Il pensiero del giorno
Il pensiero del giorno
Dalle «Catechesi» di S. Cirillo di Gerusalemme.
(Catech. 20, Mistagogica 2, 4-6; PG 33, 1079-1082)
Il battesimo, segno della passione di Cristo
Siete stati portati al santo fonte, al divino battesimo, come Cristo dalla croce fu portato al sepolcro.
E ognuno è stato interrogato se credeva nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; avete professato la fede salutare e siete stati immersi tre volte nell'acqua e altrettante siete riemersi, e con questo rito avete espresso un'immagine e un simbolo. Avete rappresentato la sepoltura di tre giorni del Cristo.
Il nostro Salvatore passò tre giorni e tre notti nel seno della terra. Nella prima emersione voi avete simboleggiato il primo giorno passato da Cristo nella terra. Nell'immersione la notte. Infatti, chi è nel giorno si trova nella luce, invece colui che è immerso nella notte, non vede nulla. Così voi nell'immersione, quasi avvolti dalla notte, non avete visto nulla. Nell'emersione invece vi siete ritrovati come nel giorno.
Nello stesso istante siete morti e siete nati e la stessa onda salutare divenne per voi e sepolcro e madre.
Ciò che Salomone disse di altre cose, si adatta pienamente a voi: «C'è un tempo per nascere e un tempo per morire» (Qo 3, 2), ma per voi al contrario il tempo per morire è stato il tempo per nascere. L'unico tempo ha causato ambedue le cose, e con la morte ha coinciso la vostra nascita.
O nuovo e inaudito genere di cose! Sul piano delle realtà fisiche noi non siamo morti, né sepolti, né crocifissi e neppure risorti. Abbiamo però ripresentato questi eventi nella sfera sacramentale e così da essi è scaturita realmente per noi la salvezza.
Cristo invece fu veramente crocifisso e veramente sepolto ed è veramente risorto, anche nella sfera fisica, e tutto questo è stato per noi dono di grazia. Così infatti partecipi della sua passione mediante la rappresentazione sacramentale, possiamo realmente ottenere la salvezza.
O traboccante amore per gli uomini! Cristo ricevette i chiodi nei suoi piedi e nelle sue mani innocenti e sopportò il dolore, e a me, che non ho sopportato né dolore, né fatica, egli dona gratuitamente la salvezza mediante la comunicazione dei suoi dolori.
Nessuno pensi che il battesimo consista solo nella remissione dei peccati e nella grazia di adozione, come era il battesimo di Giovanni che conferiva solo la remissione dei peccati. Noi invece sappiamo che il battesimo, come può liberare dai peccati e ottenere il dono dello Spirito santo, così anche è figura ed espressione della Passione di Cristo. E' per questo che Paolo proclama: «Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme con lui nella morte» (Rm 6, 3-4a).
Dall'«Omelia sulla Pasqua» di un antico autore.
(Disc. 35, 6-9; PL 17, 696-697)
Cristo autore della risurrezione e della vita
L'apostolo Paolo ricordando la felicità per la riacquistata salvezza, dice: Come per Adamo la morte entrò in questo mondo, così per Cristo la salvezza viene nuovamente data al mondo (cfr. Rm 5, 12). E ancora: Il primo uomo tratto dalla terra, è terra; il secondo uomo viene dal cielo, ed è quindi celeste (1 Cor 15, 47). Dice ancora: «Come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra», cioè dell'uomo vecchio nel peccato, «porteremo anche l'immagine dell'uomo celeste» (1 Cor 15, 49), cioè abbiamo la salvezza dell'uomo assunto, redento, rinnovato e purificato in Cristo. Secondo lo stesso apostolo, Cristo viene per primo perché è l'autore della sua risurrezione e della vita. Poi vengono quelli che sono di Cristo, cioè quelli che vivono seguendo l'esempio della sua santità. Questi hanno la sicurezza basata sulla sua risurrezione e possederanno con lui la gloria della celeste promessa, come dice il Signore stesso nel vangelo: Colui che mi seguirà, non perirà ma passerà dalla morte alla vita (cfr. Gv 5, 24).
Così la passione del Salvatore è la vita e la salvezza dell'uomo. Per questo infatti volle morire per noi, perché noi, credendo in lui, vivessimo per sempre. Volle diventare nel tempo quel che noi siamo, perché, attuata in noi la promessa della sua eternità, vivessimo con lui per sempre.
Questa, dico, è la grazia dei misteri celesti, questo il dono della Pasqua, questa è la festa dell'anno che più desideriamo, questi sono gli inizi delle realtà vivificanti.
Per questo mistero i figli generati nel vitale lavacro della santa Chiesa, rinati nella semplicità dei bambini, fanno risuonare il balbettio della loro innocenza. In virtù della Pasqua i genitori cristiani e santi continuano, per mezzo della fede, una nuova e innumerevole discendenza.
