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Notiziario Santa Vittoria

LA PAROLA A CURA DI DON ALESSANDRO

28 GIUGNO XIII TEMPO ORDINARIO ANNO "B"

Sap 1,13-15; 2,23-25; Sal 29; 2Cor 8,7.9.13-15; Mc 5,21-43

Nel brano evangelico troviamo una conferma pratica dell'affermazione che Dio non vuole la morte e che il nostro destino finale sarà l'immortalità. Si tratta della risurrezione della figlia di Giairo, uno dei racconti più toccanti del Vangelo. È costituito da scene che si svolgono in rapida successione, in luoghi diversi.

La scena cruciale, nella casa di Giairo. Grande trambusto, gente che piange e urla, come è normale di fronte al decesso appena avvenuto di un'adolescente. «Entrato, dice loro: Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme... Presa la mano della bambina, le disse: Talità kum, che significa: Fanciulla, io ti dico, alzati! Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare». Cose straordinarie, sovrumane; raccontate con parole semplicissime e ordinarie, in modo che a parlare siano i fatti più che le parole. Si dice in teologia che i sacramenti sono per gli uomini; lo stesso dobbiamo dire dei miracoli di Cristo: essi sono per gli uomini, non per se stesso, per dimostrare i propri poteri. Questo è, anche oggi, uno dei primi criteri per distinguere quando si tratta di veri miracoli che vengono da Dio e quando si tratta di magia o di esibizionismo. Padre Pio non faceva mai miracoli per se stesso, o per dimostrare che era un santo; li faceva, o meglio li otteneva da Dio, solo per alleviare la sofferenza della gente. Ora però mettiamoci nei panni di un papà e di una mamma che hanno avuto, o hanno in questo momento, una figlioletta o un figlioletto «agli estremi», e ascoltano questo racconto evangelico. Cosa devono pensare? E noi? E tutti quelli che non hanno sentito pronunciare accanto al letto del proprio figlio il Talità kum, fanciullo, alzati!? Il Vangelo è dunque "buona notizia" per alcuni pochi fortunati, non per tutti? La domanda è seria, come è serio il dolore e l'angoscia da cui proviene, e chi annuncia il Vangelo deve rispettarlo e immedesimarsi in questo dolore. A volte Gesù stesso, prima di operare il miracolo, piangeva con chi era nel lutto. Ci ricorda così la parola ascoltata nella prima lettura: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi». Dio soffre con noi, non si limita a guardare da lontano noi che soffriamo.

La vera chiave per dare una risposta alle domande formulate sopra, l'unica parola che può gettare un po' di luce nel buio di quel dolore, è proprio la parola «fede». Quando Gesù raccomanda alle persone che si rivolgono a lui la fede, non intende solo la fede che egli può operare il miracolo richiesto, ma la fede nella sua persona. Il Vangelo distingue nettamente due tipi di fede: credere qualcosa e credere «in» qualcuno. Quando si tratta di Dio, la seconda è molto più importante della prima. Il dialogo di Gesù con la sorella di Lazzaro sì presta bene a illustrare quanto sto dicendo. Marta dice a Gesù: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà". Tanti genitori o congiunti di persone malate, pregando, dicono a Gesù la stessa cosa: "Signore, se fossi stato qui... Ma anche adesso sappiamo che, se volessi, potresti fare un miracolo...". Gesù risponde a Marta: «Tuo fratello risusciterà». Marta però non si accontenta di questa promessa: «So che risusciterà nell'ultimo giorno», replica, ma questo non mi basta, vorrei che fosse adesso. Ed ecco la parola definitiva di Cristo a Marta e a tutti noi: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Il miracolo più grande è credere «in» lui. Dopo questo, tutto diventa possibile. Di fronte ad esso la risurrezione di Lazzaro e i pochi anni in più che vivrà prima di morire ancora, sono poca cosa. L'esperienza di molte persone dimostra che anche quando non avviene il miracolo atteso, qualcosa può succedere, grazie alla fede, che dà un senso nuovo alla vita. Ho detto altre volte che non c’è solo la morte del corpo, c'è anche la morte del cuore e dell'anima. La morte dell'anima è quando si vive nel peccato; la morte del cuore è quando si vive nell'angoscia, nello scoraggiamento o in una tristezza cronica. Le parole di Gesù: Talità kum, fanciulla, alzati! non sono dunque rivolte solo a uomini morti, ma anche a uomini viventi. L'invito ad avere fede è rivolto però anche a chi spiega il Vangelo agli altri. Perciò, con la fede nella potenza misteriosa delle parole di Cristo, non dobbiamo aver paura di gridare ai tanti uomini di oggi morti nel cuore: Talità kum! Alzati, scuotiti, «spogliati della tua tristezza»; smetti di crogiolarti nel tuo pessimismo, vai verso gli altri e gli altri verranno verso di te! Gesù ordinò di dare da mangiare alla fanciulla risuscitata e anche a noi ordina ora di dare da mangiare, anzi dà lui stesso da mangiare: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo».

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