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Il pensiero del giorno

Mercoledì 17 IV Settimana di Quaresima: San Patrizio Patrono d'Irlanda

Britannia (Inghilterra), 385 ca – Down (Ulster), 461


San Patrizio è il patrono e l’apostolo dell’Isola Verde e la sua opera diede tanto frutto; infatti in Irlanda la predicazione del Vangelo non ha avuto nessun martire, sebbene i nativi fossero forti guerrieri e i suoi abitanti sono da sempre fierissimi cristiani.


Patrizio nacque nella Britannia Romana nel 385 ca. da genitori cristiani appartenenti alla società romanizzata della provincia.


Il padre Calpurnio era diacono della comunità di Bannhaven Taberniae, loro città d’origine e possedeva anche un podere nei dintorni.


Il giovane Patrizio trascorse la sua fanciullezza e l’adolescenza in serenità, ricevendo un’educazione abbastanza elevata; a 16 anni villeggiando nel podere del padre, venne fatto prigioniero insieme a migliaia di vittime dai pirati irlandesi e trasferito sulle coste nordiche dell’isola, qui fu venduto come schiavo.


Il padrone gli affidò il pascolo delle pecore; la vita grama, la libertà persa, il ritrovarsi in terra straniera fra gente che parlava una lingua che non capiva, la solitudine con le bestie, resero a Patrizio lo stare in questa terra verde e bellissima, molto spiacevole, per cui tentò ben due volte la fuga ma inutilmente.


Dopo sei anni di servitù, aveva man mano conosciuto i costumi dei suoi padroni, imparandone la lingua e così si rendeva conto che gli irlandesi non erano così rozzi come era sembrato all’inizio.


Avevano un organizzazione tribale che si rivelava qualcosa di nobile e i rapporti tra le famiglie e le tribù erano densi di rispetto reciproco.


Certo non erano cristiani e adoravano ancora gli idoli, ma cosa poteva fare lui che era ancora uno schiavo; quindi era sempre più convinto che doveva fuggire e il terzo tentativo questa volta riuscì.


Si imbarcò su una nave in partenza con il permesso del capitano e dopo tre giorni di navigazione sbarcò su una costa deserta della Gallia, era la primavera del 407, l’equipaggio e lui camminarono per 28 giorni durante i quali le scorte finirono, allora gli uomini che erano pagani, spinsero Patrizio a pregare il suo Dio per tutti loro; il giovane acconsentì e dopo un poco comparve un gruppo di maiali, con cui si sfamarono.


Qui i biografi non narrano come lasciò la Gallia e raggiunse i suoi; ritornato in famiglia Patrizio sognò che gli irlandesi lo chiamavano, interpretò ciò come una vocazione all’apostolato fra quelle tribù ancora pagane e avendo ricevuto esperienze mistiche, decise di farsi chierico e di convertire gl'irlandesi.


Si recò di nuovo in Gallia (Francia) presso il santo vescovo di Auxerre Germano, per continuare gli studi, terminati i quali fu ordinato diacono; la sua aspirazione era di recarsi in Irlanda ma i suoi superiori non erano convinti delle sue qualità perché poco colto.


Nel 431 in Irlanda fu mandato il vescovo Palladio da papa Celestino I, con l’incarico di organizzare una diocesi per quanti già convertiti al cristianesimo.


Patrizio nel frattempo completati gli studi, si ritirò per un periodo nel famoso monastero di Lérins di fronte alla Provenza, per assimilare con tutta la sua volontà la vita monastica, convinto che con questo carisma poteva impiantare la Chiesa tra i popoli celti e scoti, come erano chiamati allora gli irlandesi.


Con lo stesso scopo si recò in Italia nelle isole di fronte alla Toscana, per visitare i piccoli monasteri e capire che metodo fosse usato dai monaci per convertire gli abitanti delle isole.