Per la Pasqua fiorisce l'albero della fede, il fonte battesimale diventa fecondo, la notte splende di nuova luce, scende il dono del cielo e il sacramento dà il suo nutrimento celeste.
Per la Pasqua la Chiesa accoglie nel suo seno tutti gli uomini e ne fa un unico popolo e un'unica famiglia.
Gli adoratori dell'unica sostanza e onnipotenza divina e del nome delle tre Persone cantano con il Profeta il salmo della festa annuale: «Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso» (Sal 117, 24). Quale giorno? mi chiedo. Quello che ha dato il principio alla vita, l'inizio alla luce. Questo giorno è l'artefice dello splendore, cioè lo stesso Signore Gesù Cristo. Egli ha detto di se stesso: Io sono il giorno: chi cammina durante il giorno non inciampa (cfr. Gv 8, 12), cioè: Chi segue Cristo in tutto, ricalcando le sue orme arriverà fino alle soglie della luce eterna. E' ciò che richiese al Padre quando si trovava ancora quaggiù con il corpo: Padre, voglio che dove sono io siano anche coloro che hanno creduto in me: perché come tu sei in me e io in te, così anche essi rimangano in noi (cfr. Gv 17, 20 ss.).
Dai «Discorsi» di sant'Anastasio, vescovo di Antiochia
(Disc. 4, 12; PG 89, 1347-1349)
Cristo doveva patire e così entrare nella sua gloria
Cristo, dopo aver mostrato con l'insegnamento e con le sue opere di essere il vero Dio e il Signore dell'universo, mentre stava per recarsi a Gerusalemme diceva ai suoi discepoli: Ecco stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo verrà dato in mano ai pagani, ai sommi sacerdoti e agli scribi per essere flagellato, vilipeso e crocifisso (cfr. Mt 20, 18-19). Diceva che queste cose erano conformi alle predizioni dei profeti, i quali avevano preannunziato la sua morte, che doveva avvenire in Gerusalemme. Avendo pertanto la Sacra Scrittura predetto fin dal principio la morte di Cristo e la sua passione prima della morte, predice ancora ciò che accadde al suo corpo dopo la morte. Afferma però anche che, come Dio, era impassibile e immortale.
Osservando la verità dell'incarnazione, ne deduciamo i motivi per proclamare rettamente e giustamente l'una e l'altra cosa, cioè la passione e l'impassibilità. Il motivo per cui il Verbo di Dio, impassibile in se stesso, sostenne la passione era che l'uomo non poteva essere salvato in altro modo. Egli lo sapeva bene e con lui anche coloro ai quali volle manifestarlo. Il Verbo, infatti, conosce tutto del Padre, come lo «Spirito ne scruta le profondità» (1 Cor 2, 10) cioè i misteri impenetrabili.
Era davvero necessario che Cristo soffrisse, e non poteva non farlo, come egli stesso affermò. Per questo chiamò stolti e tardi di mente quanti ignoravano che Cristo doveva in tal modo soffrire ed entrare nella sua gloria. Egli venne per la salvezza del suo popolo. Per lui si privò, in un certo senso, di quella gloria che possedeva presso il Padre prima che il mondo fosse. La salvezza era l'evento che doveva maturare attraverso la passione dell'autore della vita. Lo insegna san Paolo: Egli è l'autore della vita, reso perfetto mediante le sofferenze (cfr. Eb 2, 10). La gloria di Unigenito, poi, che egli aveva abbandonato per noi, gli venne restituita per mezzo della croce, nella carne che aveva assunta. Dice infatti san Giovanni nel suo vangelo, quando spiega quale fosse l'acqua di cui parlò il Salvatore: «Scorrerà come fiume dal seno di chi crede. Questo disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato» (Gv 7, 38-39), e chiama gloria la morte in croce. Perciò il Signore, mentre innalzava preghiere prima di subire la croce, supplicava il Padre di essere glorificato con quella gloria che aveva presso di lui, prima che il mondo esistesse.
Dall'«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo
(Capp. 2-7; 100-103; SC 123, 60-64. 120-122)
L'agnello immolato ci trasse dalla morte alla vita
Prestate bene attenzione, carissimi: il mistero della Pasqua è nuovo e antico, eterno e temporale, corruttibile e incorruttibile, mortale e immortale. Antico secondo la legge, nuovo secondo il Verbo; temporaneo nella figura, eterno nella grazia; corruttibile per l'immolazione dell'agnello, incorruttibile per la vita del Signore; mortale per la sua sepoltura nella terra, immortale per la sua risurrezione dai morti.
La legge è antica, ma il Verbo è nuovo; temporale è la figura, eterna la grazia; corruttibile l'agnello, incorruttibile il Signore, che fu immolato come un agnello, ma risorse come Dio.
«Come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53, 7).
La similitudine è passata ed ha trovato compimento la realtà espressa: invece di un agnello, Dio, l`uomo-Cristo, che tutto compendia.
