Di Bitonto: Il pensiero di Moltmann e il fondamento della speranza
Di Bitonto: <Il pensiero di Moltmann e il fondamento della speranza>
di Don Enrico Brancozzi
La professoressa Daria Dibitonto, docente di filosofia e esperta del pensiero di Jürgen Moltmann, ha aperto il ciclo di incontri sulla teologia promosso dal centro culturale San Rocco di Fermo. Moltmann, scomparso nel giugno del 2024, è stato uno dei teologi più importanti del XX secolo. Il centro San Rocco ha pensato dunque un appuntamento per approfondire il suo pensiero e per individuarne gli elementi di attualità.
Professoressa Dibitonto, qual è stato il percorso che l’ha portata a avvicinare un grande pensatore come Jürgen Moltmann?
Da giovane ero appassionata al tema dell’utopia, ho approfondito Ernst Bloch. Il mio direttore di tesi mi ha consigliato lo studio di Moltmann, di cui Bloch era il riferimento filosofico più importante. Approfittando di un periodo di studio a Tubinga sono arrivata a conoscere Moltmann anche personalmente, ho esplorato il suo pensiero anche nel dialogo personale, oltre che nelle opere, e infine mi sono dedicata per un anno e mezzo alla traduzione italiana della sua biografia. Dunque sono entrata anche in dettagli della sua esistenza che illuminano il suo percorso speculativo.
Ritiene che la biografia di Moltmann sia decisiva per il suo itinerario teoretico?
Certamente. Ad esempio, l’esperienza militare. Moltmann ha visto prima il padre essere arruolato a forza, e quindi si è trovato improvvisamente da solo a farne le veci in famiglia. Poi è stato precettato lui stesso dall’esercito nazista all’età di diciassette anni. Durante un’esplosione la sua postazione fu colpita e un suo compagno morì. Fu un’esperienza tragica che lo ha segnato profondamente e che lo ha portato a pensare la teologia in modo nuovo dopo la fine della guerra.
In che senso nuovo?
La gioventù tedesca solo negli anni Cinquanta ha scoperto la tragedia dell’Olocausto. È stato un risveglio traumatico nel quale molti si sono chiesti come sia potuto accadere che Hitler abbia governato senza che la maggioranza cristiana del paese si sia opposta. Anzi, alcuni avevano aderito esplicitamente ai “cristiani tedeschi”, una sorta di “cristianesimo ariano” di stato. Moltmann considera questa esperienza un fallimento della fede popolare, nonostante tutte le attenuanti del terrore e della persecuzione della chiesa “confessante”, quella critica nei confronti del regime, di cui faceva parte Bonhoffer.
Questo lo ha portato a un’autocritica?
Lo ha portato a ritenere inadeguate le categorie tradizionali attraverso le quali era pensata la vita cristiana.
Qual è l’idea centrale del pensiero di Moltmann?
Il legame fra la croce e la risurrezione, che è poi il fondamento della speranza. La speranza non è una proiezione nell’aldilà che ci consente di dimenticare il presente, ma la virtù che ci permette di operare con responsabilità in questo tempo per modificare la realtà e renderla più conforme al regno di Dio.
Qual è il motivo di attualità maggiore del pensiero di Moltmann?
Credo che oggi sia attualissimo il tema ecologico. Moltmann ha iniziato a riflettere sulla creazione ponendo in rilievo il fatto che la teologia abbia considerato la natura un tema secondario rispetto agli altri tipici della riflessione credente. La natura è stata sfruttata anche per un’errata lettura del dato biblico. Natura e storia dell’uomo non sono separate, ma sono ambiti correlati. Anche per la creazione infatti è atteso un futuro di speranza che noi dobbiamo garantire. Del resto, al destino della natura è collegato anche il destino dell’uomo.
Oggi sta diventando preminente un cristianesimo individualista, senza riferimenti comunitari. Che cosa direbbe Moltmann a proposito?
Moltmann è evangelico, dunque l’idea che il singolo possa coltivare un rapporto personale con Dio appartiene alla sua radice luterana. Tuttavia, aggiungerebbe che una relazione verticale con l’assoluto, se non si traduce anche in una responsabilità verso gli altri e verso il tempo presente, rischia una deriva spiritualistica e intimistica. È la responsabilità il criterio della fede.
Enrico Brancozzi
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