Non è certo che abbia incontrato il papa a Roma, comunque secondo recenti studi, Patrizio fu consacrato vescovo e nominato successore di Palladio intorno al 460, finora gli antichi testi dicevano nel 432, in tal caso Palladio primo vescovo d’Irlanda avrebbe operato un solo anno, invece è più probabile che sia arrivato nell’isola intorno al 432 e confuso dai cronisti con Patrizio, perché il cognome di Palladio o il suo secondo nome, era appunto Patrizio.


Il metodo di evangelizzazione fu adatto ed efficace, gli irlandesi (celti e scoti) erano raggruppati in un gran numero di tribù che formavano piccoli stati sovrani (tuatha), quindi occorreva il favore del re di ogni singolo territorio, per avere il permesso di predicare e la protezione nei viaggi missionari.


Per questo scopo Patrizio faceva molti doni ai personaggi della stirpe reale ed anche ai dignitari che l’accompagnavano. Il denaro era in buona parte suo, che attingeva dalla vendita dei poderi paterni che aveva ereditato, non chiedendo niente ai suoi fedeli convertiti per evitare rimproveri d’avarizia.


La conversione dei re e dei nobili a cui mirava per primo Patrizio, portava di conseguenza alla conversione dei sudditi. Introdusse in Irlanda il monachesimo che di recente era sorto in Occidente e un gran numero di giovani aderirono con entusiasmo facendo fiorire conventi di monaci e vergini.


Certo non tutto fu facile, le persone più anziane erano restie a lasciare il paganesimo e inoltre Patrizio e i suoi discepoli dovettero subire l’avversione dei druidi (casta sacerdotale pagana degli antichi popoli celtici, che praticavano i riti nelle foreste, anche con sacrifici umani), i quali lo perseguitarono tendendogli imboscate e una volta lo fecero prigioniero per 15 giorni.


Patrizio nella sua opera apostolica ed organizzativa della Chiesa, stabilì delle diocesi territoriali con vescovi dotati di piena giurisdizione, i territori diocesani in genere corrispondevano a quelli delle singole tribù.


Non essendoci città come nell’impero romano, Patrizio seguendo l’esempio di altri santi missionari dell’epoca, istituì nelle sue cattedrali Capitoli organizzati in modo monastico come centri pastorali della zona (Sinodo).


Predicò in modo itinerante per alcuni anni, sforzandosi di formare un clero locale, infatti le ordinazioni sacerdotali furono numerose e fra questi non pochi discepoli divennero vescovi.


Secondo gli “Annali d’Ulster” nel 444, Patrizio fondò la sua sede ad Armagh nella contea che oggi porta il suo nome; evangelizzò soprattutto il Nord e il Nord-Ovest dell’Irlanda, nel resto dell’Isola ebbe dal 439 l’aiuto di altri tre vescovi continentali, Secondino, Ausilio e Isernino, la cui venuta non è tanto chiaro se per aiuto a Patrizio o indipendentemente da lui e poi uniti nella collaborazione reciproca.


Benché il santo vescovo vivesse per carità di Cristo fra ‘stranieri e barbari’ da anni, in cuor suo si sentì sempre romano con il desiderio di rivedere la sua patria Britannia e quella spirituale la Gallia; ma la sua vocazione missionaria non gli permise mai di lasciare la Chiesa d’Irlanda che Dio gli aveva affidato, in quella che fu la terra della sua schiavitù.


Patrizio ebbe vita difficile con gli eretici pelagiani, che per ostacolare la sua opera ricorsero anche alla calunnia, egli per discolparsi scrisse una “Confessione” chiarendo che il suo lavoro missionario era volere di Dio e che la sua avversione al pelagianesimo scaturiva dall’assoluto valore teologico che egli attribuiva alla Grazia; dichiarandosi inoltre ‘peccatore rusticissimo’ ma convertito per grazia divina.


L’infaticabile apostolo concluse la sua vita nel 461 nell’Ulster a Down, che prenderà poi il nome di Downpatrick.


Durante il secolo VIII il santo vescovo fu riconosciuto come apostolo nazionale dell’Irlanda intera e la sua festa al 17 marzo, è ricordata per la prima volta nella ‘Vita’ di s. Geltrude di Nivelles del VII secolo.