Perciò l'immolazione dell'agnello, la celebrazione della Pasqua e la scrittura della legge ebbero per fine Cristo Gesù. Nell'antica legge tutto avveniva in vista di Cristo. Nell'ordine nuovo tutto converge a Cristo in una forma assai superiore.
La legge è divenuta il Verbo e da antica è fatta nuova, ma ambedue uscirono da Sion e da Gerusalemme. Il precetto si mutò in grazia, la figura in verità, l'agnello nel Figlio, la pecora nell'uomo e l'uomo in Dio.
Il Signore pur essendo Dio, si fece uomo e soffrì per chi soffre, fu prigioniero per il prigioniero, condannato per il colpevole e, sepolto per chi è sepolto, risuscitò dai morti e gridò questa grande parola: Chi è colui che mi condannerà? Si avvicini a me (Is 50, 8). Io, dice, sono Cristo che ho distrutto la morte, che ho vinto il nemico, che ho messo sotto i piedi l'inferno, che ho imbrigliato il forte e ho elevato l'uomo alle sublimità del cielo; io, dice, sono il Cristo.
Venite, dunque, o genti tutte, oppresse dai peccati e ricevete il perdono. Sono io, infatti, il vostro perdono, io la Pasqua della redenzione, io l'Agnello immolato per voi, io il vostro lavacro, io la vostra vita, io la vostra risurrezione, io la vostra luce, io la vostra salvezza, io il vostro re. Io vi porto in alto nei cieli. Io vi risusciterò e vi farò vedere il Padre che è nei cieli. Io vi innalzerò con la mia destra.

O Dio, potenza immutabile e luce che non tramonta, volgi lo sguardo alla tua Chiesa, ammirabile sacramento di salvezza, e compi l'opera predisposta nella tua misericordia: tutto il mondo veda e riconosca che ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna alla sua integrità, per mezzo del Cristo, che è principio di tutte le cose, e vive e regna nei secoli dei secoli.
Buona Pasqua!
- Regina caeli, laetare, alleluia:
- Quia quem meruisti portare. alleluia,
- Resurrexit, sicut dixit, alleluia,
- Ora pro nobis Deum, alleluia!

Da un'antica «Omelia sul Sabato santo».
(Pg 43, 439. 451. 462-463)
La discesa agli inferi del Signore
Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.
Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.
Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: «E con il tuo spirito». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: «Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un'unica e indivisa natura.
Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all'albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire. Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell'inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.
Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l'eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli».

Dalle «Catechesi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Catech. 3, 13-19; SC 50, 174-177)
La forza del sangue di Cristo
Vuoi conoscere la forza del sangue di Cristo? Richiamiamone la figura, scorrendo le pagine dell'Antico Testamento.
«Immolate, dice Mosè, un agnello di un anno e col suo sangue segnate le porte» (Es 12, 1-14). Cosa dici, Mosè? Quando mai il sangue di un agnello ha salvato l'uomo ragionevole? Certamente, sembra rispondere, non perché è sangue, ma perché è immagine del sangue del Signore. Molto più di allora il nemico passerà senza nuocere se vedrà sui battenti non il sangue dell'antico simbolo, ma quello della nuova realtà, vivo e splendente sulle labbra dei fedeli, sulla porta del tempio di Cristo.
Se vuoi comprendere ancor più profondamente la forza di questo sangue, considera da dove cominciò a scorrere e da quale sorgente scaturì. Fu versato sulla croce e sgorgò dal costato del Signore. A Gesù morto e ancora appeso alla croce, racconta il vangelo, s'avvicinò un soldato che gli aprì con un colpo di lancia il costato: ne uscì acqua e sangue. L'una simbolo del Battesimo, l'altro dell'Eucaristia. Il soldato aprì il costato: dischiuse il tempio sacro, dove ho scoperto un tesoro e dove ho la gioia di trovare splendide ricchezze. La stessa cosa accade per l'Agnello: i Giudei sgozzarono la vittima ed io godo la salvezza, frutto di quel sacrificio.
E uscì dal fianco sangue ed acqua (cfr. Gv 19, 34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell'acqua e quel sangue sono simbolo del battesimo e dell'Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito santo per mezzo del Battesimo e dell'Eucaristia. E i simboli del Battesimo e dell'Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formava Eva.
Per questo Mosè, parlando del primo uomo, usa l'espressione: «ossa delle mie ossa, carne dalla mia carne» (Gn 2, 23), per indicarci il costato del Signore. Similmente come Dio formò la donna dal fianco di Adamo, così Cristo ci ha donato l'acqua e il sangue dal suo costato per formare la Chiesa. E come il fianco di Adamo fu toccato da Dio durante il sonno, così Cristo ci ha dato il sangue e l'acqua durante il sonno della sua morte.
Vedete in che modo Cristo unì a sé la sua Sposa, vedete con quale cibo ci nutre. Per il suo sangue nasciamo, con il suo sangue alimentiamo la nostra vita. Come la donna nutre il figlio col proprio latte, così il Cristo nutre costantemente col suo sangue coloro che ha rigenerato.

