matrimonio comunque vissuto nella comunione più piena e più vera: “una comunione di vita al di là dell’eros, una sponsalità implicante un amore profondo ma non orientato al sesso e alla generazione” (S. De Fiores). Se Maria vive di fede, Giuseppe non le è da meno. Se Maria è modello di umiltà, in questa umiltà si specchia anche quella del suo sposo. Maria amava il silenzio, Giuseppe anche: tra loro due esisteva, né poteva essere diversamente, una comunione sponsale che era vera comunione dei cuori, cementata da profonde affinità spirituali. “La coppia di Maria e Giuseppe costituisce il vertice – ha detto Giovanni Paolo II –, dal quale la santità si espande su tutta la terra” (Redemptoris Custos, n. 7). La coniugalità di Maria e Giuseppe, in cui è adombrata la prima “chiesa domestica” della storia, anticipa per così dire la condizione finale del Regno (cfr. Lc 20, 34-36 ; Mt 22, 30), divenendo in questo modo, già sulla terra, prefigurazione del Paradiso, dove Dio sarà tutto in tutti, e dove solo l’eterno esisterà, solo la dimensione verticale dell’esistenza, mentre l’umano sarà trasfigurato e assorbito nel divino. “Qualunque grazia si domanda a S. Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuol credere faccia la prova affinché si persuada”, sosteneva S. Teresa d’Avila. “Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso s. Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare...”( cfr. cap. VI dell’Autobiografia). Difficile dubitarne, se pensiamo che fra tutti i santi l’umile falegname di Nazareth è quello più vicino a Gesù e Maria: lo fu sulla terra, a maggior ragione lo è in cielo. Perché di Gesù è stato il padre, sia pure adottivo, di Maria è stato lo sposo. Sono davvero senza numero le grazie che si ottengono da Dio, ricorrendo a san Giuseppe. Patrono universale della Chiesa per volere di Papa Pio IX, è conosciuto anche come patrono dei lavoratori nonché dei moribondi e delle anime purganti, ma il suo patrocinio si estende a tutte le necessità, sovviene a tutte le richieste. Giovanni Paolo II ha confessato di pregarlo ogni giorno. Additandolo alla devozione del popolo cristiano, in suo onore nel 1989 scrisse l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos, aggiungendo il proprio nome a una lunga lista di devoti suoi predecessori: il beato Pio IX, S. Pio X, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI.
a cura di Maria Di Lorenzo

Patronato: Padri, Carpentieri, Lavoratori, Moribondi, Economi, Procuratori Legali

Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Solennità di san Giuseppe, sposo della beata Vergine Maria: uomo giusto, nato dalla stirpe di Davide, fece da padre al Figlio di Dio Gesù Cristo, che volle essere chiamato figlio di Giuseppe ed essergli sottomesso come un figlio al padre. La Chiesa con speciale onore lo venera come patrono, posto dal Signore a custodia della sua famiglia.

Giovedì IV Settimana di Quaresima

San Cirillo di Gerusalemme Vescovo e dottore della Chiesa
Gerusalemme, ca. 315 - 387

 

Tutta la sua vita è coinvolta nel travaglio della Chiesa durante i primi secoli. Ossia nei dibattiti teologici anche molto aspri, mescolati alle debolezze umane e intrecciati poi alla politica, alle guerre esterne per difendere l’Impero e a quelle interne per impadronirsi del trono, mettendo di mezzo anche la fede.
Basta una sequenza di date a riassumere la vicenda di Cirillo. Eletto vescovo di Gerusalemme nel 348, viene destituito nel 357. Motivo: il vescovo Acacio di Cesarea di Palestina (che pure lo ha consacrato) lo accusa di errori dottrinali; e soprattutto pretende che la sede episcopale di Gerusalemme dipenda da quella sua di Cesarea, che fu già capitale amministrativa della Palestina e sede dei procuratori romani.
Nel 359 un concilio locale di vescovi lo riabilita, e lui torna alla cattedra di Gerusalemme. Ma nel 360 viene scacciato per la seconda volta da un altro concilio, riunito a Costantinopoli su insistenza di Acacio, che è pure molto influente sull’imperatore filo-ariano Costanzo. (E d’altra parte questo Acacio, vescovo dal 340 al 366, non è certo un personaggio da poco. Succeduto al grande vescovo Eusebio, continuò ad arricchire la biblioteca di Cesarea. San Girolamo, infatti, morto nel 420, parlerà delle sue grandi opere di commento e interpretazione della Sacra Scrittura, andate poi perdute).
E riecco Cirillo nuovamente in carica a Gerusalemme nel 362, alla morte di Costanzo, che era in lotta contro i Persiani e poi contro il cugino Giuliano. Ma, verso il 367, l’imperatore Valente lo condanna all’esilio, dal quale potrà tornare solo nel 378, definitivamente, dopo la morte di Valente nella guerra contro i Goti.
Ora nessuno lo caccerà più. Nel 381 Cirillo prende parte al Concilio di Costantinopoli (secondo concilio ecumenico) e a quello successivo del 382, nel quale viene ancora ribadita la validità della sua consacrazione a vescovo di Gerusalemme, dove rimane finalmente indisturbato fino alla morte.
Nel 1882, quindici secoli dopo, papa Leone XIII lo proclamerà Dottore della Chiesa per il suo insegnamento scritto contenuto nelle Catechesi, che sono istruzioni per i candidati al battesimo e per i neobattezzati. Accusato a suo tempo di legami con correnti dell’arianesimo, egli invece respinge la dottrina ariana sul Cristo, e anzi limpidamente lo dichiara Figlio di Dio per natura e non per adozione, ed eterno come il Padre.
Ancora nel XX secolo, il Concilio Vaticano II richiamerà l’insegnamento di Cirillo di Gerusalemme, con quello di altri Padri, in due costituzioni dogmatiche: la Lumen gentium, sulla Chiesa, e la Dei Verbum, sulla divina Rivelazione. E ancora nel decreto Ad gentes, sull’attività missionaria della Chiesa nel mondo contemporaneo.
a cura di Domenico Agasso

Etimologia: Cirillo = che ha forza, signore, dal greco

Emblema
: Bastone pastorale


Martirologio Romano
: San Cirillo, vescovo di Gerusalemme e dottore della Chiesa, che, dopo avere sofferto molti oltraggi dagli ariani a causa della fede ed essere stato più volte scacciato dalla sua sede, spiegò mirabilmente ai fedeli la retta dottrina, le Scritture e i sacri misteri con omelie e catechesi.

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