Intorno al 650, s. Furseo portò alcune reliquie di s. Patrizio a Péronne in Francia da dove il culto si diffuse in varie regioni d’Europa; in tempi moderni il suo culto fu introdotto in America e in Australia dagli emigranti cattolici irlandesi.




a cura di Antonio Borrelli



Patronato:
Irlanda



Etimologia: Patrizio = di nobile discendenza, dal latino



Emblema: Bastone pastorale, Trifoglio



Martirologio Romano:
San Patrizio, vescovo: da giovane fu portato prigioniero dalla Britannia in Irlanda; recuperata poi la libertà, volle entrare tra i chierici; fatto ritorno nella stessa isola ed eletto vescovo, annunciò con impegno il Vangelo al popolo e diresse con rigore la sua Chiesa, finché presso la città di Down in Irlanda si addormentò nel Signore.

Nella visione di Ezechiele, l’acqua che dà la salute e la vita simboleggia la grazia che Dio dispensa in abbondanza nel tempo messianico. Questo tempo è giunto con la venuta di Gesù Cristo. È il motivo per cui Gesù non conduce il malato alla piscina di Siloe, la sorgente della grazia dell’Antico Testamento, ma lo guarisce per mezzo della propria potenza.
Egli lo fa di sabato, ed ordina al miracolato di portare il suo giaciglio nel giorno di sabato, poiché è giunto il tempo in cui è arrivata una grazia più grande della legge, e Gesù è il padrone del sabato. Nel sacramento del battesimo, tutti siamo stati integrati nel tempo messianico e, guariti dalla paralisi, abbiamo ricevuto l’ordine di partire e di portare i frutti della vita nello Spirito. Oggi Gesù ci dà un monito come ha fatto con il paralitico: dobbiamo avere paura di ricadere ancora nella schiavitù del peccato, affinché la nostra paralisi spirituale di cristiani non sia più grave della paralisi del paganesimo di cui Cristo ci ha liberati. Il tempo di Quaresima è il tempo dell’esame di coscienza. I nostri paesi, il mondo cristiano e post-cristiano non sono forse caduti di nuovo nel paganesimo, nell’idolatria del denaro, del successo e del potere? Non siamo forse di nuovo paralizzati tanto da non saper più vincere il male sociale, politico, familiare e personale? Le strutture del male sociale non costituiscono forse il letto della nostra malattia? O lo costituiscono le opinioni e i costumi del nostro ambiente? Gesù chiama ognuno di noi a convertirsi. Ci offre la riconciliazione con il Padre e la guarigione. Ci dice oggi: alzati, porta con te il tuo giaciglio di malato, va’, vivi e fa’ il bene. Ognuno di noi, all’ascolto del Vangelo di oggi, deve trovare il suo compito nell’ordine di Gesù: “Alzati, cammina e non peccare più”.
(a cura di www.lachiesa.it)

Nel Vangelo di oggi ci viene detto chiaramente che nessun profeta è rispettato né onorato nel proprio paese. Da un punto di vista letterario, il “paese natale” di Gesù è Nazaret, un villaggio della Galilea poco conosciuto. Per questo motivo Giovanni insiste su questa osservazione, per sottolineare la testimonianza missionaria di Gesù. Gesù è stato inviato al popolo di Giudea, il cui centro religioso era Gerusalemme, tuttavia non vi fu ricevuto (Gv 1,11).
La salvezza, la redenzione per mezzo della fede va molto al di là dei privilegi legati alla razza e ad ogni altro particolarismo. Gesù, dunque, ha svolto la sua attività non soltanto in Galilea ma anche nelle regioni pagane. E, in questo brano di Vangelo, il mondo pagano è rappresentato dal funzionario di Cafarnao, che non è ebreo. Egli, pagano, ha creduto alla parola di Gesù, dando prova di una fede pura e sincera che deve servirci di esempio.
In questo brano del Vangelo di san Giovanni ci viene mostrata l’importanza del dialogo tra Gesù e il funzionario e, nello stesso tempo, l’oggetto di questa conversazione: la fede. La vera fede è quella che rende possibile l’accoglienza di Gesù, quella che ci conduce al Salvatore (a Gesù). Per mezzo della fede, andiamo incontro a Dio e scopriamo il Padre e il suo amore nella nostra vita.
Quando constata la nostra fede, la nostra fiducia in lui, Gesù, per mezzo della potenza vivificante della sua parola, compie miracoli nella nostra vita. In questo brano di Vangelo, troviamo l’effetto della parola divina e la fiducia assoluta nella potenza di Gesù. Così, Gesù ha ricompensato la fede del funzionario come ricompensa la fede di ogni uomo.
(a cura di www.lachiesa.it)