Dall'«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo
(Capp. 65-67; SC 123, 95-101)
L'agnello immolato ci strappò dalla morte
Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo, «al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Gal 1, 5 ecc.). Egli scese dai cieli sulla terra per l'umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell'uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida.
Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall'Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e le membra del nostro corpo con il suo sangue.
Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone. Egli è colui che percosse l'iniquità e l'ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l'Egitto.
Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.
Egli è colui che prese su di sé le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè, e nell'agnello fu sgozzato.
Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato.
Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e, risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l'agnello che non apre bocca, egli è l'agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnello senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all'uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione.
Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l'umanità dal profondo del sepolcro.

Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Tratt. 84, 1-2; CCL 36, 536-538)
La pienezza dell'amore
Il Signore, o fratelli carissimi, ha definito la pienezza dell'amore con cui dobbiamo amarci gli uni gli altri con queste parole: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Ne consegue ciò che il medesimo evangelista Giovanni dice nella sua lettera: Cristo «ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli», (1 Gv 3, 16) amandoci davvero gli uni gli altri, come egli ci ha amato, fino a dare la sua vita per noi.
Questo appunto si legge nei Proverbi di Salomone: Quando siedi a mensa col potente, considera bene che cosa hai davanti; e poni mano a far le medesime cose che fa lui (cfr. Pro 23, 1-2).
Ora qual è la mensa del grande e del potente, se non quella in cui si riceve il corpo e il sangue di colui che ha dato la vita per noi? E che significa assidersi a questa mensa, se non accostarvisi con umiltà? E che vuol dire considerare bene che cosa si ha davanti, se non riflettere, come si conviene, a una grazia sì grande? E che cosa è questo porre mano a far le medesime cose se non ciò che ho detto sopra e cioè: come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo essere disposti a dare la nostra vita per i fratelli? E` quello che dice anche l'apostolo Pietro: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (1 Pt 2, 21). Questo significa fare le medesime cose. Così hanno fatto con ardente amore i santi martiri e, se non vogliamo celebrare inutilmente la loro memoria, se non vogliamo accostarci infruttuosamente alla mensa del Signore, a quel banchetto in cui anch'essi si sono saziati, bisogna che anche noi, come loro, siamo pronti a ricambiare il dono ricevuto.
A questa mensa del Signore, perciò, noi non commemoriamo i martiri come facciamo con gli altri che riposano in pace, cioè non preghiamo per loro, ma chiediamo piuttosto che essi preghino per noi, per ottenerci di seguire le loro orme. Essi, infatti, hanno toccato il vertice di quell'amore che il Signore ha definito come il più grande possibile. Hanno presentato ai loro fratelli quella stessa testimonianza di amore, che essi medesimi avevano ricevuto alla mensa del Signore.
Non vogliamo dire con questo di poter essere pari a Cristo Signore, qualora giungessimo a rendergli testimonianza fino allo spargimento del sangue. Egli aveva il potere di dare la sua vita e di riprenderla, mentre noi non possiamo vivere finché vogliamo, e dobbiamo morire anche contro nostra voglia. Egli, morendo, uccise subito in sé la morte, mentre noi veniamo liberati dalla morte solo mediante la sua morte. La sua carne non conobbe la corruzione, mentre la nostra, solo dopo aver subito la corruzione, rivestirà per mezzo di lui l'incorruttibilità alla fine del mondo. Egli non ebbe bisogno di noi per salvarci, ma noi, senza di lui, non possiamo far nulla. Egli si è mostrato come vite a noi che siamo i tralci, a noi che, senza di lui, non possiamo avere la vita.
In fine, anche se i fratelli arrivano a dare la vita per i fratelli, il sangue di un martire non viene sparso per la remissione dei peccati dei fratelli, cosa che invece egli ha fatto per noi. E con questo ci ha dato non un esempio da imitare, ma un dono di cui essergli grati.
I martiri dunque, in quanto versarono il loro sangue per i fratelli, hanno ricambiato solo quanto hanno ricevuto dalla mensa del Signore. Manteniamoci sulla loro scia e amiamoci gli uni gli altri, come Cristo ha amato noi, dando se stesso per noi.

Dal libro «Su lo Spirito Santo» di san Basilio Magno, vescovo
(15, 35; PG 32, 127-130)
Unica è la morte al mondo e unica la risurrezione dei morti
L'economia di salvezza di Dio, nostro salvatore consiste nel rialzare l'uomo dalle sue cadute e nel farlo ritornare alla intimità divina, liberandolo dall'alienazione a cui l'aveva portato la disobbedienza. La venuta di Cristo nella carne, gli esempi di vita evangelica, le sofferenze, la croce, la sepoltura, la risurrezione sono per la salvezza dell'uomo perché abbia di nuovo, mediante l'imitazione di Cristo, l'adozione a figlio di cui era dotato all'inizio.
Per l'autenticità della vita cristiana è dunque necessario imitare non solo i suoi esempi di dolcezza, di umiltà e di pazienza manifestati durante la vita, ma anche la sua stessa morte. Lo dice san Paolo, imitatore di Cristo: «Divenuto conforme a lui nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3,11).
Ma come possiamo renderci conformi alla morte di lui? Facendoci conseppellire con lui per mezzo del battesimo. Qual è allora il modo della sepoltura e quale il frutto della sua imitazione? Prima di tutto è necessario interrompere il modo di vivere di prima. Ma nessuno può arrivare a tanto se non rinasce di nuovo, secondo le parole del Signore. La rigenerazione infatti, come emerge dalla parola stessa, è l'inizio di una seconda vita. Perciò prima di iniziare una seconda vita, bisogna por fine alla prima. A coloro che sono arrivati alla fine del giro nello stadio, si dà un po' di sosta e di riposo prima di far loro iniziare un altro giro. Così anche nel mutamento di vita appare necessario che la morte si interponga tra la prima e la seconda vita, e che questa morte costituisca la fine della condizione precedente e l'inizio di quella futura.
E come dobbiamo morire, cioè compiere la discesa agli inferi? Imitando la sepoltura di Cristo per mezzo del battesimo. Infatti i corpi di coloro che vengono battezzati, in certo modo sono sepolti nell'acqua. Perciò il battesimo significa in maniera arcana la deposizione delle opere della carne, secondo quello che dice l'Apostolo: «In lui voi siete stati anche circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano d'uomo, mediante la spogliazione del vostro corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo. Con lui infatti siete stati sepolti nel battesimo» (Col 2,11).
E il battesimo, in certo qual modo, lava l'anima dalle brutture, che si accumulano su di essa a causa delle tendenze della carne, secondo quanto sta scritto: «lavami e sarò più bianco della neve» (Sal 50,9). Per questo motivo noi conosciamo un unico battesimo di salvezza, dal momento che unica è la morte al mondo e unica la risurrezione dei morti, delle quali cose figura è il battesimo.

Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. Guelf. 3; PLS 2, 545-546)
Gloriamoci anche noi nella Croce del Signore
La passione del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo è pegno sicuro di gloria e insieme ammaestramento di pazienza.
Che cosa mai non devono aspettarsi dalla grazia di Dio i cuori dei fedeli! Infatti al Figlio unigenito di Dio, coeterno al Padre, sembrando troppo poco nascere uomo dagli uomini, volle spingersi fino al punto di morire quale uomo e proprio per mano di quegli uomini che aveva creato lui stesso.
Gran cosa è ciò che ci viene promesso dal Signore per il futuro, ma è molto più grande quello che celebriamo ricordando quanto è già stato compiuto per noi. Dove erano e che cosa erano gli uomini, quando Cristo morì per i peccatori? Come si può dubitare che egli darà ai suoi fedeli la sua vita, quando per essi, egli non ha esitato a dare anche la sua morte? Perché gli uomini stentano a credere che un giorno vivranno con Dio, quando già si è verificato un fatto molto più incredibile, quello di un Dio morto per gli uomini?
Chi è infatti Cristo? E' colui del quale si dice: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»? (Gv 1, 1). Ebbene questo Verbo di Dio «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Egli non aveva nulla in se stesso per cui potesse morire per noi, se non avesse preso da noi una carne mortale. In tal modo egli immortale poté morire, volendo dare la vita per i mortali. Rese partecipi della sua vita quelli di cui aveva condiviso la morte. Noi infatti non avevamo di nostro nulla da cui aver la vita, come lui nulla aveva da cui ricevere la morte. Donde lo stupefacente scambio: fece sua la nostra morte e nostra la sua vita. Dunque non vergogna, ma fiducia sconfinata e vanto immenso nella morte del Cristo.
Prese su di sé la morte che trovò in noi e così assicurò quella vita che da noi non può venire. Ciò che noi peccatori avevamo meritato per il peccato, lo scontò colui che era senza peccato. E allora non ci darà ora quanto meritiamo per giustizia, lui che è l'artefice della giustificazione? Come non darà il premio dei santi, lui fedeltà personificata, che senza colpa sopportò la pena dei cattivi?
Confessiamo perciò, o fratelli, senza timore, anzi proclamiamo che Cristo fu crocifisso per noi. Diciamolo, non già con timore, ma con gioia, non con rossore, ma con fierezza.
L'apostolo Paolo lo comprese bene e lo fece valere come titolo di gloria. Poteva celebrare le più grandi e affascinanti imprese del Cristo. Poteva gloriarsi richiamando le eccelse prerogative del Cristo, presentandolo quale creatore del mondo in quanto Dio con il Padre, e quale padrone del mondo in quanto uomo simile a noi. Tuttavia non disse altro che questo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6, 14).

Con questa Santa Domenica entriamo nel cuore della Settimana Santa.
Siamo invitati a partecipare con slancio ai momenti liturgici e in particolare alle Celebrazioni del Triduo Pasquale,
lasciandoci travolgere dalla Misericordia di Dio Padre attraverso il Sacramento della Riconciliazione.