I peccati più gravi spesso non sono le cattiverie, ma il bene non fatto. L’omissione del bene è il peccato più diffuso e meno confessato.
Anonimo

Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che noi tutti abbiamo la tendenza a compiacerci di noi stessi.
Forse perché pratichiamo molto fedelmente la nostra religione, come quel zelante fariseo, pensiamo di dover essere considerati “per bene”.
Non abbiamo ancora capito queste parole di Dio in Osea: “Voglio l’amore e non il sacrificio” (Os 6,6). Invece di glorificare il Padre per quello che è, il nostro ringraziamento troppo spesso riguarda ciò che noi siamo o, peggio, consiste nel confrontarci, in modo a noi favorevole, con gli altri. È proprio questo giudizio sprezzante nei confronti dei fratelli che Gesù rimprovera al fariseo, così come gli rimprovera il suo atteggiamento nei confronti di Dio.
Durante questa Quaresima, supplichiamo Gesù di cambiare radicalmente il nostro spirito e il nostro cuore, e di darci l’umiltà del pubblicano che invece ha scoperto l’atteggiamento e la preghiera “giusti” di fronte a Dio. Non comprenderemo mai abbastanza che il nostro amore è in stretta relazione con la nostra umiltà. La cosa migliore che possiamo fare di fronte a Dio, in qualsiasi misura ci pretendiamo santi, è di umiliarci di fronte a Dio.
Ci sono dei momenti in cui non riusciamo a rendere grazie in modo sincero; allora possiamo fare la preghiera del pubblicano, possiamo cioè approfittare della nostra miseria per avvicinarci a Gesù: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Gesù esaudisce sempre questa preghiera.
L’umiltà non ha niente a che vedere con un qualsiasi complesso di colpa o con un qualsiasi senso di inferiorità. È una disposizione d’amore; essa suppone che sappiamo già per esperienza che il nostro stato di peccatori attira l’amore misericordioso del Padre, poiché “chi si umilia sarà esaltato”. Essa suppone cioè che siamo entrati nello spirito del Magnificat.
(da lachiesa.it)

Messe?
Rosari?
Penitenze?
Elemosine?
Digiuni?
A cosa servono se si fanno "per obbligo" o "per tradizione"?
A cosa servono se si fanno ipocriticamente?
Il richiamo è forte!
“Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. I

l secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
 

La quaresima è tempo di lotta: bisogna essere forti e ben armati per resistere agli attacchi del tentatore.

Le nostre armi? Il digiuno, la carità e la preghiera.

Cosa ci rende forti? L'eucarestia e la riconciliazione.

Cosa ci aiuta? La grazia di Dio e... se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?

Gesù non è venuto a cambiare la legge, ma a darle compimento. Paolo dice che pieno compimento della legge è l'amore, dunque Gesù è venuto a dare un senso nuovo alla legge, facendoci cogliere lo spirito che è in essa contro un'appicazione meramente legale e farisaica.
Lasciamoci condurre dall'amore di Cristo e adempiremo pienamente la legge.
 