Prepariamoci a vivere la gioia della Risurrezione che vince e oltrepassa ancora una volta le nostre inconsistenze.
VIVERE TESTIMONIANDO
Per vivere da testimoni bisogna “levigare nel cuore” la Parola di Dio, cioè “usarla” nella preghiera, masticandola e rimasticandola. Citandola come una parte di noi stessi. Noi abbiamo ricevuto, direttamente da Dio, l’ordine di mangiare, di assimilare la Sua Parola e di assaporarla come il miele (Ez.2) e poi di buttarci nell’annuncio: Gesù è morto ed è risorto. Annuncio che ci porta a proclamare cinque verità. Dio ama come un padre (Os 11, 1-4): è Lui che ci insegna a camminare e che ci solleva alla sua guancia. Dio ama come una madre (Is 49, 15-16 e Is 66, 12): non si dimentica mai di noi suoi figli perché ci porta scolpiti sulle mani. Dio ama come un amico ( Is 43, 1-2): egli è con noi nei momenti più difficili perché gli apparteniamo. Dio ama come uno sposo ( Is 62,5): vive intimamente con noi, e gioisce per noi come lo sposo gioisce per lo sposa. Dio ama come un innamorato ( Ct 4,9): il calore del suo sguardo e delle sue premure per noi “fanno perdere i sensi”, dice il libro del Cantico dei Cantici.
Don Orione:
Dio è luce, Dio è spirito di pace, di conforto, di serena e soavissima consolazione. Iddio vivifica, Iddio rischiara, Iddio conforta! Iddio ara e lavora le anime, parla all’uomo e si fa maestro e luce che illumina.
Preghiamo:
O Padre, di fronte alle mille sfaccettature del tuo amore restiamo in adorazione e prostrati ti chiediamo di usarci per essere tra i nostri fratelli un prolungamento di Te. Il nostro mondo conosce altri tipi di amore ma ha bisogno urgente di Te come padre, madre, amico, sposo, innamorato. Amen!
VIVERE TESTIMONIANDO
Il cristiano di oggi, o è un mistico, o non è un cristiano: la fede è tenuta viva dalla testimonianza di persone che hanno una profonda esperienza di Dio, più che dalla dimostrazione della sua plausibilità razionale. Quando l’apostolo Pietro raccomandava ai cristiani di essere pronti a “dar ragione della loro speranza” (1 Pt 3,15) intendeva riferirsi alla loro esperienza di Cristo. Il card. Newman ripeteva che: “Al cuore della gente arriva solo ciò che parte dal cuore dell’annunciatore”. E Paolo VI affermava: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”. Ora noi credenti, per primi, abbiamo bisogno di questa profonda esperienza di Dio perché corriamo il pericolo di ridurre la fede a una sequenza di riti e di formule, ripetute magari anche con scrupolo, ma meccanicamente e senza intima partecipazione di tutto l’essere. “Questo popolo si avvicina a me solo con la bocca – si lamenta Dio in Isaia – e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani” (Is 29, 13). Questo tempo liturgico, che ci sta conducendo alla Pasqua, dovrebbe essere per ciascuno di noi un’occasione privilegiata per avere un “soprassalto di fede”. Perché questo si compia, dobbiamo trovare spazi di silenzio. “Fermatevi e sappiate che io sono Dio” (Sal 46,10).
(padre Raniero Cantalamessa).
Don Orione:
Vogliamo essere bollenti di fede e carità. Ogni nostra parola deve essere un soffio cieli aperti: tutti vi devono sentire la fiamma che arde il nostro cuore e la luce del nostro incendio interiore; trovarvi Dio e Cristo.
Preghiamo:
Padre, nel nome di Gesù, donaci una fede viva, rinnovata e traboccante che propaghi contagi di speranza e di amore. Amen!
VIVERE TESTIMONIANDO
Come avere il coraggio di parlare dell’amore di Dio, mentre abbiamo davanti agli occhi tante sventure umane? Ma rimanere in silenzio sarebbe tradire la fede e ignorare il senso del tempo liturgico che stiamo celebrando. C’è una verità da proclamare forte: Colui che contempliamo sulla croce, il venerdì santo, è Dio “in persona”. Finché non prendiamo sul serio questa verità il dolore umano resterà senza risposta. Cosa si fa per assicurare qualcuno che una certa bevanda non contiene veleno? La si beve prima di lui, davanti a lui! Così ha fatto Dio con gli uomini. Egli ha bevuto il calice amaro della passione. Non può essere dunque avvelenato il dolore umano, non può essere solo negatività, perdita, assurdo, se Dio stesso ha scelto di assaporarlo. In fondo al calice ci deve essere una perla. Il nome della perla, lo conosciamo: risurrezione! “Io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev’essere manifestata a nostro riguardo” (Rom 8,18), e ancora: “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4). E cosa possiamo offrire a chi non crede, oltre la nostra certezza di fede che c’è un riscatto per il dolore? Innanzitutto possiamo soffrire con chi soffre, piangere con chi piange (Rom 12,15). Prima di annunciare la risurrezione e la vita, davanti al lutto delle sorelle di Lazzaro, Gesù “scoppiò in pianto” (Gv 11, 35). (padre Raniero Cantalamessa)
Don Orione:
Spargi fede e luce sulle anime, abbraccia tutte le creature nella carità grande e infinita di Gesù crocifisso: ovunque troverai un’anima da salvare, un dolore da lenire, una lacrima da asciugare, là vola come un angelo consolatore! Spargi balsamo, tocca, converti a Gesù le anime: sempre pietoso ad ogni miseria, sempre parola di conforto e di speranza!
Preghiamo:
Insegnaci Signore a guardarci dentro con verità, aiutaci a dare consistenza spirituale alla nostra vita e fa’ che il nostro agire sia per tutti un indice puntato verso il tuo santo monte. Amen!
VIVERE TESTIMONIANDO
Il re Nabucodonosor adirato con Sadrach, Mesach e Abdènego, perché non volevano adorare la statua da lui innalzata, li fa gettare in una fornace ardente. Ma quelli non rinnegano la loro fede. La testimonianza si fa martirio. Ancora oggi ci sono dei cristiani che pagano con la loro vita l’adesione al Vangelo e forse anche a noi, un giorno, potrebbe essere chiesta una prova d’amore così grande. Ma, a ben riflettere, “ogni giorno siamo messi a morte”. Per vivere da testimoni, infatti, dobbiamo sia far morire in noi ogni desiderio contrario alla legge di Dio, sia accogliere fiduciosi le prove e le tristezze che fanno parte della vita . Gesù non ha promesso una vita di piaceri su questa terra per i suoi discepoli, ma una vita piena di difficoltà, per dare testimonianza al mondo della nuova vita in Lui e in vista del Suo Regno che verrà.“V'ho dette queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi animo, io ho vinto il mondo.” (Giov 16,33). Gesù ci invita ad accettare la sfida della vita con la piena fiducia in Lui.
Don Orione:
Vediamo di avanzarci nell’amore di Dio e di accendere di amore a Dio.
Preghiamo:
Rendici o Signore, testimoni di speranza, mai ripiegati sul limite. Forti e perseveranti nella fede e disposti ad “essere messi a morte”, ogni giorno, per amore tuo. Amen!
VIVERE TESTIMONIANDO
Dire, per Gesù, è dare. Egli parlava mosso dall’amore per la sua gente, che vedeva come un gregge sbandato, senza pastore. Ma il suo amore giunge fino a dare la vita per il suo gregge: «Il buon pastore offre la vita per le pecore» (Gv 10, 11); «Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine» (Gv 13, 1). La sua vita e il suo insegnamento sono stati un continuo dare, fino al dono estremo: «Questo è il mio Corpo dato per voi…. Questo è il mio Sangue versato per voi…» (Lc 22, 19-20). Gesù, che tante volte ha paragonato la predicazione del Vangelo al seme gettato nel campo, ha poi paragonato il suo donarsi al chicco di grano che deve morire per portare frutto. Come il Maestro, così il discepolo, deve dare a fondo perduto e saper attendere fiducioso come il seminatore: «Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 15, 15). È il dono gratuito di sé, fatto per amore, la parte chiesta al discepolo per rendere manifesta la vita nuova in Cristo: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3, 16). Occorre essere, in Lui e come Lui, seme che morendo genera vita nuova.
Don Orione:
Ci vuole generosità, ma una generosità grande e coraggiosa, fondata nel nostro Dio e accompagnata da vera umiltà, una generosità ardente per spirito di fede e per giovanile ardimento in Domino.
Preghiamo:
Spirito Santo guida i nostri cuori perché ogni nostra preghiera si trasformi in gesti concreti di carità e di amore. Il nostro dire, sull’esempio di Gesù, si trasformi in un dare a fondo perduto. Amen!
VIVERE TESTIMONIANDO
Gesù disse: “Donna dove sono? Nessuno ti ha condannata?” Gesù parla molto alle folle e ai singoli; è quello il suo modo di donarsi: “farsi uno”, fino in fondo, con ciascuno. Puntualmente quella Sua parola porta guarigione, perdono, salvezza, amore, vita. Ecco come testimoniare il Vangelo: niente eloquenza o sfoggio di erudizione ma piuttosto uno scambio di parole ricche di umanità. E’ la capacità di compassione che rende missionari e testimoni: ogni gesto, ogni rapporto con gli altri uomini, diventa così annuncio dell’amore di Dio. Il Vangelo è sobrio nell’indicare le cose che i veri testimoni devono dire, l’insistenza maggiore è posta sul come devono comportarsi: attenzione, tenerezza operosa per i malati, i poveri, i lebbrosi, gli indemoniati, gratuità e disponibilità verso tutti. Inoltre, Gesù coglie proprio nei momenti difficili il luogo più adatto per un insegnamento efficace: “gli conducono una donna sorpresa in adulterio” e gli chiedono se debbano lapidarla, secondo il comando della legge. Gesù si fa solidale con lei, la protegge, ma coglie l’occasione per chiamare con il suo nome la condizione di vita in cui ella si trova: “Va’ e d’ora in poi non peccare più”. Così anche noi, sotto la guida dello Spirito, solidali e compagni di viaggio di tutti, chiediamo di saper indicare a noi stessi e ai fratelli tutto ciò che non dà gioia a Dio, tutto ciò che è “ancora” peccato .