Un solo pensiero: Il primo debitore deve al padrone 350 TONNELLATE d'oro, il secondo debitore deve al primo 35 GRAMMI d'oro. Il primo debitore siamo noi, ciascuno di noi. Ognuno di noi deve infatti al Signore 350 tonnellate di oro (in peccati di parole, opere ed omissioni), mentre il nostro fratello, il vicino, il parente, il prossimo è debitore con noi di 35 grammi d'oro...
Nel Padre Nostro diciamo: rimetti a noi i nostri debiti COME (nella misura in cui) noi li rimettiamo ai nostri debitori...
C'è di che riflettere oggi....

Nessuno è profeta nella sua patria. Alle volte i lontani, quelli considerati diversi, i poveri e i piccoli sanno scorgere la presenza di Dio più di coloro che lo hanno più a portata di mano. Così Naaman viene dalla Siria e seppur con i suoi dubbi e le sue perplessità si fida della parola di Dio data per mezzo di Eliseo e questo gli vale la guarigione, mentre i vicini di Gesù, i suoi concittadini non gli credono e lui non può operare che poche guarigioni.
Questa quaresima è per noi, i vicini, il tempo favorevole per riconoscere le meraviglie del Signre e convertirci a lui.
 

Gesù ha frantumato tante illusioni e speranze false e ci obbliga a riconoscere la sua vera natura.

Ha offerto come struttura fondamentale l’amore e la donazione sino alla morte.

Attraverso la sua Pasqua ci ha dato anche il senso ultimo di questo amore e ha provocato l’amore dell’uomo.
-Anonimo-

Oggi Gesù dice una parabola per ciascuno di noi: noi tutti siamo quel figlio che il peccato ha allontanato dal Padre, e che deve ritrovare, ogni giorno più direttamente, il cammino della sua casa, il cammino del suo cuore. La conversione è esattamente questo: questo viaggio, questo percorso che consiste nell’abbandonare il nostro peccato e la miseria nella quale esso ci ha gettati per andare verso il Padre.
Ciò che ci sconvolge in questa parabola, e la realtà la sorpassa di molto, è il vedere che di fatto il nostro Padre ci attende da sempre. Siamo noi ad averlo lasciato, ma lui, lui non ci lascia mai. Egli è “commosso” non appena ci vede tornare a lui. Talvolta saremmo tentati di dubitare del suo perdono, pensando che la nostra colpa sia troppo grande. Ma il padre continua sempre ad amarci. Egli è infinitamente fedele. Non sono i nostri peccati ad impedirgli di darci il suo amore, ma il nostro orgoglio. Non appena ci riconosciamo peccatori, subito egli si dona di nuovo a noi, con un amore ancora più grande, un amore che può riparare a tutto, un amore in grado in ogni momento di trarre dal male un bene più grande. Il suo perdono non è una semplice amnistia, è un’effusione di misericordia, nella quale la tenerezza è più forte del peccato.
Gesù vuole che noi abbiamo la stessa fiducia anche nei confronti degli altri. Nel cuore di ogni uomo vi è sempre una possibilità di ritorno al Padre, e noi dobbiamo sperarlo senza sosta. Quando vediamo fratelli e sorelle convertiti di recente che ricevono grazie di intimità con Dio, spesso davvero straordinarie, esultiamo senza ripensamenti, e partecipiamo alla gioia del Padre.
da "www.lachiesa.it