Don Orione:
La cura mia è la cura delle anime, dei cuori, di tutto ciò che è celeste e non di tutto ciò che è umano, terrestre, terreno.
Preghiamo:
Santo Spirito, tu che in relazione speciale d’amore con il Padre e il Figlio ci indichi il vero modello di comunione, opera nella nostra vita. Rendi le nostre parole e i nostri gesti fonte di guarigione, perdono, salvezza, amore, vita. Donaci coraggio per restare accanto ai fratelli in ogni loro possibile situazione di disagio, portando il tuo annuncio di speranza e di salvezza. Amen!
VIVERE TESTIMONIANDO
Alcuni Greci chiedono a Filippo: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. Questo è ancora il desiderio, più o meno consapevole, degli uomini del nostro tempo. C’è un immenso bisogno di testimonianza autentica. Non possiamo tenere per noi una cosa così bella, dobbiamo dirla! L'intelletto suscita subito la forza della missione. Non si tratta di esibire alcunché. Fossimo capaci di dire, qualche volta, senza enfasi, molto tranquillamente: “Sapessi com'è bello Gesù!”, proprio perché Gesù non solo è buono e misericordioso, ma è proprio convincente e bello, di una bellezza morale e umana immensa. Ed ancora: “Sapessi com'è caro Gesù!”. Queste sono espressioni di uno che è convinto; le usiamo sempre quando qualcosa ci soddisfa. Ma diciamolo anche di Dio, qualche volta! Il nostro parlare dipende dal credere. Il primato spetta alla fede che permette al parlare di non essere voce senza contenuto, ma pienamente linguaggio che sa comunicare una realtà viva ed efficace. Dice san Paolo: “Ho creduto, per questo ho parlato, anche noi crediamo e per questo parliamo” (2 Cor 4, 13). Vivere testimoniando è alimentare il bisogno di comunicarsi reciprocamente la bellezza della fede, di spronarsi a vicenda col ricordo del cuore ardente che l’incontro con Gesù ha suscitato, così come accadde ai discepoli di Emmaus.
Don Orione:
Amare Gesù Cristo e farlo conoscere e amare con le opere nostre. Amare la sua santa Chiesa cattolica, e far conoscere, amare e servire il Papa, nostro padre santissimo, capo universale della Chiesa e Vicario di Dio tra gli uomini, è l’opera più grande che possiamo fare su questa terra, a gloria del Signore.
Preghiamo:
Manda il tuo Spirito , o Signore, a far vibrare le corde del nostro cuore perché le parole che ti annunziano abbiano il buon sapore di un’esperienza d’amore conosciuta personalmente e vissuta.
Manda il tuo Spirito , o Signore, perché le parole che ti annunziano parlino, prima di tutto, della tua bellezza e della tua bontà. Amen!
VIVERE CON TIMOR DI DIO
Il timor di Dio non è il timore dello schiavo, bensì il timore del figlio preoccupato di non addolorare il padre con la propria disubbidienza. Come atteggiamento religioso, si impara attraverso un cammino di iniziazione e di conoscenza del mistero di Dio : "Venite, figli, ascoltatemi e vi insegnerò il timore del Signore" (Sal 34,12). Il timore del Signore, lungi dall’essere una condizione di infelicità o di mancanza di serena disinvoltura, è al contrario una fonte di energia positiva per l’uomo retto: "Il timore del Signore prolunga i giorni " (Prv 10,27). "Il timore di Dio è una scuola di sapienza" (Prv 15,33). E’ una scuola dove si impara e si sperimenta: la venerazione della Parola e la sottomissione gioiosa al suo insegnamento; l’indifferenza per il giudizio umano, allo scopo di essere graditi e lodati solo da Dio; la prontezza e l’attenzione vigile ai segnali che Dio dissemina nella nostra vita quotidiana; l’umiltà della creatura che non presume nulla dinanzi al suo Creatore, e che, anzi, tutto attende da Lui.
Don Orione
Sia la nostra una vita tutta ardente di divino amore e tutta consacrata a piacere a Dio!
Preghiamo:
O Padre, concedimi lo Spirito di Timor di Dio, perché possa riempirmi di un amorevole rispetto verso di Lui e possa temere in ogni modo di dispiacergli. Amen!
Eventi dalla diocesi
Presso il Santuario di Santa Maria della Misericordia di Petriolo, luogo giubilare pro hac vice