In questo venerdì la Chiesa ha scelto di farci leggere due testi che ci preparano al mistero del Venerdì Santo, nel quale Gesù viene ucciso per salvare noi.
Abele, ucciso dal suo fratello geloso, è la prima immagine di Gesù nell’Antico Testamento. Viene poi la figura di Giuseppe, venduto dai suoi fratelli. Questi passi della Genesi mettono in piena luce la ferita che colpisce il cuore di tutti gli uomini dopo il peccato originale e che ostacola il sorgere dei sentimenti fraterni. La gelosia può assumere molte forme, vi sono modi più o meno eleganti di sbarazzarci di qualcuno che ci infastidisce e bisogna riconoscere che si tratta di una tentazione molto frequente, anche in una comunità cristiana. Abbiamo bisogno di chiedere continuamente a Dio una purificazione più profonda, per non accettare mai volontariamente nei nostri cuori il più piccolo sentimento di ostilità nei confronti di un fratello. L’ostilità diventa così facilmente odio...
La parabola dei vignaioli assassini è indirizzata ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. Ci fa comprendere una particolare sofferenza del cuore di Gesù, e al tempo stesso ci fa penetrare nel mistero della sua Chiesa. Gesù ha sofferto per tutti i nostri peccati, ma in particolar modo ha sofferto per essere stato ripudiato e infine ucciso dai pastori del popolo eletto.
Quando consideriamo la storia della Chiesa e del mondo, vediamo che spesso gli uomini hanno veramente voglia di conservare l’eredità del cristianesimo: una nuova visione dell’uomo e della sua dignità personale, un senso della giustizia, della condivisione... Ma essi vogliono sopprimere l’Erede. Si accontentano di una spiritualità senza Dio! Durante questa Quaresima, chiediamo la grazia di attaccarci con fermezza non solo al messaggio, ma anche alla persona di Gesù, e che la nostra unione con lui sia il centro della nostra vita.
da "www.lachiesa.it

“Quant’è difficile, per coloro che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!” (Lc 18,24). Perciò è necessario, dice Gesù, un cambiamento radicale del nostro atteggiamento. È necessario liberarci di tutte le ricchezze che appesantiscono il nostro cuore, è necessario staccarsene, perché esse ci impediscono di vedere il povero che “giace alla nostra porta”. Chi tra noi oserebbe dire che non tiene a nessuna ricchezza? Siamo tutti assai preoccupati di noi stessi, del nostro agio, dei nostri interessi... La vera privazione, la più importante agli occhi di Dio, è quella che libera il nostro cuore dal suo egoismo e che lo apre agli altri.
Il Vangelo ci dà modo di conquistare veri tesori che nulla può intaccare: mettendo al servizio dei poveri, con umiltà, tutto ciò che abbiamo in beni materiali, talento, potere, qualità. Allora, coloro che avremo soccorso verranno da questa terra in nostro aiuto: non solamente faranno scaturire ciò che vi è di migliore in noi, la gioia del dare, ma ci faranno ottenere per noi un posto nel regno di Dio, che non appartiene che ai poveri.
da "www.lachiesa.it

La croce è sempre presente nel cuore di Gesù. È la meta della sua vita. Sarà un sacrificio liberamente offerto, e non solo un martirio: Gesù ben lo mostra annunciando con precisione ai suoi apostoli che cosa gli sarebbe accaduto. Certo, egli aggiunge che “il terzo giorno risusciterà”, ma si sente che ora è tutto rivolto alla passione che si avvicina. I sentimenti di Giacomo, di Giovanni e della loro madre appaiono molto umani. Questo bisogno di gloria, questo bisogno di apparire, esiste in ciascuno di noi. Il nostro io resta sempre più o meno occupato dal desiderio di dominare. Ma Gesù ci avverte come avverte Giacomo e Giovanni: se vogliamo essere con lui nella sua gloria, dobbiamo bere per intero il suo calice, cioè dobbiamo anche noi morire, fare la volontà del Padre, portare la nostra croce seguendo Gesù, senza cercare di sapere prima quale sia il nostro posto nel suo regno.
La reazione di sdegno degli altri dieci discepoli è anch’essa molto umana. E Gesù, seriamente, li invita a un rovesciamento totale di valori. Nella nuova comunità per la quale egli sta per dare la vita, il primo sarà l’ultimo, “appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti”. Chiediamo la grazia di divenire servi, e servi davvero umili, pronti a soffrire e a sacrificarsi. Preghiamo Maria perché interceda per noi: ai piedi della croce, ciò che Maria chiede per i suoi figli è che abbiano parte, come lei e con lei, al sacrificio del suo Figlio
da "www.lachiesa.it

A proposito di peccati...

I peccati più gravi spesso non sono le cattiverie, ma il bene non fatto. L’omissione del bene è il peccato più diffuso e meno confessato.
Anonimo

I lettura
Dio non volle santificare e salvare gli uomini individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità  e fedelmente lo servisse. Il cristiano è consapevole di appartenere ad un popolo particolare, il popolo di Dio,un'identità suggellata dal battesimo. Essere membri, per lui, del popolo di Dio, è un'identità ancora più importante di quella familiare e nazionale.
Chi accoglie l'annuncio dell'Evangelo di Gesù Cristo viene inserito nell'ambito del popolo di Dio, assumendone tutti i privilegi e le responsabilità.

vangelo
Gesù ci parla di essere perfetti nell'amore. Ma qual' è la perfezione dell'amore? E' amare anche i nemici ed amarli perché diventino fratelli. Il nostro amore infatti non deve essere carnale.
 Ama i tuoi nemici con l'intento di renderli fratelli; amali fino a farli entrare nella tua cerchia.
Così ha amato colui che, pendendo sulla croce, disse: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34.)

a cura di Ildegarde Giacobbi oblata benedettina

I lettura
il Dio della misericordia che “non ha piacere della morte del malvagio, ma desidera che si converta e viva”
Sono questi i tre momenti che portano alla vera conversione:
1 – la fede;
2 – le opere di conversione;
3 – il mutamento radicale che li giustifica davanti a Dio

vangelo
Oggi ci viene illustrata la via da percorrere per conquistare la vera vita. La via del Signore è la giustizia, una strada lontana dal peccato e dall’agire in modo iniquo, aperta a tutti coloro che desiderano praticarla.
Praticare la giustizia divina è un atto estremamente impegnativo perché è distante dalla nostra concezione di giustizia spesso egoistica e che pone al centro, come unici beneficiari, noi stessi e i nostri interessi. Amare il proprio fratello, invece, è la prima cosa da fare, il primo comandamento, quello nuovo lasciato da Cristo stesso durante l’ultima cena “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”.

a cura di Ildegarde Giacobbi oblata benedettina

I lettura
Mio aiuto e liberatore sei tu, Signore; non tardare!Tu sei aiuto e liberatore. Io ho bisogno di soccorso: aiutami!Io sono prigioniero: liberami! Perché nessuno all’infuori di te mi scioglierà dai miei legami. S. Agostino

vangelo
Noi siamo poveri di tutto, ma se domandiamo non siamo più poveri. Se noi siamo poveri, Dio è ricco, e Dio è tutto liberalità  con chi lo chiama in aiuto (Rm 12).
Dio dona i suoi beni, quando è pregato, abbondantemente, cioè, con la mano larga, dando sempre più di quello che gli si cerca, perché la sua ricchezza è infinita; quanto più dà, più gli resta da dare. Perché soave sei tu, o Signore, e benigno e di molta misericordia per quei che t'invocano (Sal 85,4)
ecco perché siamo ricchi, se preghiamo e confidiamo nel Signore.

a cura di Ildegarde Giacobbi oblata benedettina
 

I lettura

Chiediamo al Signore tanta grazia e domandiamo di essere anche noi, capaci di rispondere con generosità alla chiamata del Signore, esattamente come Giona,trasformato per convertire i niniviti.
Se ognuno di noi pensasse di iniziare questo cammino di conversione, di trasformazione totale della propria esistenza, scopriremmo che tutti diventeremmo improvvisamente in grado di aiutarci gli uni gli altri a mantenere fede al proposito fatto.

vangelo
In sostanza, il segno di Giona altro non è che la sua risurrezione personale: "come Giona rimase per tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo rimarrà ne cuore della terra per tre giorni e tre notti" (Mt 12,40).
Il segno di Giona, a cui Gesù allude, è allora il kerygma apostolico che lo annuncerà al mondo nel corso dei secoli come il Vivente.
 

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Eventi dalla diocesi

25 aprile

A Loreto

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In Cattedrale

02 giugno 10:00

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